Laura Anello, Gioia 23/02/2013, 23 febbraio 2013
SICILIA GAY FRIENDLY
Che i tempi stessero cambiando nella Sicilia del mito macho e sciupa femmine, lo si era capito tre anni fa, quando un palermitano fu eletto Mister Gay Italia e tra i vicoli di Palermo sfilò la prima parata con piume e calze a rete sventagliate davanti a sparuti drappelli di anziani sbalorditi. Ma adesso quella che investe l’isola è una vera rivoluzione, che ha nel neopresidente della Regione Rosario Crocetta (omosessuale dichiarato) la sua bandiera più celebre, ma parte in realtà da molto più lontano: prende infatti sempre più piede ai festival e alle mostre, rinforza una solida lobby negli uffici delle amministrazioni pubbliche, investe le anime più aperte della Chiesa,contagia coppie borghesi fatte a pezzi da imprevedibili coming out, infila primati. Come la recente apertura,all’ospedale Civico di Palermo, del primo ambulatorio pubblico del Paese per “l’equità di genere”, dedicato ai transessuali. «Un servizio con cui andiamo a coprire un vuoto istituzionale e che nasce dalle esigenze che riscontriamo da anni nel vissuto quotidiano dei transessuali che si rivolgono al nostro pronto soccorso», dice con naturalezza il direttore dell’unità di Ostetricia e ginecologia, Luigi Alio. Una rivoluzione che scardina appunto il mito del siciliano baffuto, focoso e rigorosamente eterosessuale, rappresentato da Lando Buzzanca con gli occhi fuori dalle orbite davanti a una sottana o dal barone Fefè (Marcello Mastroianni) nel film Divorzio all’italiana. Un mito già insidiato e traballante, ma raccolto in pieno, soltanto l’anno scorso, dalla guida turistica statunitense Frommer’s, una delle più popolari con otto milioni di copie vendute all’anno, che invitava i gay a stare alla larga dalla Sicilia, «perché c’è gente che manifesta atteggiamenti che appartengono al Medioevo». Salvava soltanto Taormina, tappa obbligata per i viaggiatori dei grand tour ottocenteschi, a partire da quel barone Von Gloeden che amava fotografare fanciulli efebici sugli scogli dello Ionio.
E invece la Sicilia fibrilla. E si prepara, il 22 giugno, a ospitare a Palermo il Gay pride nazionale (un fatto inconcepibile solo pochi anni fa), dopo avere organizzato tre manifestazioni analoghe su scala locale, guidate da un’idea vincente: quella di accomunare nella battaglia del popolo Igbt (sigla che sta per lesbiche, gay, bisessuali e transgender) gli altri senza diritti della città, dai precari ai senza casa, dai migranti ai commercianti vessati dal racket e sostenuti dai ragazzi del comitato Addiopizzo. Per una settimana, prima del corteo finale con 40.000 partecipanti, il villaggio del Palermo Pride ha ospitato l’anno scorso manifestazioni, riflessioni, spettacoli di interesse globale. Ne ha piena consapevolezza Antonio Verri, presidente dell’associazione Articolo 3 di Palermo e consulente del Comune per le politiche lgbt, nomina avvenuta l’estate scorsa, all’indomani dell’aggressione subita in un locale del quartiere Vucciria da parte di un gay. Un ragazzo fu malmenato da un cliente del pub, convinto che non volesse aprire la porta del bagno per invitarlo a entrare e adescarlo. L’episodio ha seguito di pochi mesi la sentenza emanata da un giudice di pace di Palermo con cui è stata condannata una coppia di Bagheria che nel 2008 non si era limitata a battute e sorrisini. «Frocio, mi fai schifo», avevano detto senza mezzi termini a un giovane che passeggiava per strada, prima di prenderlo a schiaffi.
PIÙ DIRITTI PER TUTTI
«Il maggior contributo della nostra associazione alla lotta contro tutte le forme di discriminazione in città è stato quello di portare i nostri temi in luoghi, contesti e ambiti altri, apparentemente lontani dalle nostre battaglie», dice Verri. «Si è cercata una continua contaminazione, per affermare il principio per cui il riconoscimento dei diritti alle persone Igbt è una questione di civiltà, di diritti umani, che riguarda ogni singolo individuo e che attraverso la lotta condotta su questo fronte si ottiene un miglioramento delle condizioni di vita di tutte e tutti e dunque dell’intero Paese». Il messaggio è passato. I paletti hanno cominciato a cadere.
Tanto che a guardare i film del Sicilia Queer Festival, dove scorre la migliore produzione internazionale sull’omosessualità, accorre un pubblico in gran parte etero. Spettatori giovani e anziani incollati allo schermo per conoscere tormenti adolescenziali, libertà amorosa, scoperta della propria sessualità, adescamenti maliziosi e sesso, spesso esplicito. Niente di cui stupirsi, quindi, se propri oil Queer organizza seminari e proiezioni guidate per gli studenti universitari delle facoltà di Lettere, Scienze della formazione, Giurisprudenza e Scienze politiche. Uscire dall’ombra è la parola d’ordine. Così la mobilitazione per il Pride nazionale è esondata dall’alveo del mondo Igtb e ha contagiato gli etero. Per sostenere la manifestazione, sono scese in campo squadre di giornalisti, gourmet, ambientalisti, musicisti folk. Insieme a contendersi la vittoria nel torneo di calcetto contro l’omofobia “Tutti diversi... tutti uguali”. Una commistione tra vecchio e nuovo, tra sicilianità atavica e ventate di libertà che ha dato all’antropologo Franco La Cecia l’idea di un documentario prodotto da Carmelo Calati e Gloria Giorgianni per la regia di Piero Li Donni. Girato tutto a Palermo, si chiamerà Il primo giorno d’estate e sarà incentrato su due storie parallele: quella di un trans in un quartiere popolare e quella di un padre di famiglia borghese che fa coming out. «Un film che vuole raccontare una città controversa, molto falsata dagli stereotipi, dove il venir fuori delle identità sessuali diverse e devianti è mediato dalle strutture immobili della famiglia, del potere maschile, dell’indolenza e della rigida struttura classista», spiega La Cecia.
CON LA BENEDIZIONE DELLA CHIESA
Ogni mercoledì, a Palermo, nella chiesa di San Saverio guidata da padre Cosimo Scordato – una delle intelligenze più avanzate e aperte della diocesi — si raduna l’associazione Ali d’aquila, fatta di gay, lesbiche, bisessuali e transessuali cristiani che lavorano intensamente sulle sacre scritture alla ricerca di passi dedicati alla diversità. Nel 2011 furono loro a provocare un mezzo terremoto, chiedendo l’uso di una parrocchia per un incontro di preghiera nella giornata contro l’omofobia. Il prete lo concesse, e poi lo revocò dopo il niet dell’arcivescovo Paolo Romeo. Si rappezzò l’anno successivo, con una veglia interconfessionale alla presenza di un delegato della Curia. Pochi mesi dopo fu la chiesa valdese a celebrare l’unione tra un impiegato e un professionista della città, entrambi credenti: a officiare arrivò il primo sacerdote donna d’Italia, Maria Vittoria Longhitano, di origine siciliana e presbitero della parrocchia Gesù di Nazareth di Milano. Un rito vetero cattolico chiamato «benedizione dell’unione d’amore», con tanto di messa, scambio degli anelli e promessa di fedeltà. Avvisaglie del nuovo vento. Rivoli che sono confluiti in quello che adesso è un fiume in piena. Sorridono a pensarci, Gino Campanella e Massimo Milani, la storica coppia gay di Palermo che ha tagliato il traguardo dei 25 anni di convivenza. Nel 1993 celebrarono il loro “matrimonio” pubblicamente, su un palco davanti al municipio. Uno dei primati di una città sorprendente, dove pochi sanno che è nato il primo circoloArcigay d’Italia, nel 1980, sulla scorta di un episodio drammatico avvenuto a Giarre, in provincia di Catania: due giovani si erano fatti “suicidare” perché la loro relazione era dileggiata in tutto il paese. Ancora: la giunta comunale di Palermo ha appena approvato il Registro delle unioni civili (è la quarta grande città d’Italia dopo Torino, Milano e Napoli).
Cambia tutto, e non soltanto perché al mito dell’Homo eroticus isolano si affiancano pittoreschi boa di struzzo e solida difesa dei diritti. Ma anche perché, come spiega il docente di Psicologia clinica dell’Università di Palermo, Girolamo Lo Verso, «sono i mondi fondamentalisti, totalitari,come quello della mafia, a essere turbati e a bandire l’omosessualità con aggressioni ed emarginazioni». Già, perché se è vero che il codice di Cosa nostra vieta ogni deroga dall’eterosessualità, la nuova aria che investe la Sicilia significa che, seppur a fatica, la morale dominante non è più quella della mafia. Alla fine saranno i gay a mettere ko i boss malavitosi?