Filippo Ceccarelli, la Repubblica 24/02/2013, 24 febbraio 2013
IL CAVALIERE SENZA REGOLE
NEL giorno del silenzio Silvio Berlusconi si è regalato un altro giorno di campagna elettorale con l’aggravante della recidività e a doppio choc. Se nel 1999 la violazione era avvenuta all’insegna del disprezzo, nel 2004 della spiritosaggine e nel 2006 aveva sfidato la legge col pretesto dell’amore materno (istruzioni a Mamma Rosa davanti alle telecamere), ieri il Cavaliere ha superato se stesso pronunciando turbo-valutazioni internazionali e accusando la magistratura di essere peggio della mafia.
Bùm!
LA SPARATA è quella che è.
Seguita, come al solito, da rettifica di riequilibrio. Ma assai più rivelatrice, a questo punto, è la frase che ha accompagnato l’originaria confezione filo- mafioseggiante: «E lo dico sapendo di dire una cosa grossa». Ecco. In questa campagna elettorale Berlusconi non solo ne ha dette davvero molte, di «cose grosse», ma soprattutto l’ha dette in crescendo. Come se l’escalation di messaggi sempre più forti e incalzanti, l’uno a cancellare l’altro, rispondesse a una strategia di comunicazione che non funzionava; oppure, peggio, come
se la necessità di rilanciare nascondesse una qualche inconfessabile disperazione.
Poteva dirlo subito, ad esempio, che ce li metteva lui, di tasca sua, i quattro miliardi per rimborsare l’Imu. Mica bruscolini, d’accordo. Cui si aggiungerebbero gli altri quattro miliardi di mancati incassi per il 2013. Ieri perfino
Libero
ha presentato l’ideuzza di Berlusconi in un modo che suonava tra il problematico e l’ironico, forse, «pronto a togliere il pane ai figli». Di primo e di secondo letto. Chissà se sono stati consultati sul proposito di nazionalizzare il capitale Mediaset.
Vero che la campagna elettorale è un tempo pazzo, e che le «cose grosse» e le trovate in extremis sono spesso destinate a infrangersi contro il muro dell’indifferenza, a rotolare nel dileggio o nell’autolesionismo credulone. Ma a pensarci bene è tutta la narrazione berlusconiana che difettava in credibilità. Fin dall’assurdo proposito iniziale, secondo cui la ridiscesa in campo rovinava i suoi personali progetti, quell’«operoso tramonto» che lo avrebbe portato a «costruire ospedali per il terzo mondo».
Ora, quella vocazione filantropica era stata messa da parte «perché avete bisogno di me - così si era rivolto agli italiani di
Porta
a porta
- sento il dovere di portare soccorso». E’ possibile che qualcuno ci abbia creduto. Ma la sensazione era un’altra: l’impossibilità di congedarsi per ragioni di tipo psico-esistenziale. Se mollo, chiudo in tutti i sensi. Tanto da doversi addirittura fidanzare.
Con qualche esperienza del personaggio si può stabilire che proprio quella rivelazione di pubblica intimità ha aperto davvero
la sua temeraria corsa al voto senza speranza. Da quella rincorsa, tra «me ne vado» e discese nella fossa dei leoni, imprevedibili aperture ai gay ed estemporanee lodi al Duce, propositi di riforme istituzionali bonapartiste, denuncia di possibili attentati e acquisti di calciatori alla Balotelli, Berlusconi si è battuto davvero come un leone, ma sempre risultando una patetica «parodia di se stesso», come l’ha definito
Giuseppe De Rita.
Dalla parodia alla follia - e non sempre del genere lungimirante di cui alla lezione del super-menzionato Erasmo - il passo può essere breve. «Pazzotica» è stato l’aggettivo scelto dal
Foglio
per definire la «traiettoria della sua rimonta elettorale», salvo chiedersi, tra parentesi: «Ma c’è davvero la rimonta?». Lo stesso Cosentino, escluso dalle liste in qualità di impresentabile, favoriva
sia pure benevolmente quella condizione di impegno furibondo: «Berlusconi è un po’ pazzo, è convinto davvero di vincere, lui si convince di una cosa anche se irrealizzabile e la trasforma in verità. Mi ha detto: “Siamo al 23 per cento, mi mancano quattro punti e non mi posso permettere di mettere la mia faccia vicino alla tua, ci farebbero a fettine ogni giorno. Dimmi quello che vuoi, fai tutto quel che vuoi”».
Non sono discorsi che indicano serenità, ma evidentemente in in alcune occasioni l’autoconvincimento serve più di qualsiasi altra speranza, «e io sono un guerriero coraggioso ed eroico si vantava seduto sul rinforzatissimo cuscino dell’ennesimo salotto televisivo - io esisto per il bene del mio paese».
Giorno dopo giorno il signore un tempo indiscusso della meraviglia ha caricato la sua presenza di novità sempre più relative. Ha imitato l’accento di Bersani, poi anche quello di Grillo, noncurante di ogni scrupolo storico, o forse intento solo a privilegiare il suo doppiofondo sovversivo, ha avuto parole di comprensione per Gheddafi e per Ceausescu, quindi si è catapultato su Sanremo, a una platea di Coldiretti ha raccontato
che da bambino mungeva le mucche, pare facendo anche il gesto, su e giù con entrambe la mani, fino al numeraccio dell’orgasmo multiplo, «lei viene? E quante volte viene? Si giri».
E’ vero. Più passava il tempo e più si capiva che Berlusconi nulla aveva da perdere. E tuttavia, preso da un’euforica e torrenziale fiducia in se stesso, solo in se stesso, sparava solennemente il rimborso dell’Imu, quadruplicava confusamente il milione di posti di lavoro invano promessi vent’anni orsono, incoraggiava Vespa a rispolverare la fatidica scrivania, e poi sì, certo, ecco l’aumento delle pensioni minime e il condono fiscale, tombale, insomma tutto e tutto insieme.
Vai a sapere cosa ha provato come persona, Silvio Berlusconi, nell’apprendere che un certo numero di italiani, i più indifesi, si erano portati alle Poste con la sua lettera in mano. Sono questi giorni crudeli, anche per la mafia, i giudici, l’Europa, la Grecia. «Sono molto orgoglioso della mia campagna elettorale», ha detto, «alla mia età non ho perso un colpo », «ho dimostrato di non temere nessuno». Ma il vero nemico di solito sta dentro, ed è quello che mai sbaglia nel suggerire questo
genere di pensieri.