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 2013  febbraio 23 Sabato calendario

I 36 VISITATORI AL GIORNO DELLA DEA DI MORGANTINA

Trentasei visitatori paganti al giorno. Meno della metà dell’anno scorso. Se fosse vanitosa, la stupenda Dea di Morgantina chiederebbe di lasciare subito Aidone, sui monti Erei, in mezzo alla Sicilia, per tornarsene al Getty di Los Angeles dov’era fino al 2010 riverita da un numero immensamente più grande di ammiratori. Sia chiaro: è stato sacrosanto riportarla in Italia. Ed è stata benemerita la battaglia, durata 22 anni, per farsi restituire quella statua magnifica che i tombaroli avevano trovato nel 1977 tra i ruderi di Morgantina e si erano venduti ai trafficanti d’arte internazionali, che ne avevano ricavato 18 milioni di dollari.
Piange il cuore, però, a vedere come una decisione forse comprensibile in un’ottica paesana («È nostra! È nostra!»), ma sconcertante in un’ottica generale, sottragga quel capolavoro assoluto alla visita di tutti quei turisti che, per un motivo o per l’altro, non hanno il tempo per passare mesi e mesi in Sicilia come i grandi viaggiatori del passato. Wolfgang Goethe per due anni si dedicò solo all’Italia e per due mesi alla Sicilia? Beato lui. Di turisti così, puoi averne forse dieci all’anno. Di più, grasso che cola.
In gran parte, purtroppo, anche gli amanti dell’arte non ce la fanno proprio a dedicare una giornata intera tutta e «solo» alle rovine di Morgantina e al paese di Aidone, cinquemila anime, un hotel, cinque bed&breakfast, tre trattorie, due pizzerie, zero librerie, zero cinema, zero Internet point, 98 chilometri dall’aeroporto di Catania e 195 da quello di Palermo senza un autobus diretto che non costringa a noleggiare una macchina.
È delizioso, il piccolo museo di Aidone. Delizioso. E sono gentili, amichevoli e premurosi quelli che ci lavorano. Ma piaccia o no, non è questo il punto. Il nodo è: va bene che una statua del valore della Dea e insieme i meravigliosi Argenti di Morgantina vengano visti mediamente da un dodicesimo dei visitatori paganti degli ippopotami dello zoo di Pistoia? È una domanda ustionante, lo sappiamo, ma va fatta: la Sicilia, che pur avendo gli stessi chilometri di coste accoglie un undicesimo dei turisti delle Baleari, è in grado oggi di investire le poche risorse disponibili sparpagliandole su tutti i suoi siti archeologici e tutti i suoi musei e tutte le sue residenze nobiliari e le sue città d’arte dispersi sul territorio? Vengono prima gli interessi generali o quelli particolari di questo o quel municipio, questa o quella comunità locale?
Sono 65, i principali musei e siti siciliani. E nel 2011 (i dati 2012 non ci sono ancora...) hanno fatto in tutto 2.098.321 visitatori paganti. Cioè mediamente 88 al giorno a testa. Ma se il teatro greco di Taormina ne ha fatti in media 1.188 (più i gratuiti, ovvio: studenti, pensionati...), l’Area archeologica e l’Antiquarium di Megara Hyblaea ne hanno fatti otto alla settimana: otto! Per non dire di quella di Santa Venera al Pozzo di Acicatena: 208 paganti in un anno, cinque scarsi ogni settimana. Dati ufficiali.
Fino a qui, amen: mica si possono spostare le rovine archeologiche. Lì sono e lì devono restare. Ma davvero sarebbe una barbarie prepotente, autoritaria e centralista investire non dico su un unico grande museo nazionale come il Louvre o il British perché l’Italia deve rispettare una storia più ricca e policentrica, ma almeno su uno, due o tre musei per regione? Chi li ha, i soldi per mantenere centinaia di musei sparsi per la penisola? Prendete quella meraviglia che è il Satiro danzante di Mazara del Vallo. Nel 2011 lo hanno visto, pagando il biglietto, 15.191 persone: 41 al giorno. È giusto? Non è un tema solo siciliano: a Cartoceto di Pergola, vicino a Fossombrone, in provincia di Pesaro e Urbino, c’è l’unico gruppo statuario equestre in bronzo dorato esistente al mondo. Media dei visitatori giornalieri paganti: undici.
Vogliamo prendere atto che l’Italia non ce la fa a mantenerli tutti, i musei attuali sparsi per le contrade e che la mania di dare un tozzo di pane a tutti impedisce di concentrare le poche risorse là dove sarebbe indispensabile concentrarle? Chi ha la precedenza: l’interesse nazionale o quello delle contrade, per quanto ognuno di noi ami la sua? Non bastasse, l’esaurimento prevedibile della fiammata iniziale di curiosità per la Dea di Morgantina rientrata dall’America a cavallo fra il 2010 e il 2011 (3.804 paganti nel 2010 senza la statua, 21.883 nel 2011 dopo il suo arrivo ma solo 13.410 nel 2012), sarà accompagnato a breve da un altro problema. Dal gennaio 2014, infatti, il Tesoro di Morgantina, quei quindici meravigliosi pezzi di argento di cui dicevamo, risalenti a ventitré secoli fa e sfuggiti al saccheggio dei romani nel 211 a.C. e agli scavi degli archeologi, ma non a quello dei tombaroli, dovranno tornare in America. Cioè al Metropolitan Museum di New York che li aveva comperati nel 1984 dal famigerato trafficante d’arte Robert Hecht per due milioni e 700 mila dollari.
Con grande sorpresa da parte non solo dei siciliani, ma perfino di grandi esperti e appassionati d’arte italiani del tutto ignari della cosa, è saltato fuori infatti che per riconsegnare a noi italiani quel Tesoro illegalmente trovato, illegalmente venduto, illegalmente esportato e illegalmente comprato (meglio: ricettato) l’allora direttore del grande museo newyorkese, Philippe de Montebello, aveva strappato all’allora ministro dei Beni culturali Rocco Buttiglione un impegno sbalorditivo. Ogni quattro anni, quei magnifici pezzi di argenteria antica devono tornare per quattro anni a New York per poi tornare ancora qua. Un andirivieni infinito, con tutti i rischi del caso, che stando agli impegni firmati dovrebbe proseguire per quarant’anni.
Va da sé che la tardiva scoperta dell’accordo, che chiudeva vent’anni di trattative, ha scatenato l’indignazione di una moltitudine di persone accorsa a firmare un appello per disdire l’impegno: si è mai visto un ladro strappare un accordo ufficiale del genere al derubato?
Nel frattempo, un’altra polemica è stata aperta da marsala.it sul fatto che il museo di Mazara del Vallo, senza il Satiro danzante prestato da molti mesi alla Royal Academy di Londra, ha visto precipitare (ovvio) i visitatori. Qualche settimana fa, nella sua «Piccola posta» su il Foglio, Adriano Sofri raccontò un piccolo tormento vissuto da chissà quanti appassionati d’arte. «Avrei voluto tornare a Mozia (Trapani), a rivedere il bellissimo efebo con la mano che gli ghermisce un fianco (è la sua mano, ma la mutilazione l’ha resa misteriosamente altrui). Però l’efebo, che era stato mandato a Londra per le Olimpiadi, è andato negli Stati Uniti, al Getty di Malibu, e successivamente a Cleveland, dove resterà fino al 2014». Allora si dirottò a Castelvetrano, per l’efebo di Selinunte: macché, a Shanghai. Già che era lì, tentò a Mazara, per il Satiro: «È a Londra». La mattina dopo provò al Museo archeologico di Palermo, «dove sono custodite le meravigliose metope di Selinunte». Niente da fare: «È chiuso per restauri, che avrebbero dovuto essere completati a dicembre, ma non ce l’hanno fatta e dureranno, mi hanno detto, "ancora qualche mesetto"». Manco a dirlo, era chiuso anche il museo di Cefalù: «C’era un signore gentile, gli ho chiesto come mai non avessero diffuso la notizia, mi ha detto che, in effetti, non l’hanno diffusa. (Ehi, non l’hanno scritto nemmeno nel sito ufficiale del Museo: acqua in bocca)».
Gian Antonio Stella