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 2013  febbraio 25 Lunedì calendario

“SONO DIVENTATO GRANDE GRAZIE AGLI AMICI DEL BAR”

Solomeo (Perugia)
Cita Socrate, Platone e Kant ogni cinque o dieci minuti, come per non perdere la rotta. Quando lo fa abbassa la voce, la rende più seducente, semi-teatrale, scandisce le parole con calma, sembra volerle far assimilare una a una all’interlocutore, magari per osmosi. Ci tiene, Brunello Cucinelli, 59 anni, considerato il re del cachemire. L’unico ad aver tentato nel nefasto 2012 un approdo in Borsa con l’omonima azienda. Un successo. “E pensare che nel 2011 la mia vita da imprenditore è stata complicata. Ogni volta all’estero mi chiedevano solo cosa stesse accadendo in Italia. Poi siamo tornati la nazione considerata ‘speciale’ dagli altri”. Tradotto: via Berlusconi, bene il governo dei Tecnici. Ma guai a cadere nel giochino di voler ottenere da lui nomi, giudizi, valutazioni ad personam sulla politica.
CUCINELLI SA PERFETTAMENTE come volare altrove, fuori dai contrasti, sulle ali di concetti più astratti: “Mi interessano solo le belle persone, non la loro appartenenza. Destra, sinistra, centro, è uguale. Conta altro. I miei dipendenti li scelgo con un colloquio, non guardo il curriculum, devo capire cosa hanno dentro, se possono integrarsi tra noi”. Vuol dire lavorare a Solomeo, un borgo vicino Perugia, negli anni diventato una delle location più chic d’Italia, dove è comune veder ricconi di ogni paese arrivare e acquistare in sede l’ultimo capo di abbigliamento. Qui un maglione a due fili può partire da 700 euro; niente di strano se un vestito da donna ha scritto sulla targhetta un uno, un tre e qualche zero. Un plaid? Meglio lasciar perdere. “Vengo da una famiglia contadina, fino ai miei 15 anni vivevamo in campagna, poi la fabbrica. Io? Geometra, diplomato con 40/60 con il sei politico, quindi un esame in tre anni a Ingegneria. Passavo le serate al bar, anche fino alle sei del mattino. Poi rientravo in casa e vedevo il babbo che si alzava per andare al lavoro. Ed erano insulti. Pesanti. Ha presente il film con Alberto Sordi, Un americano a Roma?”. Lui, Nando Mericoni, sognatore e sfaccendato, protetto dalla mamma e disperazione del padre. “Poi ho scoperto la filosofia”. Immancabile, appunto. “Al bar spesso intervenivano i ragazzi del liceo, i più preparati, e tiravano fuori Kant, tipo: ‘Due cose mi affascinano dell’umanità, il cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me’. Porca miseria! (nell’esclamazione sembra imitare Benigni) La legge morale era quella di mio babbo che diceva: ‘Guai a te se non ti comporti bene, se non mantieni la parola data’”. Cammini per Solomeo ed è impossibile capire dove finisce l’azienda e inizia il paese: accanto a un appartamento privato con la chiave inserita nella toppa c’è una porticina a vetri con degli uffici; più oltre un teatro (ristrutturato da lui); dietro l’angolo una biblioteca; subito dopo quattro lavoranti impegnati in un tre-sette da pausa pranzo. A dicembre il “re” ha conquistato pagine e pagine di giornali (involontariamente, dicono loro) per aver diviso con i dipendenti parte dei dividendi della quotazione. “Non solo con loro, anche con gli amici di una vita e i lavoratori in pensione: chi ha contribuito a costruire questa realtà”. Sembra l’Eden. Ma è tutto vero? Il dubbio viene, abituati a leggere (e vedere) di povertà, licenziamenti, soprusi, ingiustizie. Qui, in appa renza, il contesto è bello, sereno, a misura d’uomo. Disponibili e sorridenti. Eppure non c’è il sindacato. Nel borgo le sigle non sono mai entrate, o meglio, non sono ben accolte. Cucinelli più volte, ai suoi, ha espresso un’idea rispetto ai “nipoti” di Di Vittorio: gente superata. Loro rispondono definendo lo stilista come il Granduca di un Granducato. Sta di fatto che nelle due assemblee convocate dalla Cgil non si è presentato nessuno “perché sappiamo che a lui non avrebbe fatto piacere”, sussura una lavoratrice. Qui la “filosofia” aziendale è: “Alle sei del pomeriggio si chiude. Si lavora dalle otto, pausa pranzo, e poi ancora fino alle 18. Però alle 12 non ti dico buongiorno – incalza Cucinelli –. Te lo dico alle otto e basta. E quando è il turno non voglio aggettivi. Il tema è la rapidità”. Concretezza, niente spreco.
L’UFFICIO È IN GRAN parte bianco. Qualche batuffolo di cachemire mongolo qua, libri sugli scaffali, sulla scrivania. A terra. Nessun televisore (“non guardo la tv”). A Solomeo ha due stanze personali, una nel borgo antico, un’altra nella parte bassa, nel cuore dell’azienda. Sono identiche, anche nei particolari dell’arredamento. Ordinate, perfette. Alle pareti una quindicina di piccoli ritratti fotografici dedicati a personalità da lui amate, il pantheon: Benigni, Kennedy, Obama (“sto cercando di conoscerlo”). San Benedetto: “La domenica vado da un amico in un monastero. Lui mi dice: ‘Ricordati ogni giorno di curare la mente’. Cerco di farlo. Per questo non chiedo ai dipendenti di lavorare il week end, per fargli ‘curare’ tutti gli aspetti della vita”. Ancora spiritualità. “Due anni fa ho messo un punto è ho sentenziato: l’anima è immortale. Ci ho pensato per 30 o 40 anni, poi un giorno mi sono detto: ‘domenica decidi’. Così è stato al ritorno da una delle mie passeggiate nel bosco, quando mi ubriaco di bei pensieri”. Quei pensieri poi condivisi al “bar”, con gli amici. Altro punto fermo, il perno, la sua Agorà tra un bicchiere di vino e due chiacchiere. “Siamo una ventina, insieme da sempre. Ogni 15 giorni ci incontriamo per affrontare un tema specifico, fino all’alba. L’ultima volta è toccato alla politica. Caso strano: un tempo la maggior parte di noi votava a sinistra, mentre l’ultima volta eravamo più per il Pdl”. Cosa vota Cucinelli? Difficile saperlo, più facile ottenere una citazione su Marco Aurelio. “Sono amico di Renzi, ma non solo”. Lato prosaico: il pallone. “Gioco ogni settimana. È la mia passione (evidente anche da una camminata a gambe leggermente divaricate)”. Squadra preferita? “Sono indeciso tra la Juve e l’Inter. Amavo i bianconeri, poi è arrivato Moggi. Mi piace Moratti, buono e gentile, ma ha ingaggiato Mourinho, nostro cliente, uno strafottente, spaccone. Sono tornato alla Juve. Però Conte è troppo agitato”. La Juve “chiama” Fiat. Dalla Fiat si passa a Marchionne. Ma anche qui non dà alcun giudizio diretto sul numero uno torinese, si limita a precisare: “Nel passato mi hanno offerto di aprire sedi all’estero per risparmiare sulle tasse. Ho rifiutato. La mia azienda è italiana e tale deve restare”. Per essere chiari: Marchionne le imposte le paga in Svizzera, con tutti i vantaggi. Lo salutiamo. Ci stringe cordialmente la mano. Poi con un sussurro di voce: “Mi raccomando, ci metta della poesia nelle sue parole. La poesia è importante”. È importante e fa rima con filosofia.