Francesco Guerrera, La Stampa 25/2/2013, 25 febbraio 2013
TUTTI SCONFITTI NELLA GUERRA DELLE VALUTE
Siamo in tempi di guerra. Per fortuna non ci sono né armi né sangue ma solo denaro e politiche economiche. Ma lo scontro è reale e coinvolge un po’ tutti, dalla Cina agli Stati Uniti, passando per il Giappone e la povera Europa.
Non credete ai potenti del pianeta, come Mario Draghi e il Gruppo dei Venti, che continuano a parlare di pace.
Il fronte della «guerra delle monete» non è Baghdad o Kabul. Non fa da sfondo ai corrispondenti della Cnn. Per raccontare questo conflitto, bisogna visitare i grattacieli di Tokyo e New York, leggere i numeri delle esportazioni made-inChina e capire i motivi per la contrazione economica della zona euro.
Io in queste trincee (di lusso) ci sono da anni e il mio dispaccio è chiaro: c’è molto di nuovo sul fronte occidentale. E pure su quello orientale.
La corsa al ribasso tra le divise più importanti del mondo sta creando sbilanci fiscali, economici e politici che potrebbero portare al protezionismo, o peggio. La storia insegna che con le monete non si scherza, basta pensare alla Grande Depressione degli Anni 30 o, più di recente, alla crisi finanziaria asiatica del 1997-1998.
I banchieri centrali e i leader delle super-potenze economiche sono figure pirandelliane: sei personaggi (immaginatevi il gruppo: Barack Obama, Ben Bernanke, Mario Draghi, Angela Merkel, Shinzo Abe e Xi Jinping) in cerca di crescita economica.
La scelta è forzata. Con i consumatori assenti perché senza soldi (come in Europa ed in China) o ancora traumatizzati dalla crisi precedente (Usa e Giappone); con le società ancora incerte se investire o tagliare i costi; con deficit ormai alle stelle, l’unica alternativa per Obama & Co. è tentare di stimolare le esportazioni svalutando la moneta.
Come mi ha detto il mio amico Marc Chandler, lo stratega delle monete per la banca d’affari Brown Brothers Harriman, «la maggioranza dei governi crede che le monete siano un affare troppo importante per essere lasciato al libero mercato».
E allora intervengono. Non in maniera «classica» – vendendo le loro monete e comprando quelle degli altri - ma tenendo i tassi d’interesse bassissimi e pompando denaro nelle loro economie. Le iniezioni di liquidità indeboliscono la moneta attraverso un semplice effetto inflazionistico: più denaro in circolazione ne riduce il valore. Ed i tassi bassi rendono le varie divise poco appetibili per gli investitori.
A nessun governo piace ammetterlo ma i numeri non mentono. Da novembre a oggi, lo yen ha perso quasi il 15% nei confronti del dollaro e dell’euro. Il dollaro ha appena toccato il livello più basso nei confronti della moneta unica europea in più di un anno. E Pechino controlla il renminbi come se fosse una marionetta, mandandolo su e giù come e quando gli fa comodo.
Come sempre, qualche speculatore astuto ci fa dei soldi. George Soros, per esempio, l’investitore/filosofo che quasi distrusse la sterlina in un’altra guerra delle monete negli Anni 90, ha guadagnato circa un miliardo di dollari in pochi mesi vendendo lo yen.
Gli esperti chiamano questo fenomeno «svalutazioni competitive» ma non è altro che un tuffo verso il minimo comun denominatore finanziario. Il problema è che la piscina è vuota.
Non bisogna essere Soros per capire che, se tutti i grandi governi giocano al ribasso con la propria moneta, a lungo termine nessun Paese può vincere.
Ci saranno vittorie parziali, come quella del Giappone da quando Abe ha preso il potere, ma si riveleranno pirriche. Un tonfo nella divisa di un Paese non fa altro che imbeccare altri governi ad indebolire la propria, creando un futile circolo vizioso.
Il che non vuol dire che i governi e le banche centrali smetteranno questo gioco al ribasso. Il bello delle svalutazioni competitive è che permettono ai politici di evitare decisioni impopolari sui deficit e l’austerità.
Mettetevi nei panni di un Obama (giacca senza cravatta) o una Merkel (tailleur blu elettrico). Cosa è più semplice: spingere la moneta in basso con strumenti tecnici e poco chiari all’elettorato o annunciare aumenti di tasse e tagli alla spesa sociale?
Le tattiche sono quelle ormai note del dopo-crisi. I politici latitano ed i banchieri centrali devono fare molto di più di quello che possono.
La palla va da Obama e Merkel a Bernanke e Draghi ma il passaggio è «da ospedale» come dicono in Inghilterra. La Federal Reserve e la Banca Centrale Europea, come anche la Banca del Giappone, sono ormai al limite delle loro capacità economiche e intellettuali.
Le loro due grandi armi - abbassare i tassi e stampare denaro – sono a corto di munizioni, ma i politici continuano a chiedergli di riempire il vuoto lasciato da politiche fiscali inesistenti.
«È come se un’azienda farmaceutica fosse costretta a lanciare una nuova medicina sul mercato senza averla testata», mi ha detto un preoccupatissimo Mohamed ElErian, il capo di Pimco, il gigante californiano degli investimenti.
Come finirà? Ci sono due risultati possibili: macello o buon senso.
Se la guerra delle monete porta a conflitti commerciali – parole forti tra governi, seguite da misure protezionistiche – l’economia mondiale soffrirà per anni. Nell’era della globalizzazione, il commercio estero è un’arteria fondamentale per far circolare la crescita da Est a Ovest, dal Nord al Sud. Ostruirla con il protezionismo causerebbe conseguenze gravissime per il cuore economico del pianeta. Purtroppo, ci sono abbastanza precedenti storici per questo esito.
Ma non siamo ancora sull’orlo del caos. Per ora, il buon senso sta prevalendo. La retorica è pressoché assente – basta leggere il comunicato del G20 di un paio di settimane fa – e i leader politici non sembrano volere innescare micce protezionistiche.
Il vero test sarà vedere quanto durerà questa situazione in cui la guerra delle monete rimane confinata ai mercati e non dilaga nei parlamenti e nell’opinione pubblica.
La panacea sarebbe un ritorno alla crescita economica, almeno negli Usa e in Europa (il Giappone sta veramente male e la Cina fa storia a se). I segnali, sul fronte-euro, non sono rassicuranti – le ultime stime ufficiali uscite venerdì prevedono un altro anno di contrazione nel 2013. Gli Stati Uniti stanno un po’ meglio ma non proprio in ottima salute.
Vista dalle trincee, la guerra delle monete sembra destinata a continuare. Occhio ai proiettili.