Nicola Lombardozzi, Il Venerdì 22/2/2013, 22 febbraio 2013
PROIBITA – VIAGGIO TRA I GHIACCI DELLA SIBERIA, NELLA CITTÀ DEI RICCHI
NOVYJ URENGOJ. L’ingresso per la Città Proibita è un corridoio grigio, popolato da volti paonazzi e cappelli di pelliccia. Una fila di viaggiatori frastornati che si infrange in disordine davanti a due gabbioni di legno comparsi a sorpresa appena qualche giorno fa. Un posto di frontiera nel cuore della Russia, un controllo passaporti per chi arriva dalla propria capitale in questo aeroporto di ghiaccio al centro della carta geografica del Paese più grande del mondo: Novyj Urengoj, circondario autonomo della Jamalia, Siberia centrosettentrionale, a 60 chilometri da tundra, renne, e pozzi di metano del Circolo Polare Artico.
Soffia un vento gelido ma un gentilissimo orso polare ti spiega che ti è andata pure bene. In realtà è un’hostess nascosta da una pelliccia immensa. Sorride: «Trentacinque gradi sotto zero, di questi tempi è quasi caldo. Non fosse per la novità dei controlli non ci sarebbero problemi.Laggiù, oltre alle guardie, c’è il riscaldamento». Motivo di più per scalpitare e fare a spallate con i compagni di viaggio mentre i poliziotti scrutano meticolosamente il permesso rilasciato dal Ministero dell’Interno. È obbligatorio per tutti gli stranieri e ci vogliono almeno due mesi per ottenerlo. Ai russi basta invece dimostrare di essere russi. Risultato: controlli per tutti. E città chiusa.
Il perché cominci a capirlo poco dopo, al nastro trasporto bagagli. L’atmosfera è quella degli aeroporti di provincia russi: neon penzolanti, pavimento d’asfalto, vecchie porte di legno riverniciate a mano migliaia di volte. Ma le valigie sono quasi tutte nuove e eleganti, gli abiti e le scarpe di ottima qualità, i sacchetti dei duty free rigonfi di bottiglie e profumi. La gente di qui che si avvia verso i suoi fuoristrada nel parcheggio spazzato dal vento del Nord non è ricca, ma sta molto bene. È la conferma visibile di un dato ch enon sembra vero: Novyj Urengoj, detta la «Città del Gas», 120 mila abitanti, è la terza città del Paese per reddito medio. Dietro a Mosca e San Pietroburgo che sono tra l’altro le residenze dei più ricchi miliardari del mondo. Qui miliardari non ce n’è. Solo lavoratori coraggiosi venuti a monetizzare a triplo stipendio la scelta di vivere in un pugno di case costruite nel nulla, con la neve da fine settembre a maggio inoltrato, e la luce del sole che nei giorni invernali è cronometrabile in un’ora e 57 minuti dall’alba al tramonto. Pochi, ben forniti di denaro liquido, isolati dal resto del mondo. Un bocconcino prelibato per la delinquenza di tutto il resto della Russia ma anche per poveri emigranti in cerca di una sistemazione migliore. Spaventati dai troppi arrivi di gente diversa per cultura e tradizioni, molti abitanti hanno protestato e chiesto di mettere delle barriere. Adesso che il governo li ha accontentati si dividono tra perplessi e soddisfatti. Tutti ugualmente fieri della loro fama esclusiva di Pionieri del Freddo.
Di lavoratori quassù ce n’è sempre stato bisogno. Da quando si è scoperto che nel raggio di pochi chilometri, a migliaia di metri di profondità, c’è il complesso di giacimenti di gas naturale più esteso del Pianeta, almeno tra quelli in fase di sfruttamento. Le trivelle che lavorano nei ghiacci qui attorno producono energia che immense tubature trasportano in tutta Europa, Italia compresa. Fondata nel 1975 quando era ancora un fortunoso accampamento di geologi e ingegneri minerari in cerca di tesori, la città è adesso di fatto una creatura del colosso energetico Gazprom. Lo vedi nelle insegne, sugli autobus, nelle sculture di ghiaccio che si ergono, come da noi quelle di marmo, nelle piazze e nei parchi.
Gazprom è il vezzoso Palazzetto dello Sport aperto a tutti i cittadini con palestre, campi da tennis, basket e altre meraviglie per il tempo libero. Gazprom è il teatro che ospita a peso d’oro il meglio della musica e della prosa metropolitane. Gazprom, le raffinatissime scuole per neonati, gli istituti professionali, l’unico albergo di lusso e il solo ristorante dove mangiare a un certo livello e in un ambiente che sembra cittadino. Ma, fiera del suo piccolo esercito di oltremille uomini di security, Gazprom non ha mai sponsorizzato la chiusura della città. Sergej Cemetskij, da oltre dieci anni a Novyj Urengoj per la grande azienda di Stato prova a minimizzare: «Città chiusa? Direi socchiusa. Anche i controlli non sono quotidiani. Posti di blocco non ne ho mai visti. Certo la gente ha una sua identità e ci tiene molto. Teme invasioni che non sono seriamente preventivabili ma che fanno paura lo stesso».
Ma la verità, a trecento metri di ghiaccio e neve di distanza, te la racconta Marja, direttrice del museo cittadino: «Una volta eravamo una comunità unita. Ci conoscevamo tutti, ci davamo una mano in caso di bisogno. Adesso sono arrivati i nuovi che hanno altri obiettivi, altri stili di vita. Non riusciamo a legare. In pratica non li vogliamo». E non è questione di razza ne di religione, semmai di spirito. Tra gli antichi Pionieri del Freddo c’è di tutto: musulmani caucasici, ucraini, kazakhi dai tratti asiatici. Ma in comune hanno lo spirito di sacrificio e l’obiettivo finale: mettere da parte soldi a sufficienza per fare una bella vacanza al caldo ogni anno, mandare i figli in una buona università e comprare una casa bella e comoda nella propria città natale.
Da un po’ di tempo sono invece arrivati personaggi diversi che hanno allestito modeste tavole calde, che si offrono come spalaneve, elettricisti, idraulici privati. Famiglie numerose. Nessuno spirito di appartenenza con una comunità tanto chiusa. E l’inevitabile crescita di piccola delinquenza: bande di ragazzini che scippano i telefonini ai loro agiati coetanei, teppisti che si sparano i soldi guadagnati in folli corse in automobile sul gelato Lago della Gioventù per lo scandalo dei vecchi Pionieri. E soprattutto un traffico di droga, ancora piccolo ma preoccupante, che ha letteralmente terrorizzato le introverse famigliole di Novyj Urengoj.
Come in una specie di Far West Artico, la cittadina di operosi cercatori d’oro si sente invasa dai gestori di saloon, dai giocatori d’azzardo e dagli avventurieri e teme ogni momento scorribande dei banditi ai danni dei Pionieri. E rivendica un eroismo indiscutibile per la loro scelta di vita. Ti raccontano come passino le domeniche di estate, quando il termometro sale a più 11 e le zanzare sono assassine, a contemplare la piccola fontana a forma di barca alla fine di via Leningradskij, detta autoironicamente la «nostra Broadway» per via di due centri commerciali e qualche vetrina. Ti spiegano i folli colori «messicani» imposti ai palazzi stile sovietico con la necessità di combattere il fenomeno della «deprivazione sensoriale» che una volta si usava come tortura e che, per loro, è una minaccia continua con nevrosi improvvise, stati di ansia e depressione. Agli emigranti mordi e faggi, che stanno qualche mese e poi spariscono con il bottino, non si rassegnano.
Pavel Bobr, direttore dell’efficientissima scuola professionale, ovviamente Gazprom, premette la sua visione aperta del mondo: «Non discriminiamo nessuno e non vogliamo le città proibite di staliniana memoria. Ma un filtro, è proprio necessario». Nel cortile due agenti con casco e manganello. Chiedono i documenti a un gruppetto di ragazzi di colore dall’aria spaesata e infreddolita: «Solo un normale controllo».