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 2013  febbraio 23 Sabato calendario

PEDOFILIA, L’ARMA (IMPROPRIA) ANTI-PAPABILI

«Io penso che il cardinale Roger Mahony parteciperà al Conclave. Perché sta diventando chiaro che l’arcivescovo emerito di Los Angeles non è il vero bersaglio degli attacchi. Mahony è solo il pretesto per colpire i papabili e destabilizzare il Conclave». La voce che arriva dal cuore del potere vaticano può apparire controcorrente, al limite dell’«impopolarità». Sembra la parola d’ordine dei difensori d’ufficio di tutto e di tutti, di fronte all’indignazione di famiglie segnate in profondità dalla pedofilia di una minoranza di sacerdoti, che un tempo veniva percepita e trattata come un orribile peccato; e oggi, giustamente, è affrontata come un crimine. Eppure, il modo in cui l’offensiva contro Mahony è montata, proprio dopo le dimissioni di Benedetto XVI, lascia intravedere anche un gioco a «bruciare» qualcuno dei suoi potenziali successori; e il rischio di una involontaria deriva omofobica.
Il problema non sono naturalmente le vittime, ma quanti hanno deciso di sfruttare la loro indignazione. La pedofilia rischia di diventare l’arma impropria usata per modificare la fisionomia ed i rapporti di forza fra i 117 cardinali che eleggeranno il nuovo Papa; e per offrire un’immagine caricaturale del vertice della Chiesa, seppure indebolita e disorientata dalla rinuncia di Benedetto XVI. Vicende oscure estremizzate fino a trasformare gli scandali in scandalismo sono un grimaldello usato per aprire un varco sia dall’esterno, sia all’interno del Vaticano. Da tempo si prevedeva che l’eco dei casi di abusi sessuali iniziatisi nel 2002 nella Boston del cardinale Bernard Law, prima sottovalutati dalla Santa Sede come «un problema statunitense», poi presi di petto dal pontefice tedesco, avrebbero avuto contraccolpi durevoli. Il Conclave improvviso non soltanto li rilancia, ma ne moltiplica l’effetto dirompente.
Sta spuntando una sorta di «giustizialismo ecclesiastico» che tende a mettere sotto accusa ora l’uno, ora l’altro «grande elettore» papale: una «Mani pulite» vaticana a livello globale, con una miscela di verità e forzature. È interessante registrare il commento di uno di loro, il cardinale Angelo Comastri, vicario del Papa per il Vaticano. «I processi non si fanno nelle piazze», ha protestato nei giorni scorsi. E nella sua affermazione si avvertono gli echi dell’Italia non religiosa, indignata e sbrigativa, che vuole azzerare tutto senza andare troppo per il sottile: la somiglianza fra le due realtà salta agli occhi in modo imprevisto e piuttosto preoccupante. Ma soprattutto si intuisce il rifiuto da parte dei vertici della Santa Sede di cedere alle pressioni di spezzoni di opinione pubblica. Eppure, quanto accade è anche il riflesso di una Chiesa «costretta a fare i conti sempre più con critiche che vengono dal basso, e sono dirette e poco deferenti», spiega un personaggio-chiave per capire i rapporti fra vescovi e opinione pubblica negli Usa.
Cautamente, a bassa voce, si rilancia la tesi di un complotto internazionale che parte dall’esterno ma può trovare sponde all’interno del Conclave. Si tratta di un teorema tutto da dimostrare. L’idea che si voglia condizionare, se non determinare l’esito dell’elezione del nuovo pontefice «tagliando» o delegittimando alcuni cardinali, però, è piuttosto diffusa in Vaticano. Può suonare come una spiegazione autoconsolatoria per una Chiesa che paga il fatto di non avere capito in tempo i cambiamenti culturali in atto in Occidente; di avere coltivato colpevolmente una «cultura del segreto» negli Anni Ottanta e Novanta, durante la stagione di Giovanni Paolo II; e dunque di non essersi accorta che la percezione della pedofilia aveva assunto contorni diversi rispetto al passato: in particolare a confronto con gli anni della guerra fredda, quando il Vaticano era parte del sistema di sicurezza dell’Occidente e, in qualche misura, il suo «braccio morale»; e dunque godeva di un margine di indulgenza anche rispetto ad alcuni reati sessuali commessi da religiosi.
Ma il crescendo di accuse vecchie, riproposte adesso, è sospetto. L’ombra di polemiche alimentate strumentalmente è pesante. Dietro il caso Mahony, con la posizione della lobby online dei «Catholics United» che chiedono la sua esclusione dal Conclave, si intravedono altre sagome; e il tentativo di abbatterle una ad una. E pensare che, a sentire chi ha letto le tredicimila pagine dei documenti della diocesi di Los Angeles, Mahony sarebbe tra i cardinali che hanno capito prima gli errori del passato. Ed ha messo a punto una serie di misure all’interno della diocesi, anche con l’aiuto di agenti dell’Fbi, per combattere e prevenire gli abusi: sebbene all’esterno abbia difeso il diritto a non rilasciare tutte le informazioni riservate, perdendo la sua battaglia nei tribunali Usa. Ma la gamma degli accusati in pectore è molto più ampia. Oltre a Sean Brady, irlandese, accusato per vicende di oltre trent’anni fa, così dolorose e traumatiche da aver portato alla chiusura dell’ambasciata d’Irlanda presso la Santa Sede un anno e mezzo fa, c’è il cardinale belga Godfried Danneels, per un brutto scandalo che ha colpito l’episcopato del suo Paese.
Poi è stato tirato in ballo il presidente della conferenza episcopale Usa, Timothy Dolan, bersagliato per il solo fatto di essere stato sentito come testimone dai magistrati per alcuni abusi nella diocesi di Milwaukee. E qualcuno tenta di accreditare come possibile «macchia» anche quella di uno dei tanti fratelli del cardinale canadese Marc Ouellet, considerato «papabile» come e più di Dolan. Il fratello è un ex insegnante che nel 2003 molestò due ragazze minorenni, e questo viene considerato possibile motivo di imbarazzo per il cardinale. Se si apre un varco così arbitrario, però, non è da escludersi che di qui al Conclave facciano capolino altre «incompatibilità morali». Non solo per la questione della pedofilia ma magari per altre vicende più o meno controverse, riguardanti «eminenze» italiane. In Vaticano sostengono che assecondando queste pressioni ci si troverebbe di fronte ad una specie di «lame duck syndrome», la sindrome dell’anatra zoppa. O, nello scenario peggiore, dei «dieci piccoli indiani». Nel romanzo giallo omonimo della scrittrice inglese Agatha Christie, uno ad uno muoiono tutti i protagonisti.
Ma in vista del Conclave, se le accuse fossero prese per buone e tradotte in veti, gli «indiani» in panni cardinalizi a rischio di autoesclusione saranno di più. Tutti travolti da simbolici «avvisi di garanzia» che il tribunale di settori dell’opinione pubblica consegna attraverso scorciatoie controverse. «Mai come in questi giorni capiamo l’importanza che il Conclave sia a porte chiuse e organizzato in modo da evitare qualunque contatto e condizionamento esterno», si fa notare. Forse, l’idea di anticiparlo di una settimana nasce anche dalla preoccupazione di fare presto: non ad eleggere il nuovo Papa, ma a cominciare il Conclave in modo tale che i cardinali siano soli con se stessi; e soprattutto che ci siano tutti, perché «quanto sta accadendo rischia di far saltare le procedure», si sottolinea. «Per i cardinali la partecipazione «non è facoltativa: è un obbligo. Sono nominati dal Papa proprio in vista dell’elezione del successore. È impensabile che le pressioni possano impedire a qualcuno di esserci». Eppure, il passo indietro di Benedetto XVI ha già dimostrato quanto sia diventato insondabile il destino della Chiesa.
Massimo Franco