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 2013  febbraio 23 Sabato calendario

MPS, I MONTI BOND DIVENTINO AZIONI

SEMBREREBBE che il problema di Mps sia solo quello di accertare le responsabilità per i disastri del passato. La Banca avrebbe già voltato pagina. E’ guidata da un vertice capace, con un presidente e amministratore delegato che di fatto agiscono da commissari, in quanto l’azionista di maggioranza Fondazione è praticamente esautorato; tutte le perdite sui derivati sono state fatte emergere e adeguatamente contabilizzate; lo Stato ha messo in sicurezza i ratio patrimoniali coi Monti bond; il vertice ha varato un piano triennale che dovrebbe riportare livelli di redditività accettabili, permettere di raccogliere capitali sul mercato, e quindi rimborsare i Monti bond nel 2016. A quel punto il salvataggio non sarà costato nulla al contribuente, e la Fondazione, grazie all’aumento di valore della partecipazione nella banca, sopravviverà, seppur ridimensionata. E vissero felici e contenti.
Di problemi, però, ne rimangono. Anche se il programma triennale raggiungesse l’obiettivo stimato di 700 milioni di utili in tre anni, Mps riuscirebbe a pagare gli interessi sui Monti bond, ma non a rimborsarli alla fine del 2015. Avrebbe comunque difficoltà a rimborsarli, e rispettare al tempo stesso i coefficienti di Basilea III, se pure raccogliesse 1 miliardo sul mercato, come annunciato. In più, il piano si poggia su ipotesi ottimistiche. Si ipotizza che le perdite sul portafoglio di titoli (ben 25 miliardi che la banca non intende smobilitare), si stabilizzino grazie alla discesa dello spread a 200 punti, il livello che Banca d’Italia ritiene coerente coi fondamentali (ma la realtà può essere peggiore); che tutte le perdite sui derivati siano veramente emerse, e che i 2,4 miliardi di strumenti immobi-lizzati a bilancio nel 2008 recuperino il loro valore. Si ipotizza inoltre che la banca riesca a spingere i ricavi soprattutto grazie al collocamento di polizze assicurative, aumentando così le commissioni per dipendente (ma non si fanno i conti col crollo del risparmio degli italiani). Si prevede una riduzione del rischio delle attività attraverso una contrazione dei prestiti, che a sua volta ridurrebbe le sofferenze; sperando però che il tasso di insolvenza non peggiori con la recessione.
In un periodo di instabilità politica come questo, nel mezzo di una recessione, e alle prese con una grave crisi del debito pubblico, conviene a tutti rimandare il problema al 2016 e credere nel lieto fine: i Monti bond pagheranno la cedola, verranno rimborsati e Mps non costerà nulla al contribuente. La verità è che anche nello scenario roseo del piano, si porrà il problema dello Stato azionista in Mps fra tre anni. A maggior ragione se le ipotesi del piano sono ottimistiche Di fatto lo Stato è già azionista, anche se giuridicamente il suo è un credito. Senza i bond, la banca avrebbe una patrimonializzazione insufficiente a operare: quindi i bond sono capitale a tutti gli effetti. I Monti bond coprono il rischio imprenditoriale della ristrutturazione
(garantiscono il funzionamento della banca nel caso il piano non abbia successo) che è la funzione del capitale azionario. E se fossero veramente debito, con quella cedola astronomica, la banca l’avrebbe facilmente collocato sul mercato. Ma non lo ha fatto perché nessuno crede che possa rimborsarlo; quindi è rischioso come il capitale. In questo modo però lo Stato paga un sussidio alla Fondazione e agli obbligazionisti di Mps: si accolla il rischio se le cose vanno male, ma lascia alla Fondazione tutti i benefici se vanno bene; e garantisce che non ci saranno sacrifici per gli obbligazionisti, che pure ricevono un interesse elevato per un rischio che non sopportano.
Nessun dubbio sulla professionalità di Viola e Profumo: ma a quale azionista rispondono? Visto che lo Stato si sta accollando il rischio della ristrutturazione, come un’azionista, sarebbe più efficiente e trasparente se convertisse subito i suoi bond in capitale. Non per gestire la banca, ma per assicurarsi che la ristrutturazione avvenga sempre nel suo interesse; ovvero che si massimizzi il valore delle azioni, per poi ricollocarle il prima possibile sul mercato. Invece di sfogliare la margherita fino
al 2016.