Carmelo Caruso, Panorama 21/2/2013, 21 febbraio 2013
PARMAROTTI
Ci prenderemo pure il cielo» aveva gridato nel 2012, in campagna elettorale. Ma a Parma anche il cielo è finito in mano alle banche, come ipoteca. Alla fine è stato Beppe Grillo a ridimensionare la città e a ridurla provincia della provincia; quella stessa città che nella sua ipertrofia da capitale voleva dotarsi perfino di una metropolitana per guardare meglio a Vienna e Parigi. Ed è vero che se Parma è il laboratorio del Movimento 5 stelle, che solo 8 mesi fa ha eletto sindaco Federico Pizzarotti, oggi rischia di fare apparire l’ex comico un accomodante burocrate che si scappella di fronte alle banche, proprio lui che il debito prometteva di non pagarlo.
Dove hanno fallito i partiti, insomma, sono riusciti gli istituti di credito: hanno messo la museruola a Grillo. E Pizzarotti si è trasformato in un amministratore con le mani di forbice; più che un grillino pare un bocconiano scelto da Mario Monti. «La più grande sciagura che gli potesse capitare è essere stato eletto» sostengono molti parmigiani. Così a Parma negli ultimi tempi lo stesso Grillo ha scoperto l’eresia, la contestazione dei passeggini da parte delle madri che lo hanno accolto con la protesta dei biberon al suo ultimo comizio. Mai infatti i parmigiani avrebbero pensato che i loro asili nido, i migliori d’Italia, sarebbero divenuti un lusso da Rotary, con rette da 1500 euro per chi guadagna 32 mila euro. Cosi sono ricominciate le proteste sotto i Portici del grano, la darsena della contestazione che quasi un anno fa aveva portato alle dimissioni dell’ex sindaco Pietro Vignali, del Pdl, poi finito agli arresti domiciliari un mese fa per corruzione e peculato.
Sacrifici, sacrifici
Anche l’abitudine ai sacrifici, già imposta dall’ex commissario straordinario Mario Ciclosi, con il nuovo sindaco è esplosa. La città si è vista portare l’aliquota Imu e Irpef al massimo consentito, quasi 1.000 euro per una casa di proporzioni medie. Regista dell’operazione è stato l’assessore al Bilancio, Gino Capelli, cui tutti riconoscono il ruolo di vero sindaco: esperto commercialista, è stato lui a curare il fallimento della casa di moda Guru e avrebbe creato quella che in città ora chiamano «la cerchia dei curatori fallimentari». Su sua indicazione è stato scelto Luigi Bussolati come amministratore delegato della Stt, la holding che gestisce le partecipate comunali. Sia chiaro, senza quella democrazia grillina dei curriculum che ha fatto perdere mesi nella composizione della giunta, visto che Bussolati è stato nominato a chiamata diretta. Discussa anche la nomina di Lorenzo Bagnacani a vicepresidente della Iren, la società dei rifiuti, per un evidente conflitto d’interessi: è amministratore delegato della Idecom, la società che si occupa di energia rinnovabile e che ha rapporti di lavoro con la Iren.
Oggi Parma sembra un po’ Siena: da fabbrica di denaro si è tramutata in città commissariata. E un po’ commissariata pare anche la giunta, che porta in consiglio solo quel che viene già deciso altrove. Nota Alessandro Bosi, docente di sociologia all’Università di Parma e autore del saggio Il caso Parma: «Gli eletti dei 5 stelle sono improvvisati, mancano scelte di lungo periodo, il loro è un monocolore assoluto. Vivono dentro una bolla e sono isolazionisti. Dovevano rovesciare la città come un guanto e invece...».
La sintesi della situazione si deve a un collega di Bosi, Sergio Manghi, intellettuale di rango con il vizio dell’anagramma. Ha fuso i cognomi di Pizzarotti e Grillo con questo risultato: «Bolle, artifici, grezze, toppe». Ed è Manghi a ricordare uno dei refrain di Pizzarotti: «Diceva che la sua bacchetta magica sarebbe stata la volontà. Ma anche il grillismo non è più quello di un anno fa. Per Parma è stato l’antidepressivo, il fatto che Grillo sia sceso dal palco a parlare con le madri è significativo della sua crisi in questa città».
Chiudono i negozi del centro
Insomma, sembra svanito il cantiere Parma lanciato da Elvio Ubaldi, sindaco prima di Vignali, il politico che ha spostato l’amministrazione dalla sinistra alla destra e che è stato il convitato di pietra al ballottaggio poi perso dal centrosinistra con Vincenzo Bemazzoli. Ubaldi adesso infierisce con un’ode alla città che costruiva: «Parma non può ritirarsi su se stessa. Si nascondono dietro il debito. È un’amministrazione inventata».
Nel salotto della città, via Repubblica, nell’ultimo mese hanno chiuso 30 negozi, ma va peggio nei dati di occupazione che sciorina l’economista Piergiacomo Ghirardini: Parma ha perso 800 posti negli ultimi tre mesi e ha 9 mila nuovi iscritti al collocamento. «Un tempo, per essere disoccupati, qui ci voleva coraggio» scuote la testa Ghirardini. Cristiana Quintavalla, professoressa di filosofia, guida la commissione dell’audit che deve valutare i bilanci comunali; ha provato a parlare in occasione di un dibattito sul bilancio di previsione, ma dal comune le hanno consegnato un modulo: «La risposta arriverà via email». «Chiedevamo di rinegoziare il debito» protesta «di dilazionarlo nel tempo e non farlo gravare tutto sui cittadini. Hanno diminuito i fondi agli immigrati e chiuso il campo nomadi. Grillo dice una cosa, la giunta Pizzarotti fa tutt’altro».
Il bilancio approvato all’una di notte
E neppure gli artigiani, che a Parma sono il controcanto della potente Unione industriali dei Doberdò celebrati da Alberto Bevilacqua nella Califfo, hanno avuto voce in capitolo, come lamenta il loro presidente Gualtiero Ghirardi, estromessi tutti dai processi decisionali che hanno portato all’approvazione del primo bilancio. Un bilancio approvato all’una di notte, a metà febbraio, solo perché Grillo ne voleva fare il suo scalpo per le elezioni. Qui Michele Santoro ha spedito il viso dolce di Giulia Innocenzi, da contrapporre al volto bonario di Pizzarotti. È finita che si sono accusati vicendevolmente di faziosità.
Eppure, una sponda nei media i grillini parmigiani sembra che l’abbiano trovata in Teleducato, piccola tv locale che ha una linea editoriale di plauso. Più diffidente invece la Gazzetta di Parma: il giornale intervista più Mario Monti dei consiglieri comunali. Dice Claudio Rinaldi, caporedattore: «La più grande colpa rimane l’inceneritore. Qui i grillini hanno vinto per il loro no. Era chiaro, invece, che sarebbe partito perché prescindeva dalla volontà politica. E infatti sarà inaugurato fra pochi giorni. Chi si aspettava un eccellente governo ha scoperto una giunta anonima».
Forse una «giunta da città decotta» suggerisce Giorgio Pagliari, che sarebbe stato eletto sindaco se non si fosse messo di traverso il Pd nazionale. E se il consenso si misura dalla fiumana, è già gara a capire quanta ne ha raccolto Grillo in quest’ultima occasione, e se la città è pronta a riprendere le pentole da battere, a conferma di quello che diceva Guido Piovene: «A Parma la contestazione e la violenza evaporano in fantasia». Sotto il busto di Giuseppe Garibaldi, anche Grillo sembra essersi tolto l’auricolare. Nella città la sua risata è stata sostituita da una valigetta 24 ore, l’insulto alla politica si è tramutato in realismo contabile e il tabarro di Grillo in un loden: così diverso, così uguale.