Antonio Rossitto, Panorama 21/2/2013, 21 febbraio 2013
SLOT DURA SENZA PAURA
Scornati dalla perdita del jackpot che faceva lievitare i loro stipendi da manager navigati, gli addetti alle slot machine del Casinò di Venezia hanno trovato un sempiterno rimedio: scioperare a oltranza. Bastano due orette di preavviso per incrociare le braccia e rimandare migliaia di clienti a casa. I 52 slottisti hanno cominciato il 26 dicembre scorso, ma sono ancora in agitazione, incuranti degli improperi che risuonano dal Ponte degli Scalzi a piazza San Marco. Perché i tapini da sempre sono considerati dei bramini fra i dipendenti del Comune di Venezia. Le cifre le ha date il casinò stesso, tutto in pubbliche mani, sfibrato dalle continue sommosse: nel 2012 gli operatori delle slot hanno guadagnato dai 70 agli 80 mila euro. A cui, in passato, si aggiungevano altri 15 mila euro circa, legati agli incassi. Che l’anno scorso però sono stati straordinariamente magri. Da qui l’ira funesta e le proteste che rischiano, per restare in tema, di mandare tutto a carte quarantotto.
La disputa lagunare è l’emblema dei tempi. Da una parte la crisi che galoppa. Dall’altra chi non è disposto a cedere un millimetro di privilegi ormai defunti. Con il risultato di spaccare i lavoratori, la città e persino l’unità sindacale. Esasperato, l’amministratore delegato del Casinò di Venezia, Vittorio Ravà, si è pubblicamente rivolto ai segretari delle tre principali confederazioni sindacali: Luigi Angeletti, della Uil, Raffaele Bonanni, numero uno della Cisl, e Susanna Camusso, omologa della Cgil. «Gli obiettivi primari del sindacato» ha scritto Ravà in una lettera al Corriere della sera «devono essere la salvaguardia e il consolidamento, prima di tutto, dei posti di lavoro e non la semplice salvaguardia dei privilegi delle corporazioni».
Ravà è un manager con trascorsi alla Benetton e alla Fiat. È stato richiamato nel 2010 a Venezia per mettere ordine. Seduto nel suo ufficio di Ca’ Vendramin, con vista sul Canal Grande, da un’altra voluttuosa boccata al sigaro: «I nostri dipendenti sono fra i più pagati al mondo nel settore. Lo sciopero è del tutto immotivato: la soglia minima di incasso prevista non è stata raggiunta. Al premio di risultato non hanno diritto».
Al secondo piano di Ca’ Vendramin c’è una delle due sedi del casinò: «La casa giochi più antica del mondo» come recitano le réclame. Ormai è quasi un palazzo di rappresentanza. La sede attorno a cui ruotano clienti e incassi è a Ca’ Noghera, sulla terraferma: un capannone di 5 mila metri quadrati a pochi chilometri dall’aeroporto. Alle roulette e alle slot machine di Ca’ Noghera si affollano persone venute da tutto il Nord Italia. Per il resto, una marea di cinesi. «Ormai i clienti affezionati sono rimasti pochi» spiega Ravà. «E chiudendo le sale in anticipo, dopo che magari un imprenditore ha fatto tre ore di macchina per arrivare, rischiamo di perdere pure quelli». L’ultimo sciopero, una settimana fa, ha obbligato 3 mila persone a tornare a casa anzitempo. Negli ultimi due mesi il danno economico sarebbe stato di almeno mezzo milione di euro. Ma non tiene conto di chi, infastidito dal disservizio, non farà più ritorno a Ca’ Noghera.
Al Casinò di Venezia gli addetti alle slot sono 52. La maggior parte è entrato con il concorsone pubblico del 1999. Chi è stato assunto dopo quella data nel 2012 ha guadagnato in media 71 mila euro, mance comprese, sostiene l’amministrazione del casinò. Mentre i compensi dei 10 veterani, in servizio prima di quell’anno, arrivano a 83 mila euro. Cifre sontuose a cui, in precedenza, veniva aggiunto un premio di produzione. L’accordo sindacale siglato con l’azienda nel 2008 prevedeva che gli incassi delle slot machine dovessero raggiungere 85 milioni di euro. Cifra che però nel 2012, complice la concorrenza delle sale gioco e delle puntate online, non ha superato i 67 milioni su un totale di 117. Da qui gli scioperi a oltranza.
Due dei riottosi Panorama li incontra in un bar alle spalle di piazzale Roma, ai piedi del ponte progettato da Santiago Calatrava. «Il nostro è un lavoro usurante» sostiene l’avvenente bionda addetta alle slot. Ma sono 35 ore a settimana, obietta il cronista. «Sì, ma siamo in servizio anche fino alle 4 di notte. E poi abbiamo responsabilità enormi: pensi, se a un cliente consegniamo 5 mila euro invece di 500...». Responsabilità enormi ricompensate con stipendi doppi rispetto a quelli comunali... «Lasci perdere, io ormai non dico più a nessuno il lavoro che faccio. Se mi domandano, rispondo: impiegata». Il punto è che gli slottisti, fra le calli veneziane, non hanno fama di indefessi. Il collega, un omone in tenuta sportiva, chiarisce: «Ci alterniamo alla cassa e in sala. In cassa cambiamo le fiches e i gettoni. Mentre in sala siamo al servizio dei clienti». Cioè? «Gli spieghiamo come si usano le slot». E basta? «E poi resettiamo le macchine in caso di jackpot».
Urge dunque classica ed empirica prova sul campo. Casinò di Ca’ Noghera, 14 febbraio 2013, giorno di San Valentino: alle 10 di sera il cronista si aggira speranzoso tra le centinaia di slot machine per una buona mezz’ora. Di attendenti di sala, però, nemmeno l’ombra. Solo qualcuno staziona di fronte alle casse, sperando in qualche mancia furtiva. Di fronte alle critiche Gianpietro Antonini, barba bianca e modi amichevoli, segretario dell’Usb, l’Unione sindacale di base, il sindacato più arcigno della partita, tira avanti senza paura: «Mi dicono che salvaguardo i privilegiati, ma io difendo i diritti, a prescindere dai redditi. Qui stanno fomentando l’invidia sociale. E comunque gli stipendi di cui parliamo sono molto più bassi. Perché invece i dirigenti non ci mostrano il loro 730?».
Dalla contesa si è sfilata la Cgil. Il 4 febbraio 2013, con un comunicato in cui ha arditamente paragonato la vertenza degli slottisti del Casinò di Venezia a quella dei minatori britannici organizzata tra il 1984 e il 1985, ha deprecato «una battaglia che può mettere a rischio posti di lavoro». Salvatore Affinito, segretario della Slc-Cgil di Venezia, sintetizza: «Sono scioperi selvaggi, assolutamente sproporzionati rispetto agli obiettivi: rompono la solidarietà della categoria e favoriscono la privatizzazione del casinò».
Già, la privatizzazione. Perché sullo sfondo delle agitazioni c’è la volontà del comune di cedere le sue quote a un privato. L’advisor Kpmg ha già formalizzato le condizioni della cessione: al comune andrebbero 300 milioni di euro e il 10 per cento degli incassi nei prossimi vent’anni. L’operazione è caldeggiata da buona parte dei veneziani. Lorenzo Miozzi, presidente del Movimento consumatori, attacca: «La gestione pubblica non ha senso, visto che non ci sono da tutelare interessi della collettività: bisogna accelerare la privatizzazione».
Ipotesi che tutti i 650 dipendenti del casinò scongiurano: «Lo sciopero dei lavoratori delle slot machine è la protesta della casta. Hanno stipendi faraonici: guadagnando tre volte il reddito medio di un veneziano e sei volte quello di un ricercatore universitario».
Del resto, le serrate notturne al Casinò di Venezia non sono una novità. Massimo Cacciari, sindaco della città fino al 2010, si è periodicamente scagliato contro gli «scioperi irresponsabili» dei croupier, ancora più fortunati dei colleghi delle slot «Stiamo parlando di gente che guadagna il doppio del mio stipendio di docente ordinario all’università con trent’anni d’insegnamento» denunciò a novembre del 2007.
Qualche anno dopo, crisi economica o meno, praticamente nulla è cambiato. Al casinò scioperano e tra le calli i maligni imprecano: «Quando xe che ’sti qua cominxierà a lavorar?».
(antonio.rossitto@ mondadori.it)