Massimo Gaggi, Corriere della Sera 22/02/2013, 22 febbraio 2013
DAGLI OCCHIALI DI BRIN ALLA MAPPA DELLA MENTE
Un grande sforzo scientifico per arrivare a costruire una mappa del cervello dettagliata come quella del Dna e per individuare una cura per malattie degenerative come Parkinson e Alzheimer. Un premio con una dotazione di decine di milioni di dollari per gli scienziati impegnati ad allungare la vita umana. Gli occhiali di Google che passano dalla fase sperimentale a quella dello sviluppo dei modelli che verranno venduti l’anno prossimo, con i video dei prototipi su Internet che mostrano un oggetto destinato a diventare, nelle intenzioni della società di Mountain View, una vera protesi della mente capace di estendere le capacità cerebrali di chi lo indossa.
Queste tre imprese, apparentemente distanti una dall’altra, hanno in comune una figura: quella di Sergey Brin che, lasciata all’altro cofondatore di Google, Larry Page, la gestione dell’azienda, si sta dedicando anima e corpo ai progetti di ricerca più disparati e affascinanti. L’ho conosciuto anni fa ad una cena al Forum economico di Davos nella quale si discuteva di auto a idrogeno: una conversazione lontana dai suoi interessi aziendali, ma che lo affascinava e nella quale si era gettato a capofitto.
Tramontato l’idrogeno, si è dedicato a imprese che hanno maggiori possibilità di arrivare a risultati concreti: dall’auto che si guida da sola (un progetto di Google) alla mappa del cervello sulla quale, come abbiamo scritto nei giorni scorsi, ha ora messo il suo cappello la Casa Bianca. Ma sotto ci sono lavori preparatori in gran parte eseguiti e finanziati da aziende come Microsoft e Google. E i 300 milioni l’anno di denaro pubblico che Obama potrà sborsare, se il Congresso non gli metterà i bastoni tra le ruote, sono una cifra tutto sommato marginale rispetto a quello che le grandi imprese Use sono in grado di stanziare tra iniziative filantropiche e progetti di ricerca che mirano a produrre risultati di valore commerciale.
Brin si pone all’intersezione di tutto questo per la sua sete di conoscenza, la natura «onnivora» di Google, capace di spaziare nei campi più disparati, e anche per due tratti personali: da un lato la mutazione di un cromosoma che, aumentando di molto l’esposizione di Sergey al rischio di contrarre il Parkinson, ha enormemente accresciuto la sua attenzione e il suo sostegno alla ricerca genetica sulle malattie cerebrali degenerative; dall’altro il suo vecchio obiettivo di arrivare all’uomo onnisciente grazie a una protesi di Google. L’idea di dieci anni fa, per molti raggelante, di un microchip capace di accedere a tutta la conoscenza del mondo impiantato direttamente nel cervello è stata sostituita, nelle parole di Brin, da espressioni meno scioccanti. Ma non c’è dubbio che «mappare» la mente servirà anche a sviluppare un’intelligenza artificiale che Google vuole rendere, anche fisicamente, più vicina al cervello umano. E i Google Glasses, gli occhiali, sono una tappa intermedia di questo processo. Non ci riguarda, non siamo cyborg? Li ignoreremo. Come un adolescente che cerca di socializzare oggi può ignorare computer e smartphone.
Massimo Gaggi