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 2013  febbraio 22 Venerdì calendario

GUARDI’ INCASSA PIU’ DI LIGABUE E VASCO. I SIGNORI DEL DIRITTO D’AUTORE

Sono gli oligarchi della Siae: 146 autori in tutto che si portano a casa ogni anno 41 milioni di euro in diritti d’autore. Dai circa 2 milioni che incassa Michele Guardì, regista televisivo e autore di programmi come «Uno Mattina» e della «Domenica in» anni Ottanta, a Vasco Rossi e Ligabue, altri due tra i top 5 che viaggiano come fossero delle piccole industrie su 1,6 milioni cadauno solo come «dividendo» Siae, proventi da vendite, concerti, sponsorizzazioni e merchandising a parte.
Il sospetto che le ripartizioni della Società degli editori favorisse la concentrazione di ricchezze c’è sempre stato. Ma ora il Corriere può quantificarle con non poche sorprese. Ed eccoli i numeri segreti della fabbrica del diritto d’autore, tenuti per anni gelosamente custoditi in file, secretati non certo per finalità evasive (tutto regolarmente tassato) ma per non dare argomenti alle proteste degli altri 42 mila autori italiani che restano congelati nella cosiddetta «fascia A» e che in questo caso, a dispetto della nobiltà della prima lettera dell’alfabeto, è un rating all’inverso, visto che nella maggior parte dei casi non vedono il becco di un quattrino.
Iniziamo con lo smontare alcuni miti: nel cuore degli italiani al primo posto c’è sempre «Il mio canto libero» e la produzione di Lucio Battisti-Mogol? Giulio Rapetti, in effetti, è sempre stato accreditato dalle voci come uno dei top 5 della Siae. Non che si possa lamentare con circa 700 mila euro l’anno. Ma oggi, oltre al rock di Vasco e Ligabue, rende di più il blues di Adelmo Fornaciari, in arte Zucchero: 1,1 milioni. Piuttosto che le colonne sonore intramontabili di Ennio Morricone, che viaggia sul milione.
In queste cifre non ci sono i proventi da vendite di nuovi dischi. Al limite, talvolta, ci sono i diritti Siae sui biglietti staccati per gli eventi live. Sotto lo sparuto gruppetto over un milione, la seconda fascia di Paperoni Siae viaggia sui 700-800 mila euro, come Jovanotti e Biagio Antonacci. Qui c’è anche qualche insospettabile, come Pino Donaggio (800 mila circa), l’autore di «Io che non vivo senza te» e che ha scritto colonne sonore anche per film di Brian De Palma e Benigni (Non ci resta che piangere). Segue il partito del mezzo milione: Gianna Nannini, Francesco De Gregori, Claudio Baglioni, Eros Ramazzotti e, poco sotto, Venditti e Gino Paoli, verso quota 450 mila. Alla spicciolata vale la pena segnalare, per curiosità varie in base alla generazione di appartenenza, Francesco Guccini (300 mila), Roby Facchinetti (380 mila), Riccardo Cocciante (200 mila), Vecchioni (190 mila), Franco Battiato (250 mila) e Pino Daniele che si difende con 350 mila. Sulla stessa grandezza c’è anche Nicola Piovani. In realtà i compensi variano anche molto di anno in anno: la differenza la fa la capacità di tenere vivo il repertorio. Paoli, qualche anno fa, aveva visto crollare i propri compensi del 40 per cento prima di ricominciare a fare concerti dal vivo per rianimare il «dividendo».
Il bilancio 2012 con l’aggiornamento di questi proventi Siae (basato sugli anni precedenti) sarà chiuso a giorni e messo nelle mani del nuovo consiglio che verrà votato nell’assemblea del 1 marzo. Ed è proprio in vista di questa battaglia che questi dati sul censo diventano vitali per capire come potrebbe andare a finire la débacle. La Società degli autori ed editori sta uscendo dall’ennesimo commissariamento e sulla base del nuovo statuto si voterà proprio per censo (è previsto un tetto al voto che va a colpire soprattutto le case discografiche, altra categoria che concentra in 57 etichette poco meno di 100 milioni l’anno, ma questa è un’altra puntata).
Le liste sono già state consegnate: tra quelle da tenere d’occhio c’è la lista guidata da Cristiano Minellono (autore de «L’italiano» di Toto Cutugno) dove militano anche Piovani e Vittorio Costa, l’avvocato di Vasco, e Zucchero, e quella di Gino Paoli che avrebbe un accordo di non belligeranza con Mogol per conquistare il governo Siae. D’altra parte la torta è quella di un piccolo impero: la Società degli autori e degli editori raccoglie ogni anno, grazie a un esercito di 2 mila stipendiati, 600 milioni di euro, 480 dalla musica. Un giro di affari che negli anni ha scatenato appetiti e alimentato sprechi emersi con il commissariamento, ma di cui si è sempre adombrata l’esistenza all’interno di una struttura organizzata per il mantenimento di sé stessa. Resta da vedere se dal 1 marzo assisteremo alla nascita di una nuova Siae.
Massimo Sideri