Matteo Persivale, Corriere della Sera 24/02/2013, 24 febbraio 2013
FERRARI E FRANCOBOLLI. QUANDO LE PASSIONI DIVENTANO UN AFFARE —
Robert Altman, il grande regista di Nashville e America oggi e tanti altri capolavori, aveva versato vetriolo — da par suo — sui paradossi del mercato dell’arte nell’incipit, fulminante, della sua biografia di van Gogh, Vincent e Theo. La storia tristissima del genio accecante de «I girasoli» che visse e morì in povertà disperata comincia con un’asta elegantemente asettica, ai giorni nostri, d’un quadro di quel grande, trasformato in investimento milionario per super ricchi senza volto.
Ma il film è del 1990 e da allora è cambiato molto anche nel mondo dei super ricchi, spiegava ieri il Financial Times anticipando uno studio di Knight Frank, l’agenzia di consulting del settore immobiliare fondata nel 1896 nel salotto buono della City londinese. Chissà come reagirebbe Altman — scomparso nel 2006, prima della grande crisi — leggendo che neppure i quadri d’autore, ormai, tengono il passo dei nuovi giocattoli di coloro i quali vengono chiamati dagli esperti di statistica «Hnwi», cioè «High Net-Worth Individual» — persone con elevata ricchezza netta, con a disposizione budget di spesa di decine di milioni di euro.
Nell’ultimo decennio la crescita dei prezzi delle grandi opere d’arte è stata del 199%. Peccato che il mercato dei francobolli sia cresciuto nello stesso decennio del 216% e quello delle monete rare del 248%. Ma in cima a quello che viene pertanto definito «Passion Index», «indice della passione», ci sono le auto d’epoca, in testa alla classifica globale con un impressionante 395%.
Nulla batte le Ferrari e Porsche d’annata: tranne l’oro, che con il 434% conferma l’acume dei nostri antenati che già seimila anni fa — testimoniano gli archeologi — lo utilizzavano per manufatti ritrovati nelle necropoli.
I beni immobili, come investimenti più tradizionali, finiscono ridimensionati dal «Passion Index», che dimostra come il mattone di lusso più redditizio dell’ultimo decennio (quello di Hong Kong) si fermi al 221%. Battendo sì di misura gli immobili di San Paolo (211%), distaccando drammaticamente quelli parigini («solo» 117%), smentendo parzialmente la fama di Londra come città dai prezzi grotteschi (103%: il match immobiliare Brasile - Regno Unito finisce 2-0). Soprattutto poi i sostenitori — dentro e fuori l’accademia — del declino irreversibile dell’«impero americano» (termine ormai sdoganato anche a destra, cfr Niall Ferguson et al.) possono trovare conforto alle loro tesi leggendo che i prezzi delle case di lusso di New York sono cresciute del 72%.
Una cantina di grandi vini (prezzi cresciuti del 166%) rappresenta un investimento più redditizio d’una casa nel sedicesimo arrondissement, a Chelsea, o nell’Upper East Side conferendo lustro una volta per tutte non soltanto alla cultura enciclopedica dei grandi collezionisti di vini ma alla loro lungimiranza. Proprio i grandi vini vincono anche contro i gioielli (140%) e contro un classicissimo dei decenni scorsi, gli orologi di lusso (cresciuti «soltanto» del 76%, abbondantemente «doppiati» cioè da grandi Bordeaux o champagne rari).
Il fenomeno appare meno bizzarro ragionando su una serie di fattori: i nuovi «big spender» di quest’ultimo decennio di declino economico dell’Occidente vengono dall’Asia e dal Sud America (l’inevitabile acronimo in questo caso è Bric: Brasile, Russia, India, Cina), con i super ricchi cinesi particolarmente soggetti al fenomeno dell’innamoramento di massa per qualche determinato bene di extralusso (esempio: quello Château Lafite che gode del titolo di rosso più costoso del mondo) creando inizialmente una momentanea bolla destinata a esplodere quando gli enofili cinesi sedotti dai grandi nomi dei marchi più famosi si dirigono poi su altri vini (inevitabile annotare che i falsificatori di grandi vini francesi d’annata siano attivissimi in Cina).
Matteo Persivale