Francesco Semprini, La Stampa, 24/2/2013, 24 febbraio 2013
L’ EMPIRE SI QUOTA A WALL STREET
Gli appassionati di Borsa vedono già il suo «ticker» scorrere sulle strisciate elettroniche del «floor» di Wall Street, imponente e luminoso come del resto merita di essere il titolo dell’Empire State Building. Perché lo sbarco sul mercato azionario del palazzo simbolo della Grande Mela sembra più vicino che mai, grazie al via libera concesso da un giudice di New York al patteggiamento fra la famiglia Malkin, a cui fa capo la gestione dell’Empire, e i soci contrari alla vendita.
L’autorizzazione a procedere è l’ultimo atto di un lungo contenzioso che riguarda il simbolo dello Stato dell’Impero il cui futuro è rimasto ostaggio per diverso tempo di un causa collettiva tra giganti, dal momento che a guidare le fila degli oppositori c’è anche il proprietario di Grand Central Station.
I Malkin hanno da tempo proposto di unire il grattacielo newyorkese con altre 18 proprietà controllate dalla famiglia, dando vita a una società quotata sui mercati chiamata «Empire State Realty Trust». Il valore dell’offerta pubblica iniziale sarebbe di circa un miliardo di dollari, il più ricco nel comparto edilizio dopo tanti anni di difficoltà.
Il magnate Peter Malkin e suo figlio Anthony, che gestiscono il grattacielo di 102 piani e 269 mila metri quadri assieme alla società fiduciaria della defunta donna d’affari, Leona Helmsley, devono ottenere il sostegno dell’80% delle quote controllate dai 2.800 azionisti.
Il via libera al piano potrebbe in questo modo arrivare già alla fine di marzo, a meno che l’ostruzionismo non costringa a ritardare il voto. L’ipotesi di sbarco in Borsa ha a lungo diviso gli investitori tra chi sosteneva la necessità di poter disporre di liquidità grazie allo scambio di azioni sui listini, e chi invece considera il piano una truffa.
La decisione del giudice Peter Sherwood, della Corte suprema della contea di New York, riguarda un patteggiamento raggiunto lo scorso anno tra la famiglia Malkins e una parte degli azionisti dissidenti, per sistemare la «class action» col pagamento di 55 milioni di dollari da distribuire ai titolari delle quote dell’Empire e di altri immobili del futuro Trust.
Una fronda di dissidenti, guidata da Andrew Penson, il proprietario di Grand Central Terminal, che ha da poco celebrato il suo primo secolo di vita, aveva però chiesto a Sherwood di bloccare l’accordo perché considerato penalizzante, chiedendo invece un risarcimento di 800 milioni di dollari.
La Corte tuttavia ha respinto il ricorso, ma ha concesso la possibilità di presentare una nuova istanza per contestare la violazione dello status di Limited liability Company (Llc) dell’Empire, una sorta di Srl, che si verrebbe a creare col «buyout» delle azioni degli oppositori.
Se il piano sarà approvato con l’80% delle 3.300 quote, coloro che hanno espresso voto contrario avranno dieci giorni per cambiare opinione, altrimenti le loro quote saranno acquistate dai Malkins ad un valore di circa cento dollari per ogni 10 mila inizialmente investiti.
La prossima udienza è fissata per il 2 maggio quando si deciderà se concedere il via libera definito, compiendo l’ultimo passo propedeutico all’Ipo del grattacielo realizzato nel 1931.