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 2013  febbraio 25 Lunedì calendario

GUERRA ALL’ELUSIONE I TRUCCHI DI BANCHE E MULTINAZIONALI NEL MIRINO DEL G20

[Nell’ultima riunione a Mosca si è deciso di affrontare con decisione il problema. La ricerca di tassazioni più favorevoli da parte dei grandi gruppi non solo danneggia le finanze statali ma altera le bilance dei pagamenti accentuando gli squilibri] –
In occasione della riunione del G20 a Mosca, i ministri delle Finanze francese, inglese e tedesco hanno dato notizia di avere tenuto un incontro separato per discutere i problemi derivanti alle finanze dei loro tre paesi dalla minimizzazione sistematica del carico fiscale da parte delle società multinazionali. Nel Regno Unito si è dato molto rilievo di recente ai lavori di una commissione parlamentare dedicata allo studio dello stesso problema. E dalle conclusioni di tale indagine sono emersi comportamenti assai gravi di elusione fiscale da parte in particolare di tre multinazionali americane che operano anche nel Regno Unito. Come sempre in Europa, dove non mancano gigantesche multinazionali autoctone, si è cominciato dalle multinazionali americane.

Csegue dalla prima e ne saranno senz’altro di più e saranno meglio conosciute dal grande pubblico, come certo è il caso di Google, Amazon e Starbucks, nominate espressamente dalla ricordata commissione, ma altrettanto certamente concentrarsi su di loro risparmia notevoli imbarazzi diplomatici ai paesi europei quando decidono di muoversi insieme. I ministri hanno commissionato un Rapporto sull’argomento all’Ocse, che lo ha prontamente prodotto, naturalmente estendendo l’analisi a tutti i paesi Ocse, di cui gli Usa sono socio fondatore. Se ne parlerà al G8 il prossimo giugno nell’Irlanda del Nord, e il ministro inglese Osborne curerà, ora che il suo paese ha la presidenza dello stesso G8, che il problema occupi un posto rilevante
nel programma della riunione e che il dossier relativo sia il più ricco possibile di informazioni e proposte. I ministri si sono divisi i compiti. La Gran Bretagna capeggerà un comitato internazionale incaricato di riscrivere le regole relative ai prezzi di trasferimento che permettono alle multinazionali di spostare i profitti alle giurisdizioni con leggi fiscali più lievi. La Germania organizzerà ricerche e proposte relative alla erosione della base fiscale, Francia e Stati Uniti esamineranno i modi per determinare la giurisdizione fiscale nazionale, specie nel caso di società di ecommerce. Dato che c’è ancora tempo, può darsi benissimo che alla fine si decida di concentrare la discussione nella riunione del G20, che comprende tutti i paesi più importanti del pianeta. I paesi più ricchi sono alla ricerca affannosa di entrate, e aumentare ulteriormente i livelli di pressione fiscale è divenuto un tabù politico ovunque. Si cerca dunque di recuperare gettito evitando con nuove regole il fenomeno dell’arbitraggio fiscale tra paesi, che permette alle compagnie meglio organizzate di pianificare le proprie operazioni multinazionali in modo da minimizzare il carico fiscale. Questa strategia è divenuta sempre più redditizia man mano che si sono estese le reti produttive e distributive che le grandi compagnie costruiscono tra i paesi in cui operano. E’ bene però ricordare che buona parte della elusione fiscale, dal punto di vista quantitativo, è praticata dalla grande finanza internazionale, che può utilizzare le proprie reti operative, divenute enormi, e che tutti i protagonisti dell’elusione si servono dei cosiddetti paradisi fiscali in maniera essenziale nella loro ricerca del carico fiscale minimo. Vale tener presente un caso di scuola: gli statistici irlandesi hanno segnalato che un terzo del Pil irlandese è rappresentato da queste operazioni fasulle, che attribuiscono all’Irlanda, negli anni precedenti la grande crisi iniziata nel 2008, un reddito fatto in parte cospicua di “panna montata”. Tutto perché l’Irlanda ha scelto oculatamente di diventare un paradiso fiscale all’interno dell’Ue, colpendo i profitti realizzati nella sua giurisdizione fiscale con una tassa assai più bassa di quella che caricano i paesi più grandi dell’Europa continentale. Questo offende in particolarmente i tedeschi, che hanno molte multinazionali con grosse filiali o partecipate con sede in Irlanda. Nel salvataggio dell’Irlanda, la Germania richiese esplicitamente che gli irlandesi, se volevano essere salvati dalle istituzioni europee e dal Fmi, rinunciassero al ruolo di paradiso fiscale che avevano volutamente assunto per invitare gli investimenti esteri sul loro territorio. Ma da parte irlandese la reazione a questa richiesta è stata talmente violenta e ostinata che alla fine i tedeschi si sono arresi e non se ne è fatto nulla. E’ certo che, se l’Unione europea, o almeno i 17 della Ume, non si darà una legislazione comune che unifichi il carico fiscale, ancora assai diverso nei paesi membri, nulla sarà possibile concludere in materia di arbitraggio fiscale tra giurisdizioni da parte delle imprese più avvertite e organizzate. E’ un punto estremamente dolente perché riguarda la componente più grande e tradizionale della sovranità, assai più importante della sovranità monetaria, che i paesi stessi hanno ceduto senza molta esitazione, salvo poi accorgersi che la moneta unica, senza la fiscalità unica, era impossibile da gestire. Una volta che si comincia, tuttavia, bisogna subito mettersi d’accordo su quale filosofia adottare, quella della tassazione adeguata ai livelli più alti, o ai più bassi, come chiedono gli inglesi. Poiché si deve anche ricordare che quando si parla di paradisi fiscali è bene non evocare tra i principali colpevoli isolette sperdute in mari caldi, ma bisogna cominciare, ad esempio, dalla Gran Bretagna, che è il più grande e ricco di risorse intellettuali tra i paradisi, potendo mettere a disposizione le capacità delle istituzioni finanziarie e legali della City, che dispone di un apparato di istituzioni e forza lavoro enorme e sofisticato, dal quale dipendono le isolette sperdute nei mari caldi, quasi sempre ex colonie di Sua Maestà, e di sistemi legali quasi uguali a quello inglese, che si basa sulla assai elastica e duttile common law, assai più adatta del diritto civile di origine romana col quale operano le grandi nazioni continentali, a fare da struttura portante per contratti e transazioni che superino agilmente i confini tra giurisdizioni. Né vogliamo ridurre l’importanza della Svizzera, del Lussemburgo, del Liechtenstein nello stesso settore. Ma anche Cipro, l’isola di Man e le isole del Canale offrono servizi sofisticati per gli stessi scopi, anch’esse territori legatissimi alla Corona inglese (e alla City), indipendenti per finzione da tutti accettata. Così pure vanno ricordate la Città del Vaticano e la Repubblica di San Marino, stati solo formalmente indipendenti, ma in realtà organicamente legati ai meno trasparenti affari finanziari italiani. Chi si è occupato di questi problemi, calcola l’entità dell’elusione fiscale delle grandi entità economiche private, produttive, commerciali e finanziarie in svariati “trilioni” di dollari. Le operazioni che compongono tale fantasmagorica somma danno luogo a flussi finanziari internazionali ormai assai rilevanti quando si calcola l’entità degli squilibri di bilancia dei pagamenti che affliggono in maniera sempre più pesante l’economia mondiale. Si sommano a tutte le operazioni che danno luogo agli squilibri stessi con flussi reali di merci e servizi, e agli eccessi di importazioni o esportazioni nette che sono al centro dell’analisi più tradizionale degli squilibri di bilancia dei pagamenti. Così i Paesi in surplus o deficit si rinfacciano l’un l’altro di essere la fonte principale degli squilibri. Mentre lo fanno, le multinazionali produttive, commerciali e specialmente finanziarie, continuano il loro alacre lavoro di costruzione sempre più estese e sofisticate reti di elusione fiscale. Finora le autorità politiche dei paesi più importanti hanno affrontato i problemi dell’elusione cominciando dal lato sbagliato, trascurando queste rilevantissime ma potenzialmente assai politicamente ostiche relazioni transanazionali. Hanno fatto come chi ha perso le chiavi e le cerca sotto la luce di un lampione, non perché è lì che sono cadute, ma perché ci si vede. Ora pare che la musica cominci a cambiare, ma è essenziale che si facciano accordi che estendano l’area illuminata dai lampioni, e non consistano nel moltiplicare gli sforzi nelle aree oscure, continuando a brancolare nel buio. Basterà attendere qualche mese, per vedere se il vento è veramente cambiato. Il momento è propizio, specialmente perché i governanti degli Stati Uniti sembrano i più decisi a muoversi nella direzione giusta e hanno cominciato a farlo. Ci sono anche parecchi mesi di campagna elettorale in Germania e in quel paese pare che l’opinione pubblica sia ben disposta a vedere sforzi nel senso giusto in campo di elusione fiscale delle grandi istituzioni private. Anche il Giappone ha ora un governo che tende a estendere l’area della propria sovranità fiscale a comprendere persino le proprie multinazionali. I due summit di quest’estate forse ci permetteranno di farci delle opinioni più precise sulla genuinità e persistenza di questi sforzi.