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 2013  febbraio 24 Domenica calendario

IL PARTITO LIGURE DELLA CURIA

LE DIVISIONI nel corpo ecclesiale deturpano il volto della Chiesa. La chiave della «rinuncia» è tutta nelle parole del Papa. Nei suoi discorsi pubblici degli ultimi mesi. Non c’è bisogno delle «falsità maldicenze e calunnie» evocate da padre Lombardi.
Penso
a come il volto della chiesa venga a volte deturpato. Penso in particolare alle divisioni nel corpo ecclesiale”.
Benedetto XVI, Mercoledì delle Ceneri, 13 febbraio 2013.
Basta riascoltare Benedetto XVI, da ottobre a oggi. La zizzania nel campo del Signore. I pesci cattivi nella rete di Pietro. I peccati personali che diventano «strutture del peccato». La tentazione del potere, strumentalizzare Dio per i propri interessi, i beni materiali. Infine, interrompendo il silenzio degli esercizi spirituali di questa settimana: «Il bello della creazione sporcato dalla corruzione ». Come un sospiro, dieci giorni fa, un’altra parola logorata dalla politica e potentissima se riferita alla chiesa, alla Curia: divisioni.
«Quante divisioni ha il Papa?», si racconta che Stalin abbia domandato a Yalta, sarcastico. Divisioni nell’altro senso del termine: soldati, truppe, battaglioni. Nessuna. Il Papa non aveva e non ha uomini dalla sua, né allora né oggi. Quante lacerazioni ha davanti e attorno a sé il Papa, quante divisioni nella Curia? Moltissime, certifica la relazione che gli hanno consegnato il 17 dicembre i tre cardinali inquirenti. «Divisioni, dissidi, carrierismi, gelosie », ha detto ieri il cardinale Ravasi. Nessuna divisione, tutte le divisioni. Per congregazione di provenienza, geografia — i liguri, i liguri — per attitudine alla meditazione o alle relazioni mondane. In quest’ultimo caso, per qualità delle relazioni mondane e per genere, con relativa ricattabilità. «Sono in gioco le violazioni del sesto e del settimo comandamento», ha riferito chi ha contribuito all’indagine disposta dal Papa. Non commettere atti impuri, non rubare. Alla categoria del “non rubare” si ascrive l’ampia documentazione della
Relationemrelativa
alle principali fonti di reddito della Chiesa: lo sterminato patrimonio immobiliare, la sanità cattolica con le sue 125mila strutture private nel mondo. Edifici, ospedali. Gli abusi (le tangenti, per esempio: intermediazione immobiliare nei contratti di affitto e compravendita) hanno radice qui, e potentissimi sono coloro che governano la sanità e l’amministrazione del patrimonio (Apsa), la Prefettura degli affari economici
che dovrebbe controllare le transazioni. Ne parleremo fra un momento.
Prima, ancora un cenno alle ragioni del gesto del Papa. La rinuncia. Un gesto che da ora e per sempre segna la differenza fra “essere Papa” e fare il Papa. «Perché se da oggi fare il Papa diventa un mestiere, se da oggi un padre può non “essere padre” dei suoi figli ma farlo per un tempo dato e se del caso rinunciare allora tutto cambia, nel destino della Chiesa e in quello di chiunque», dice un alto prelato a lungo braccio destro del cardinale Martini, del quale ricorda le ultime parole: «La Chiesa è in ritardo di 200 anni». Quale ritardo? In che senso? «Nel senso della collegialità, in primo luogo. Bisogna riprendere il lavoro del Concilio. La collegialità della chiesa oggi è bloccata. La
governancedella
Chiesa indebolita. Il Sinodo dei vescovi è consultivo e non serve a nulla. Il Papa è rimasto isolato, un uomo solo col peso dei suoi 86 anni». Un cardinale nordamericano,
risanatore della Chiesa Usa, ha detto che fin dall’ultimo pontificato di Giovanni Paolo II «la scelta dei porporati è caduta su
yes and grey men
». Accondiscendenti e grigi. Alla domanda se il Papa sia stato indotto alla rinuncia da qualche forma di pressione, la domanda che il mondo intero si pone, risponde così un alto esponente della congregazione dei Vescovi, collaboratore del cardinale canadese Ouellet: «Noi non sapevamo nulla. Il Cardinale Ouellet, responsabile della selezione della classe dirigente della Curia, non sapeva nulla. Per farle un esempio molto distante dalla realtà è come se il direttore del suo giornale si dimettesse senza che i suoi vicedirettori ne fossero informati. Come se lo facesse solo parlandone con suo fratello. E col suo editore, certo, che però in questo caso è il Signore. Ciascuno potrebbe concludere che non si fidava degli uomini. Che era solo. E che lo ha fatto per reagire a una situazione divenuta per lui, per varie ragioni anche personali, insostenibile ».
Un gesto di forza, di denuncia, non di debolezza. Questo ha detto a caldo il cardinale De Giorgi, uno dei tre inquisitori («Un gesto di fortezza»). Questo dice uno dei papabili, il giovane filippino Luis Tagle: «Il gesto di coraggio e di sincerità del Papa». Coraggio. La stessa parola di Walter Kasper, per dieci anni a capo dei rapporti con le altre congregazioni, teologo: «Ho la stima più alta per questo gesto di coraggio e di umiltà». Ha preso su di sé la croce, non né è sceso, per usare la metafora di monsignor Stanislao. E qui, un’altra coincidenza. Si dice in queste ore che per completare il lavoro che Ratzinger sta portando avanti ancora in questi giorni con le nomine e le designazioni post rinuncia (Calcagno allo Ior, Versaldi all’Idi, Balestrero in Colombia) occorrerebbe una persona «informata dei fatti». Non un Papa lontano dalla rete oscura delle “divisioni” vaticane, ma qualcuno che le conosca e sappia domarle. Lo spagnolo dell’Opus Dei, Herranz, per esempio, presidente
della commissione inquirente ed estensore della
Relationem.
Il 17 dicembre del 2004, scrive Herranz nel suo libro “Nei dintorni di Gerico”, proprio con padre Stanislao Dzswisz, allora segretario di Wojtyla, discusse della possibilità della rinuncia del Papa. E del «pericoloso precedente » che avrebbe costituito per i successori, poiché sarebbero potuti «rimanere esposti a manovre e sottili pressioni da parte di chi desiderasse deporre il pontefice ». Lo stesso giorno di otto anni dopo, 17 dicembre 2012, Herranz ha consegnato la sua voluminosa relazione a Ratzinger. Da lì alla rinuncia meno di due mesi. Manovre e sottili pressioni.
«È nella
Relationem
la chiave di tutto», dice un banchiere cattolico molto informato delle cose Ior: «Un Papa deve assicurare Magistero e Governo della Chiesa. Benedetto XVI ha delegato la
governance,
si è occupato prevalentemente del Magistero. Bisognerebbe rileggere “Le cinque piaghe della chiesa” di Rosmini: l’ignoranza dei preti, l’influenza dei laici. Il potere economico, la ricattabilità. Al governo dei potentati ecclesiastici sono insediati, oggi, i nemici del Papa». I potentati ecclesiastici, sotto il profilo economico — la «tentazione» di cui parla Benedetto — sono i vertici della banca vaticana, lo Ior, ma prima ancora e insieme i luoghi da cui il denaro si moltiplica.
I beni della Chiesa. Proviamo a illuminare uno dei centri di potere vaticani più rilevanti. La linea di comando che gestisce le due principali fonti di reddito. Immobili, enti sanitari. Ecco la lobby ligure. A capo del patrimonio immobiliare, Aspa, c’è il cardinale Domenico Calcagno, bertoniano, ligure, da pochi giorni promosso alla commissione cardinalizia dello Ior con i buoni uffici del direttore generale Cipriani, uomo di Geronzi. Il patrimonio della Chiesa è insondabile, non censibile. Ammonta a circa duemila miliardi, dicono, mille dei quali — secondo una stima del
Sole 24 Ore
— in Italia. Quasi un milione di immobili nel mondo, in costante
crescita per via delle circa 10mila donazioni tramite testamento all’anno. Un quarto della città di Roma, quanto a fabbricati, sarebbe di proprietà vaticana. Il gruppo Re, consulente delle Santa Sede, stima che un quinto del patrimonio immobiliare italiano sia della Santa Sede. Quanti Stati al mondo possiedono tanto?
E torna in mente il ruolo di Marco Simeon, sanremese, giovane uomo (laico) di Bertone, nelle intermediazioni immobiliari. La parcella da lui incassata (un milione e 300mila euro) per la vendita del convento di viale Romania, a Roma, o dell’edificio di via Carducci 2 per il quale il ministro Tremonti e il suo assistente dell’epoca, Milanese, si adoperarono per far ottenere l’extraterritorialità. Dettagli illuminanti. Sono liguri Balestrero, uomo di fiducia di Bertone (che è piemontese, ma genovese d’adozione), appena “promosso” nunzio in Colombia e fino a ieri interfaccia della Segreteria di Stato con lo Ior; Mauro Piacenza, di Bertone antagonista ma intimo di Balestrero; Domenico Calcagno, capo dell’Apsa e ora allo Ior. E poi c’è Giuseppe Versaldi, cardinale comandato al risanamento dell’Idi e capo della Prefettura degli affari economici: dal 15 febbraio ha l’incarico di occuparsi dei problemi economici dei Concezionisti. E l’Idi, da loro controllato, avrebbe dovuto essere, nel disegno di Bertone, uno degli snodi dei sistema sanitario cattolico italiano insieme a Gemelli, San Raffaele, Casa del sollievo di San Giovanni Rotondo e Bambin Gesù. Le strutture sanitarie cattoliche nel mondo, dice il presidente del consiglio pontificio pastorale per gli operatori sanitari Zygmund Zimoski, sono 125 mila. In Italia, quasi 5mila e convenzionate con le Regioni. Ma l’operazione San Raffaele è fallita, ne sa qualcosa Giovanni Maria Flick chiamato all’epoca nel consiglio di amministrazione della fondazione Monte Tabor. Ne sa molto anche Giuseppe Profiti, ex Gaslini, ex Galliera, ex direttore della Gdf e poi delle Risorse finanziare della Liguria, condannato a sei mesi per concorso in turbativa d’asta per l’affare delle mense di Savona e messo da Bertone a capo dell’ospedale pediatrico romano. La lobby ligure, «influenzata dall’esterno », dai ricatti dei laici che hanno fatto carriere in Vaticano grazie al loro potere d’influenza, come ben sa il cerimoniere pontificio monsignor Francesco Camaldo. Tutto si tiene, dentro le mura Vaticane. Tutto si sa. Chi esce e chi entra.
Ed è molto rilevante il lavoro della società
di bonifica chiamata a rendere sicuri i locali della residenza di Santa Marta, il convitto dove dal 1 marzo saranno ospitati i 117 cardinali del conclave, camere estratte a sorte per sorteggio per evitare favori. Letti a una piazza e mezza, bagno in camera,
wi-fi
per tutti. Ma Twitter proibito, pena la scomunica. Pericolo cimici, orecchie in ascolto. Il Papa della rinuncia, il monaco che come Celestino V ha deposto le armi di una battaglia impossibile, aleggerà come un’ombra sul Conclave. Essere Papa. Fare il Papa. Riportare la Chiesa, nonostante gli scandali, alla guida morale del mondo. Fare
reset,
direbbe il giovane nordamericano dell’Opus Dei che ha portato Ratzinger su Twitter. Ricominciare senza perdere i due millenni trascorsi. Questa la posta in palio. Resistere, trasformarsi, o soccombere.
(3 - fine)