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 2013  febbraio 23 Sabato calendario

Gira voce che il Movimento 5 Stelle potrebbe arrivare prima del Pd e comunque prima di Berlusconi, che Monti Casini e Fini resteranno a casa, eccetera

Gira voce che il Movimento 5 Stelle potrebbe arrivare prima del Pd e comunque prima di Berlusconi, che Monti Casini e Fini resteranno a casa, eccetera. Dell’Arti: «I calcoli sul Senato sono pazzeschi, le previsioni su come si governerà un quadro politico in cui il primo o il secondo gruppo parlamentare sarà formato da sconosciuti che non hanno nessun rapporto con le vecchie formazioni assomigliano agli esercizi degli aruspici romani sul volo degli uccelli o le interiora degli animali». [1] Cosa sarebbe dei grillini se alle 15 di oggi gli italiani li avessero votati in maggioranza? Proporrebbero un loro premier a Napolitano? Proverebbero a cercare i numeri per governare? E porterebbero davvero avanti un programma dove è previsto di smettere di lavorare a 60 anni (costo 35 miliardi in 5 anni), un sussidio a tutti i disoccupati (35 miliardi all’anno), l’eliminazione del prelievo fiscale alla fonte per i dipendenti (caos nei conti pubblici), il taglio delle ore di lavoro, l’abolizione sindacati, il referendum sulla permanenza nell’euro? Grillo aveva già anticipato il problema: «Se il Movimento 5 Stelle vince le elezioni sarebbe un po’ in difficoltà, dovremmo organizzarci e scegliere le persone in fretta». [2] E se prenderanno soltanto una valanga di voti, cosa faranno al momento della fiducia? Voteranno compatti contro, a prescindere, per marcare la loro diversità? E al momento dell’elezione del presidente della Repubblica indicheranno un loro candidato di bandiera come spesso hanno fatto le opposizioni o convergeranno su una figura di alto profilo sulla quale si è coagulato un ampio consenso? Oppure, proprio per questo, rifiuteranno di mescolarsi con tutti gli altri? Impossibile fare previsioni, ma rispondere, per adesso, è facile: in ogni caso cosa faranno lo deciderà la rete. [3] Non c’è alcun dubbio che la numerosa pattuglia di parlamentari eletti dal Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo rappresenterà al tempo stesso la vera novità e la grande incognita della prossima legislatura. Per esempio, dove siederanno in Parlamento? Cappellini: «È evidente che la collocazione del M5S nell’emiciclo assume un notevole valore simbolico, oltre che scenografico. Cercheranno di occupare una delle due estremità? O sceglieranno di posizionarsi al centro? La prima ipotesi è quella più legata alla tradizionale collocazione di forze dichiaratamente anti-sistema. Ma che succede quando una forza anti-sistema (e priva di qualunque volontà di alleanza) arriva al punto di essere così forte da guadagnarsi la rappresentanza di più di un centinaio di parlamentari? Si può ipotizzare che un movimento come quello di Grillo, fedele al ritornello che vuole morti i concetti di destra e sinistra, voglia sottolineare la propria centralità nel nuovo risiko politico posizionandosi in mezzo all’emiciclo non certo per moderatismo, quanto per rappresentare lo sfondamento, l’insediamento nel cuore del Palazzo fin qui contestato dall’esterno e demonizzato al punto che Grillo evoca con piacere metafore di saccheggio e devastazione». [4] I primi atti, per capire se l’irruzione di novizi assoluti nelle aule parlamentari cambierà o meno il volto della politica italiana, saranno rivelatori. Si incomincia con il voto per eleggere i presidenti di Camera e Senato, per passare poi alla fiducia per il governo e finire con la scelta del nuovo capo dello Stato (tempo fa Grillo aveva buttato là il nome di Di Pietro, qualche grillino ha fatto il nome di Dario Fo; niente da fare: si voterà su internet). Ignazi: «Per quanto questi primi passi possano dare indicazioni sugli umori degli eletti grillini, è probabile che in queste prime occasioni si manifesti tutta l’alterità del M5S. Ma non è detto che così accada anche nel prosieguo della legislatura. Perché è nel medio periodo che si misura la vera consistenza di questo tsunami». [3] Quanto difficile sarà il processo, lo ha fatto capire Napolitano a Washington, parlando del suo «ultimo compito» prima di passar la mano. Sta tramontando un sistema, non un partito o una maggioranza. Verderami: «E i timori di una lunga gestazione per la nascita dell’esecutivo sono vissuti come il minore dei problemi, quasi si volesse esorcizzare il vero rischio, e cioè che i numeri delle future Camere non siano componibili, e che nemmeno la pronosticata alleanza tra Bersani e Monti abbia la maggioranza al Senato». [5] Restare senza maggioranza è un’ipotesi che nel Pd quotano «al dieci per cento», e che viene vissuta «come un incubo, perché “a quel punto – spiega un autorevole dirigente democratico – tornare al voto sarebbe un suicidio, ma anche dar vita a una grande coalizione con il Pdl sarebbe un suicidio”». [5] Non a caso Bersani ha mandato un chiaro messaggio: «Se in Parlamento ci saranno i grillini ci sarà da fare uno scouting per capire se intendono essere eterodiretti o partecipare senza vincoli di mandato. Non è campagna acquisti ma li testeremo sui fatti. Grillo non risponde a nessuna domanda. Io gli chiedo: dove vuol portare questa gente? Abbiamo deciso di uscire dalla democrazia? Dice che vuole uscire dall’euro, e dare a tutti mille euro al mese per tre anni. Ma così non andiamo in Grecia, ma di più». [6] Secondo Alfano dietro «lo scouting» che Bersani intende fare tra i grillini si cela un «tentativo di calciomercato per garantirsi i numeri», qualora dovessero vincere. Si tratterebbe di un’«opa ostile» verso M5S, che non è detto abbia successo, oppure sarebbe «il tentativo di applicare nel Parlamento nazionale il metodo Crocetta», il governatore che in Sicilia «è dovuto scendere a patti con i Cinque Stelle per farsi approvare dall’Assemblea regionale il bilancio». [5] Giulia Sarti, 26 anni, capolista alla Camera dell’Emilia per M5S: «In Parlamento siamo disposti ad essere responsabili, ma lo dovranno essere anche loro». Il Pd, se vincerà le elezioni, «dovrà essere fedele a quello che ha promesso in campagna elettorale». Se così sarà, allora i futuri onorevoli dei Cinque stelle saranno pronti a collaborare sui temi e sui programmi. E il loro alleati più naturali saranno inevitabilmente il partito di Pier Luigi Bersani e quello di Nichi Vendola. Ancora Sarti: «È ovvio che le alleanze con il Pdl e con la Lega saranno più difficili, ma quelli sono partiti che non hanno mai fatto veramente battaglie per il bene comune. Anche se magari ci sarà la possibilità di collaborare con alcuni di loro. Ribadisco la nostra intenzione è di non fare di tutta l’erba un fascio, di non essere ideologici. Mettere davanti a tutto i problemi del Paese. È molto più importante questo che mettere la nostra bandierina». [7] Dopo il boom siciliano dell’ottobre scorso, Grillo si è affrettato a diffondere le regole per le candidature nazionali: solo i cittadini che si sono già candidati alle elezioni comunali o regionali, ma che non sono stati eletti, possono essere selezionati. Dunque i candidati alla «parlamentarie» sono stati recuperati tra gli esclusi o non eletti alle elezioni locali (in volgare, trombati). Elisabetta Gualmini, direttrice dell’Istituto Catteneo e autrice con Piergiorgio Corbetta del libro Il partito di Grillo (il Mulino): «Il punto rilevante è che l’esclusione dei consiglieri comunali e regionali con maggiore visibilità ed esperienza consente inevitabilmente un maggiore controllo da parte del vertice (di Grillo stesso e del suo braccio destro e sinistro Gianroberto Casaleggio) e probabilmente una maggiore dipendenza, anche solo per impreparazione, dalle linee guida centrali». [2] Ma l’assenza di Grillo e Casaleggio dal Parlamento e la mancanza di quello che in altri partiti è il quadro intermedio sarà un problema. Gualmini: «Intanto una parte di questi neoeletti sono a rischio “scilipotizzazione”. Poi la vita parlamentare costringerà il folto gruppo grillino a darsi una gerarchia al suo interno provocando inevitabili frizioni». [2] Ignazi: «Le eventuali scomuniche di Grillo perderanno peso nei confronti di chi ha un mandato di cinque anni e lavora quotidianamente in una assemblea rappresentativa. Lo si è visto in Emilia-Romagna, la regione laboratorio del M5S. Lì erano emersi i primi dissensi tra eletti e leader, ma anche le prime fratture tra Grillo e la base del movimento. Nonostante la fatwa contro il consigliere regionale, tutte le assemblee provinciali dei militanti avevano confermato piena fiducia all’eletto. È un esempio di dinamiche ancora sotterranee che il successo elettorale può evidenziare. L’antipolitica dei comizi non necessariamente produrrà un manipolo di neobolscevichi pronti a scardinare il sistema. Né i diktat di Grillo avranno sempre e comunque efficacia». [3] E i mercati per chi tifano? O meglio, qual è il miglior risultato elettorale secondo chi orienta gli investitori esteri? Mediobanca Securities, una società di piazzetta Cuccia che realizza studi e ricerche soprattutto per grandi compagnie straniere, ritiene che la miglior cosa sia trovarsi di fronte a una vittoria di Beppe Grillo (o di Berlusconi). «Il nostro scenario di base prevede un accordo Bersani-Monti costretto ad allargarsi anche ad altri partiti minori. Difficile che ne esca un governo forte e il rischio di nuove elezioni anticipate sarebbe elevato. Paradossalmente il peggior risultato possibile potrebbe per noi diventare il migliore. Un incredibile successo del Movimento 5 Stelle oppure una vittoria all’ultimo minuto di Berlusconi potrebbero spaventare i mercati a sufficienza da mettere pressione sullo spread e così fornire all’Italia la scusa perfetta per scegliere quel che noi continuiamo a considerare la miglior via per ovviare alla non sostenibilità del suo debito pubblico: entrare nel programma Omt di Mario Draghi». [8] Tradotto: se vincono i due “impresentabili”, c’è da augurarsi che la reazione dei mercati sia talmente violenta da costringere il governo – qualunque esso sia – a mettersi sotto la tutela della Bce, perché il debito italiano starebbe meglio dentro una sorta di recinto europeo. Palombi: «Come si ricorderà, Draghi ha lanciato in settembre il suo Outright Monetary Transaction, un programma antispread che, a fronte del sostegno “illimitato” della Bce sul mercato dei titoli di stato, prevede per gli stati che lo applicano una serie di obblighi di bilancio non specificati ma sintetizzabili con tagli e ancora tagli alla spesa pubblica. Tanto è oscuro – e antidemocratico – il meccanismo Omt che lo stesso Mario Monti ha sempre rifiutato di sottoporre l’Italia a una tutela così stringente, ma per chi ha solo l’obiettivo di veder tornare indietro i propri soldi (moltiplicati dagli interessi) questa non è affatto una preoccupazione, ma “the best case scenario”». [8] Note: [1] Giorgio Dell’Arti, Gazzetta della Sport 23/2; [2] Emilia Patta, Il Sole 24 Ore 21/2; [3] Pietro Ignazi, l’Espresso 23/2; [4] Stefano Cappellini, Il Messaggero 20/2; [5] Francesco Verderami, Corriere della Sera 22/2; [6] la Repubblica 20/2; [7] Corriere della Sera 22/2; [8] Marco Palombi, il Fatto Quotidiano 19/2.