Furio Colombo, il Fatto Quotidiano 22/2/2013, 22 febbraio 2013
CONSIGLI SU COME FUNZIONA UN PARLAMENTO IMMOBILE
Mi domandano ormai ogni giorno i miei concittadini confusi, irati, pronti a vendicarsi, pronti a perdonare, purché questo grande treno fermo che è il Paese Italia si rimetta in moto. Mi domandano di tutto, ma non del Parlamento. Ovvero: se ci sarà quest’onda anomala di invasione di gente diversa nel tempio ormai screditato delle due Camere, che cosa farà per prima cosa? Come farà, una volta dentro, a far funzionare quella macchina che ha le sue regole e non le ha mai cambiate perché tutti (quasi tutti) hanno sempre detto e ripetuto di trovarsi bene? Chiedo ai nuovi venuti di tenere conto che alcuni deputati e senatori radicali (e pochi altri) non si sono mai arresi alle paratie stagne delle porte imbottite, dei passaggi oscurati, delle regole immutabili. Farà differenza questa volta il numero di coloro che, con nuove intenzioni occuperanno, questa volta, non pochi seggi ma una parte dell’aula? Forse sì, specialmente se la strategia sarà più creativa che vendicativa. Non pretendo di dare istruzioni. Non sarò capace di dare la chiave delle porte chiuse a chi viene dopo. Ma almeno proverò a indicarle. Per chiarezza provo a numerare i miei argomenti.
1. La vita del Parlamento italiano, anzi la sua natura, è segnata dalla sovrapposizione perfetta fra partito e gruppo parlamentare. Ogni pattuglia o esercito di eletti giunge con le prime file già designate, e dunque votate, alle varie posizioni disponibili (il capogruppo in aula, i segretari d’aula, i presidenti, vice presidenti e i capigruppo delle singole commissioni). In alcune posizioni (Presidenti di commissione, Questori) può contare il rapporto e la trattativa con altri gruppi. Ma le decisioni restano fuori da ogni discussione parlamentare. Avvengono in un partito o fra partiti.
2. La posizione di presidente della Camera e del Senato è un punto di incrocio del rapporto fra i partiti, gruppi parlamentari e visioni politiche nel Paese. È legittimo che sia così perchè quelle posizioni sono l’unico punto di contatto fra il dentro e il fuori del Parlamento, spesso alla ricerca di un bilanciamento, o almeno di un senso, fra e con le altre cariche dello Stato. Ma una volta scattata la decisione, l’autorevolezza del presidente è più formale che sostanziale. Infatti le decisioni su ciò che accade in aula dipende dalla “Conferenza dei capigruppo” che rappresenta, come abbiamo visto, i partiti, non la vita parlamentare. Quando si dice la famosa frase “di questo discuteremo in Parlamento”, si intende dire: “Decideranno i partiti”, facendo valere le proporzioni di forza, e comunque imponendo o cedendo a seconda di eventi politici che avvengono fuori dal Parlamento.
3. Ai singoli deputati il regolamento non concede alcuna iniziativa, salvo per dichiarare il dissenso dal proprio partito (un minuto prima di chiudere la discussione ma dopo la trasmissione televisiva delle dichiarazioni di voto) o, sempre per un minuto , “sull’ordine dei lavori”. Ma resta la discrezionalità del Presidente di togliere la parola se ritiene non pertinente la ragione dell’intervento. Tutto il resto avviene per iniziativa e incarico del gruppo parlamentare e dunque del partito, che non favorisce (o meglio, taglia fuori ) i non obbedienti.
4. Il rango del parlamentare non sale nel Parlamento (come avviene nel Congresso americano con la drammatica differenza fra “junior” e “senior member” valutato nelle successive legislature). Avviene nel partito, dove intesa o malinteso alzano o abbassano la rilevanza e la carriera parlamentare. Come si vede, la tragica situazione del “porcellum” elettorale tende a riprodursi. Il Parlamento vive di una vita etero-diretta che si svolge nelle segreterie dei partiti ma non c’è maggioranza (meglio: non c’è stata fino ad ora) per rigettare la situazione di blocco, che tiene sotto controllo partitico (e dunque dei leader di partito) tutta l’attività che dovrebbe essere il punto generatore della democrazia.