Ugo Magri, La Stampa 25/2/2013, 25 febbraio 2013
L’ INGORGO ISTITUZIONALE
Stasera sapremo chi ha vinto. Ma per vedere in carica il nuovo governo dovremo attendere almeno un mese. Altri trenta lunghi giorni ancora per scoprire come si chiama il successore di Giorgio Napolitano.
Dal turbine post-elettorale non usciremo prima di fine aprile in quanto la Repubblica ha le sue regole, scolpite nella Costituzione. Fintanto che la Carta resta questa, ci sono procedure da seguire e un calendario istituzionale da tenere a mente. Per fortuna, le tre date-chiave del nostro destino sono il 15 marzo, il 15 aprile e il 15 maggio. Insomma, ricorre costantemente lo stesso numero. Per gli appassionati della smorfia napoletana, corrisponde al ragazzo, «’o guaglione». Avrà un significato recondito? Chi può dirlo.
Di sicuro, la XVII legislatura incomincia alle Idi di marzo, che cadono tra l’altro di venerdì. Quel giorno, sconsigliato a Cesare, sono fissate le sedute inaugurali della Camera e del Senato. Perché così in avanti? Non si potevano convocare prima? A quanto pare, no. C’è tutto un lavoro finalizzato a verificare le percentuali e a proclamare gli eletti, i quali sono attesi dal 12 marzo in Parlamento per farsi conoscere, registrare e ricevere il famoso tesserino che li trasforma, da esponenti della società civile, in onorevoli o senatori, politici insomma. Napolitano ne profitterà per una visita in Germania programmata fin dallo scorso anno e nell’occasione cercherà di tranquillizzare la Merkel, sempre così in ansia per noi. Nel frattempo gli sconfitti si leccheranno le ferite, i vincitori assorbiranno la sbronza e torneranno coi piedi per terra. È opinione diffusa in alto loco che questi 17 giorni saranno parecchio utili per consentire ai protagonisti di riordinare le idee in vista della fase successiva, quella che prende avvio dal 15 marzo appunto. Allorché si dovranno mettere a frutto le prime intese politiche (sempre che siano maturate) per eleggere anzitutto la seconda e la terza carica dello Stato.
Questo adempimento non ruberà troppo tempo. Per il presidente della Camera, basteranno al massimo 4 votazioni poiché alla quarta il quorum si abbasserà, e chi ha vinto il premio di maggioranza potrà imporre il proprio candidato. Sul presidente del Senato (che tra l’altro diventa il «supplente», casomai il «Number One» fosse impedito, e perciò risulta secondo nelle gerarchie del Cerimoniale), l’elezione è stata studiata apposta per evitare le lungaggini. Per farla breve, pure a Palazzo Madama il 19 marzo al massimo sarà tutto chiarito, uffici di presidenza compresi. Nell’agenda di Napolitano c’è dunque scritto che dal 20 in poi non potrà prendere altri impegni perché dovrà tenere le consultazioni, dare l’incarico, concordare la lista dei ministri, accogliere il giuramento del governo, rinviarlo alle Camere per il voto di fiducia. E senza perdere un solo istante perché il tempo stringe, incombe la data successiva. Il 15 aprile si riuniranno le Camere e i rappresentanti delle Regioni per eleggere il successore di Napolitano. Non è una data scelta a casaccio, bensì indicata dalla Costituzione che prescrive la seduta comune 30 giorni esatti prima che si concluda il settennato. Napolitano scade il 15 maggio (fu eletto il 10 ma giurò fedeltà alla Repubblica cinque giorni dopo). Ecco perché entro il 15 aprile il nuovo governo dovrà essere non solo nato, ma dovrà pure trovarsi nella pienezza dei suoi poteri. Per cui la domanda, un filo angosciosa, è: ce la farà il Presidente a trovare in tempo la quadra? Oppure resterà invischiato tra veti e dilettantismi, in una paralisi che evocherebbe gli scenari più apocalittici? Chiaramente, la risposta dipende dalle urne. A seconda di cosa ne verrà fuori, l’ultima missione di Napolitano potrà rivelarsi facile o «impossible». Non per nulla, il vecchio del Colle avrebbe di gran lunga preferito che si votasse un mese dopo, a fine marzo, in modo da cedere l’incombenza del governo al suo successore. Ma è andata così, e adesso resta solo da fare gli scongiuri.