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 2013  febbraio 23 Sabato calendario

I MIEI CAPILETTERA ALL’ ULISSE DI JOYCE"

Da non crederci, che al solo parlargli di libri, pronunciando la parola-sesamo: «libri», gli saltino fuori tante idee, tante sollecitazioni. Da non arrestarlo più. Intanto Mimmo Paladino è a Torino, perché alla venerabile Università di via Po ha appena varato, per il Laboratorio di Ontologia ed in collaborazione con In Arco, un’installazione che si chiama, heideggerianamente: «Denkweg. Cammino di pensiero». Infatti ad accompagnarlo (ma il dio di Friburgo, significativamente, non c’è) ecco otto «ritratti» metafisici di filosofiviandanti: Giordano Bruno, Galileo, Nietzsche, Darwin, ma anche Bonhoeffer, il teologo, e l’estetologo Arthur Danto, che sono stati importanti, nel suo percorso di pittore. «Danto è un amico, abbiamo fatto una lunga intervista, ha spiegato che con le mie tele non ha senso parlare di simboli o di racconti. Ho lasciato l’aula come l’ho trovata, mobili compresi, anche le seggiole da scuola, schierate, quasi ci fosse una lezione e sopra ad ognuna ho messo delle teste nere, di fusione, che guardano verso il soffitto. “Teste cacciate”, come voleva Lévi-Strauss. Lui non ho fatto in tempo a conoscerlo, però ho almeno ottenuto una sua dedica, di cui vado molto fiero. Certo ho molti libri dedicati, ma no, per carità, non ho una sezione particolare, sono molto disordinato - i libri suddivisi tra le varie case, un sogno poterli mettere tutti insieme, un giorno, chissà. A Torino, una lavagna con dei segni che mi hanno preceduto, ed una testa in bronzo di Giotto, che fuoriesce da quelle scritte preesistenti. E poi dei vasi alchemici, sulla cattedra, perché penso che la filosofia, in fondo, sia un modo di trasformare la materia in pensare, in oro». La filosofia: qualcosa che è stato importante anche per lo sbocciare dell’artista Pala­ dino? «Io non sono un lettore sistematico, d’accumulo, sin da bambino, certo, i miei Salgari e Cuore di rito li ho letti, ma non credo di aver mai finito un libro in vita mia, ma mi piace molto sser folgorato da qualcosa che mi emoziona». Così sono nati molti dei libri d’arte, non diciamo illustra­ ti, ma testi­pretesto, visto che alla base c’è sempre la letteratura, e più la narrativa che non la poesia. Pinocchio, l’Iliade, Pavese... «Certo, la narrativa, innanzitutto, il racconto. Ed è vero che non si tratta di illustrazione in senso tradizionale. In qualche caso sì, diciamo per esempio per l’’Evangelario Ambrosiano”, intanto perché non ero l’unico artista, e poi era anche giusto fare, come dire, un commento visivo democratico, alla portata di tutti. E rispettare certe tradizioni iconografiche. Ma ci sono libri come l’ Ulisse di Joyce o anche l’Ariosto, o Pirandello, dove non avrebbe senso un commento così puntuale. No, non è che mi leggo tutto, lì mi piace esser stimolato, lavoro con degli esperti che conoscono il mio modo di operare, che scelgono per me, mi propongono dei frammenti, e poi così io sono più libero di prendermi appunto delle libertà espressive, che mi fanno appunto amare questo procedimento di assonanza. Di riverbero». Ma il tarlo della lettura a balzi, chi glielo ha passato? «Devo dire un professore intelligente, al liceo artistico. Un pittore che si chiamava Persico e che ci faceva amare la letteratura, anche d’avanguardia, erano gli anni del Gruppo ’63, e si leggeva, a sedici anni, Ionesco o Borges». Borges dunque è stata una let­ tura formativa? «Fondamentale, per me. L’ Aleph , lo ricordo come ora: lettura decisiva che dura una vita. Non a caso il mio primo lavoro, tra disegno e fotografia, si chiamava proprio il “Giardino dei sentieri che si biforcano”: da un lato l’apparente “realtà” oggettiva della fotografia, dall’altra il segno esitante del disegno, che avanzava, a dimostrare che quell’illusione di verità assoluta non può più esistere». Da cui il «Don Chisciotte», al­ tro libro decisivo, al punto di diventare primo film? «Sì, come sempre tutto nasce da una commissione, da un’occasione. Quello di Cervantes era il suo cinquecentesimo anniversario, accetto volentieri la sfida, poi me ne approprio e il libro diventa per me essenziale. Spinosa, il Sovrintendente di Capodimonte, aveva anche pensato di far girare un piccolo video, per accompagnare la mostra, ma è allora che ho visto la possibilità di realizzare un mio sogno, girare un film, gli ho chiesto il permesso e di lì è nato tutto. Poi Marco Mueller ha visto quei primi minuti e mi ha detto: “ma mica lo si può lasciare così a metà”. E l’ho finito, per Venezia». Don Chisciotte come serbato­ io visionario di finzione libera, pantagruelica? «“Certamente, c’è tutto, lì dentro, Borges come Carmelo Bene, e poi il monologo di Molly da Joyce, che mia figlia recita, senza pathos teatrale, seduta in un officina, dove ci costruivano degli scudi. Ma poi c’è soprattutto Sanguineti, una sorpresa, non soltanto per quella sua faccia così cinematografica, donchisciottesca, ma perché quando l’ho invitato, lui s’è ricordato che a diciotto anni, forse, aveva scritto un poemetto sul Don Chisciotte . L’ha trovato ed ecco che è lì, a recitarlo nel film». Miracolo di nuovo borgesia­ no: far incontrare, con la pittu­ ra, personaggi lontani nel tempo, chiudere dentro dei li­ bri dei messaggi istoriati, che convivono occultati. «E’ il caso dell’ Ulisse di Joyce, un giorno ad un mio amico gallerista tedesco ho chiesto di cercarmi delle edizioni, le più diverse, per epoca e lingua, ed anche preziose, dell’ Ulisse . Le abbiamo esposte nella galleria, alcuni aperti, altri chiusi, ma in ognuno avevo fatto degli interventi, anche minimi, qui e là, talvolta dei capilettera, come in un libro miniato. Sì mi piace molto pensare che là dentro, magari in libri che sono stati venduti o che girano il mondo, c’è nascosto dentro qualcosa di me. Torniamo di nuovo a Borges, alla biblioteca infinita. Di libri d’arte certo, ne sfoglio moltissimi, leggere un po’ meno. Certo Argan, come si faceva a scuola, Longhi no, non direi. Ma anche, per esempio, Lo spirituale nell’arte di Kandinsky, non è che lo abbia digerito molto, l’ho abbandonato, non è proprio il mio genere. Mentre invece Il turbine dell’ala

intelligente di Glenn Gould, quello sì l’ho letto quasi tutto, anche se dove diventa troppo tecnico... Ma mi piace moltissimo come scrive, penso alla sua auto-intervista, credo che ci sia qualcosa di molto simile al mio lavoro di pittore. L’avevo incrociato nel Soccombente di Bernhard, poi mi hanno suggerito: ascolta le sue “Variazioni Goldberg” di Bach e non l’ho più lasciato. Anche con disegni, lui che suona sulla sua seggiolina. Sì, so che sono stati fatti dei film su di lui, ma se dovessi girare un nuovo film, e mi piacerebbe moltissimo, penso che sarebbe davvero dedicato alla sua figura di eccentrico».