Lettere a Sergio Romano, Corriere della Sera 22/02/2013, 22 febbraio 2013
QUANDO IL SEGGIO ELETTORALE SARÀ SIMILE A UN BANCOMAT
In occasione del week-end elettorale, per improrogabili impegni sarò assente e non potrò andare a votare. Perché io cittadino di uno dei Paesi più industrializzati del mondo, con l’ informatica presente in ogni dove, non posso votare in un’altra città? Non credo ci voglia molto per dotare noi cittadini di una tessera elettorale elettronica, magari con foto e poter esercitare in qualsiasi parte d’Italia il nostro legittimo diritto di voto. Perché ai residenti all’ estero è consentito votare inviando il voto in busta senza che nessuno certifichi l’identità del votante? Con il rischio che chiunque potrebbe impossessarsi della busta con il tagliando elettorale e votare al posto di un altro? Un amico residente all’estero ha ricevuto le schede dei precedenti inquilini e volendo avrebbe potuto votare altre due volte. Certamente hanno maggiori garanzie di voto i cittadini del Terzo Mondo che, una volta votato, vengono «segnati» con un colore indelebile per alcuni giorni e in tal modo non possono rivotare.
Francesco Massobrio
Segrate (Mi)
Caro Massobrio, negli Stati Uniti il voto «elettrico» fu introdotto all’inizio degli anni Cinquanta. La macchina era un grosso armadio di metallo attrezzato con un numero di leve corrispondente a quello delle scelte su cui l’elettore avrebbe dovuto pronunciarsi. La vidi in funzione nelle presidenziali del novembre 1952 (Eisenhower contro Stevenson), quando accettai di fare l’osservatore in un seggio del quartiere di Chicago dove, nelle elezioni precedenti, vi erano stati parecchi brogli. Qualche elettore era impacciato e chiedeva aiuto, ma le leve e le schede perforate finirono per sostituire il voto manuale in quasi tutti gli Stati della Federazione.
Non sempre, tuttavia, queste macchine hanno garantito chiarezza e precisione. In Florida, durante le elezioni presidenziali del novembre 2000 (George W. Bush contro Al Gore), gli scrutatori constatarono che molte schede erano mal perforate. Vi furono lunghe discussioni sulla loro validità sino a quando la Corte suprema tagliò corto e assegnò la vittoria al candidato repubblicano. Altri Paesi, come la Svizzera, hanno preferito invece concentrare ogni sforzo sulla migliore organizzazione del voto per corrispondenza. Nel Paese dei referendum e delle iniziative popolari le consultazioni sono molto frequenti, ma il numero dei cittadini che vanno personalmente alle urne sta progressivamente diminuendo. L’elettore riceve la scheda per posta, la riempie con la sua scelta e la restituisce per posta all’ufficio elettorale. Se l’Italia avesse un sistema simile a quello della Confederazione, lei potrebbe organizzare il suo tempo, caro Massobrio, senza rinunciare al diritto di voto. Ma occorre, beninteso, che le poste funzionino e che i postini non scioperino.
Oggi, in linea di principio, la rivoluzione elettronica ci permetterebbe di chiudere i seggi e mandare in pensione tutti i calcolatori elettrici della seconda metà del Novecento. Con una scheda elettronica e una password per il riconoscimento dell’elettore, il seggio potrebbe diventare una sorta di bancomat e il risultato del voto, se i bancomat fossero collegati a un ordinatore centrale, diverrebbe noto al Paese qualche minuto dopo la fine della tornata. Occorrerà raddoppiare le misure di sicurezza, naturalmente, ma credo che così, prima o dopo, si finirà per votare in quasi tutti i Paesi europei. Anche in Italia, dove per votare oggi occorre chiudere le scuole? Per pigrizia burocratica, diffidenza conservatrice e scarsa alfabetizzazione digitale della sua popolazione, temo che l’Italia lascerà ad altri il compito di aprire la strada.
Sergio Romano