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 2013  febbraio 25 Lunedì calendario

LA MORTE COLLETTIVA DEI NOSTRI DELFINI

Il comunicato è del ministero dell’Ambiente. Da gennaio a oggi nel Mediterraneo sono morti 47 delfini. Dall’inizio di quest’anno quasi uno al giorno. Si tratta di individui, giovani e adulti, di stenella (Stenella coeruleoalba), un delfino piccolo e dal nuoto agile che popola le nostre acque in piccoli gruppi di qualche decina di esemplari. Spesso si vedono al seguito della scia dei pescherecci. Le morti sono state registrate principalmente in mar Tirreno, più frequentato dai cetacei per la maggior profondità delle acque. Ed ora sta accadendo un evento che, dati i numeri, si sta indubbiamente delineando come un caso di morte collettiva. Da tempo, purtroppo, molti fenomeni che coinvolgono la vita dei nostri mari sono numericamente imponenti: esplosioni di popolazioni di meduse, inattese fioriture algali, scomparsa di predatori, spiaggiamenti o morti collettive, appunto, di mammiferi marini.
Gli esperti stanno lavorando per capire qual è la causa delle morti. Dalle prime analisi parrebbe trattarsi di un’infezione di Photobacterium damselae. Non è la prima volta infatti che la stenella mediterranea viene investita da infezioni mortali. È dei primi anni ’90 la moria dovuta, in quel caso, a un’epizoozia di morbillivirus. Una volta però scoperta la natura dell’infezione, rimangono aperte molte domande su cosa ci sia a monte. Perché è molto probabile che la causa, o le cause, della morte vengano da lontano. Da quelle condizioni ambientali, cioè, così spesso degradate, di cui soffre tutto il Mediterraneo. Inquinamento, scarsità di risorse, distruzione di habitat sono tutti fattori, e dunque concause, che possono indebolire le specie e quindi esporle più facilmente all’attacco finale di batteri o virus mortali. Proprio come avvenne per la moria del 1990: la causa ultima delle morte fu appunto un epizoosi, favorita tuttavia da una pesante contaminazione di inquinanti organoclorurati noti per determinare effetti di immunodeficienza.
Nelle morti di questi giorni non possono poi sfuggire i dettagli tristissimi di alcuni casi individuali. Come quello della cucciola di stenella morta lungo la costa di Civitavecchia nonostante i ripetuti tentativi delle forze dell’ordine intervenute per salvarla. Al largo intanto continuava ad aggirarsi il branco, nell’inutile attesa che la piccola li raggiungesse. Al di là infatti del precario stato ecologico dei nostri mari, tema che dovrebbe tutti preoccuparci perché interessa la nostra vita e il nostro benessere, c’è pure un fattore d’ordine etico su cui riflettere. Penso ai delfini in generale, alla loro intelligenza, all’altruismo, a quell’empatia estesa che fin dall’antichità ci ha coinvolto in episodi, ormai dimostrati sicuramente veri, in cui questi cetacei hanno salvato, cooperando tra loro, individui umani che stavano annegando. E penso al fatto che i delfini sono gli unici, tra i mammiferi non umani, in grado di attribuirsi un nome proprio. Nel gruppo sociale i membri si riconoscono individualmente su base vocale. Ogni individuo, uno speciale vocalizzo. Un suono che nella loro mente intelligente è un vero e proprio nome. Questo per dire di che gente, o meglio di che persone, stiamo parlando.
Ritengo perciò sia opportuno che noi tutti si percepisca — alla fine non può che farci bene — che la tragedia a cui stiamo assistendo porta dentro di sé un valore simbolico di forte significato, perché ogni delfino che muore di questa morte provocata rappresenta la fine di qualcosa di immensamente più grande e più complesso: la fine del mare inteso come fonte di vita.
Danilo Mainardi