Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  febbraio 22 Venerdì calendario

LA GRANDE CRISI CHE È TRA NOI


Ogni tanto girano sui giornali numeri impazziti. Non aiutano. La caduta dei redditi e dell’occupazione è preoccupazione giornaliera degli italiani: non serve alimentarla con inesattezze come quella, apparsa di recente, che il reddito per abitante italiano sarebbe tornato al livello del 1986. Se così fosse, avremmo perso ben 26 anni, tanti quanti ne avevamo persi nel 1946, dopo guerra e grande crisi, quando il reddito per abitante era pari a quello del 1918. Non siamo per fortuna a questo. Qualora i dati provvisori per il 2012 fossero confermati, il reddito medio degli italiani sarebbe stato l’anno scorso circa pari a quello del 1998. Abbiamo perso 14 anni. Tantissimi, ma solo la metà di quanto ci era stato detto due settimane fa.
Grazie a una ricerca condotta dalla Banca d’Italia per i 150 anni dell’Unità, siamo in grado di confrontare la crisi attuale con la "madre di tutte le crisi", quella degli anni Trenta, per la quale possediamo nuove stime che la dànno, in Italia, più grave di quanto sinora si pensasse.
L’anno migliore prima della Grande Crisi fu il 1929, quello prima della Grande Recessione il 2007. Sono passati cinque anni: come si confronta il 2012 con il 1934? La notizia non è buona: abbiamo perso oggi un po’ più reddito rispetto al 2007 di quanto ne avessimo perso nel 1934 rispetto al 1929. Abbiamo dunque vissuto una crisi almeno pari a quella degli anni Trenta. Se poi si realizzassero le previsioni di un’ulteriore caduta dell’1% del reddito nel 2013, quella attuale passerebbe alla storia come la più severa crisi della storia economica dell’Italia unita (nel 1935 si ebbe, al contrario, un buon rimbalzo verso l’alto del Pil, benché drogato dalla spesa bellica).
Se i numeri complessivi delle due crisi sono, sinora, simili, molte sono anche le differenze. La prima è che l’economia italiana aveva vissuto negli anni Venti un periodo di crescita piuttosto robusta, crescita che è stata viceversa assai fiacca nel decennio che ha preceduto la crisi attuale. Questa diversità non è di poco conto, anche per le ricette di politica economica. Un conto è rilanciare un’economia con elevato tasso di crescita potenziale: le politiche di stimolo della domanda funzionarono (portarono poi alla tragedia della guerra, ma non era necessario che così fosse). Un altro conto è rilanciare un’economia a basso tasso di crescita potenziale, caratterizzata da un sostanziale ristagno della produttività: oggi politiche fiscali e monetarie espansive, se pure fossero possibili, non produrrebbero l’effetto che, nel 1935, ebbe il riarmo per la guerra d’Etiopia.
Avendo dato una notizia cattiva (siamo come negli anni Trenta) è bene aggiungerne qualcuna di buona. La prima è che occupazione e consumi privati hanno tenuto negli ultimi anni meglio che nella Grande Crisi. Non è cosa da poco. Le ragioni possono essere molte e varrebbe la pena di indagarle con attenzione. Il secondo aspetto positivo di oggi rispetto ad allora è la vitalità delle nostre esportazioni che dopo un crollo preoccupante si sono rapidamente riprese. Merito delle imprese esportatrici ma anche del diverso quadro internazionale. Negli anni Trenta, la chiusura a riccio di ciascun Paese per proteggere il proprio mercato aggravò la crisi di tutti. La terza buona notizia viene dall’Istat: tra il 2000 e il 2011 la caduta del reddito è stata inferiore nel Mezzogiorno (-1,8%) che nel Centro-Nord (-3.6%). Negli anni Trenta il Sud fu, invece, particolarmente penalizzato. La quarta buona notizia viene da alcuni indicatori non economici di benessere: nell’ultimo decennio il tasso di scolarizzazione è aumentato come mai in periodi di analoga lunghezza e la vita media ha continuato ad allungarsi. Non fu questa l’esperienza di ottanta anni fa.
Rispetto agli anni 30, il rilancio della crescita chiede oggi ricette diverse. Richiede che si muovano le molte leve che impattano sulla produttività. Richiede che la crescita sia vista come l’obiettivo di tutta la società (negli anni 30 il rilancio avvenne incidentalmente, l’obiettivo era l’effimera conquista di un impero), senza sbagliare le politiche, magari illudendosi che basti iniettare spesa nel sistema: allora funzionò, seppure in modo effimero, oggi ciò non solo è impossibile ma sarebbe ancora più effimero di allora.