Marzio Breda, Corriere della Sera 22/2/2013, 22 febbraio 2013
NAPOLITANO, L’ARTE DI GOVERNARE LE PASSIONI
Il primo flashback ci porta nella piazza di Nola, dove, in una sera d’aprile del 1972, un «quadro» della Fgci, un filosofo e un dirigente del Partito comunista devono intervenire in campagna elettorale. Quando i tre stanno per salire sul palco il segretario della sezione locale prende in disparte il più giovane, Paolo Franchi, e lo avverte che «qui piacciono i toni forti», preoccupato che almeno lui «scaldi i compagni» poiché né il filosofo, Biagio de Giovanni, né l’alto dirigente giunto da Roma, Giorgio Napolitano, gli sembrano comizianti pronti a concedere granché alla pancia della gente. Franchi fa la sua parte, inneggiando anche al Fronte nazionale di liberazione del Vietnam del Sud, e si guadagna tanti applausi. Poi, quando tocca a Napolitano, accade l’inaspettato: abbandona il tipico «eloquio forbito» e, «scaldati i toni» come richiesto dal momento e dal luogo, fa un discorso che «manda a casa soddisfatti» i militanti.
È un apologo che dimostra fino a che punto arrivi l’autodisciplina di Napolitano. Il quale, se pure quella sera non arrivò a fare «la faccia feroce» come a Nola avrebbero voluto, forzò comunque il proprio naturale understatement al servizio di una battaglia in cui credeva. Non a caso Paolo Franchi, nella bellissima (anche perché molto ricca e molto ben scritta) biografia politica a lui dedicata (di cui pubblichiamo alcuni brani), ricorda come ami definirsi un «atarassico», cioè uno «non agitato, privo di confusione, impassibile». Il che è una piccola civetteria, una cosa vera e non vera insieme. Basti pensare a come maturò l’iniziazione politica del diciannovenne della borghesia colta napoletana, che incontrò il Pci negli anni della guerra e vi aderì d’impulso. Perché colpito dalla «impressionante realtà» di allora e convertito dalla generosa, anche se poi fallita, utopia comunista.
Il racconto della «traversata da Botteghe Oscure al Quirinale» lega in un continuum coerente la tensione ideale di quello studente dall’aria così seria con la storia del partito e con un pezzo di storia italiana. Un percorso affollato di figure più o meno grandi, ma quasi mai modeste, tra le quali giganteggia Giorgio Amendola, «padre politico» di Napolitano e leader dell’«ala destra» del partito in cui si riconobbe. Il libro di Franchi, che viene lui stesso dal Pci e che ha poi continuato a seguire da vicino la sinistra come analista politico, ricostruisce tutti i momenti cruciali del partito e di Napolitano, errori compresi, e si chiude con la sua salita al Quirinale. Dove, da undicesimo presidente, ha dimostrato di saper tutelare le istituzioni secondo quel suo carattere controllato e senza confusioni, e insomma, sì, atarassico.