Alberto Melloni, Corriere della Sera 22/02/2013, 22 febbraio 2013
MODIFICA SUI TEMPI DEL CONCLAVE. INTERROGATIVI SU UN MOTU PROPRIO
Nemmeno ieri è uscito il Motu proprio papale che (se ci sarà) per la prima volta da sempre cambierà le regole del conclave a sei giorni dal suo inizio. Il direttore della sala stampa vaticana, padre Federico Lombardi, ha ammesso di non sapere se questo atto modificherà le norme sul tempo che separa l’inizio della sede vacante dall’inizio dell’elezione del papa. Tanto meno lo sanno i cardinali elettori. E non tutti sono contenti o indifferenti.
Certo: qualche ora in più o in meno di congregazioni generali non cambia il conclave. Ma non lascia freddi l’idea che a ridosso della conclusione del pontificato qualcuno abbia premuto su Benedetto XVI (e tutti sanno quanto siano stati pericolosi coloro che negli anni passati volevano «aiutare il papa») per spingerlo ad intervenire di nuovo sulle norme vigenti.
Nel 2007 papa Ratzinger aveva infatti già pubblicato un Motu proprio sul conclave. Allora Benedetto XVI corresse le regole conclavarie fissate da Giovanni Paolo II nel 1996 in un solo articolo. Benedetto (giustamente) toglieva al collegio cardinalizio la possibilità di eleggere un papa a maggioranza semplice dopo tre settimane di conclave e ristabiliva la maggioranza dei due terzi, anche nel caso di un ballottaggio da usare dopo uno stallo così lungo. Un ritocco promulgato in una fase «fresca» del pontificato: a debita distanza dal conclave, come usuale nella sede romana.
Il resto del provvedimento del 1996, nel quale il cardinale Francesco M. Pompedda che l’aveva minutato incorporava l’eventuale rinunzia del papa, veniva validato. E quando durante l’estate del 2012 Benedetto XVI ha compiuto i passi per «metter tutto in ordine» in vista di un atto che oggi comprendiamo essere stato preparato «per il bene della chiesa e dei successori», ha creato cardinali, promosso vescovi, fatto nomine. Ma non ha toccato il congegno del conclave; e non senza ragione. Il sistema del conclave s’è stratificato in dieci secoli. La riserva dell’elettorato attivo ai cardinali è del 1059; la legislazione sulla maggioranza del 1179, quella sulla reclusione conclavaria del 1274; la proibizione di modificare le norme nella sede vacante del 1311; la limitazione dei cardinali a settanta del 1588, la cancellazione del diritto di veto delle corone cattoliche del 1903, l’aumento degli elettori e l’esclusione degli ultraottantenni del 1968, la scelta del solo scrutinio del 1996, l’introduzione del ballottaggio del 2007.
Benedetto XVI è ancora nel pieno dei suoi poteri canonici e può fare quello che vuole. Nessuno si meraviglierà se il papa darà disposizioni aggiuntive su cose nelle quali non ritiene basti il buon senso, puta caso il destino dell’anello piscatorio, l’accesso alle carte personali dell’emerito, la controfirma della rinunzia. Potrebbe accorciare i tempi del conclave e non sarebbe un tragedia. Ma quella modifica sui tempi darebbe nell’occhio.
Il più grande guaio della chiesa romana — lo scisma d’Occidente che portò ad avere tre papi in concorrenza fra XIV e XV secolo — fu generato proprio da una manomissione delle regole elettorali, quando i cardinali impugnarono l’elezione di Urbano VI perché avvenuta per «paura». Che nel secolo XXI si debba anticipare il conclave per «paura» dell’attesa evoca un fantasma.
Fra poche ore si saprà se e quali modifiche verranno apportate alle regole conclavarie. Nel caso che si riduca l’attesa i cardinali dovranno essere più rapidi nel farsi un’idea delle cause di un disordine che non cessa; e dalle meditazioni che ascolteranno dovranno ricavare più in fretta le indicazioni di cui hanno bisogno. Consapevoli di una immensa responsabilità.
«Ubi periculum maius intenditur, ibi procul dubio est plenius consulendum» si diceva al concilio del 1274: «quando si intuisce un pericolo più grande, allora è il momento di una più ampia consultazione». Parole sagge di cui dovrà far uso il collegio cardinalizio per il tempo che avrà a disposizione.
Quella che s’è aperta con la rinunzia di Benedetto XVI è una fase inedita. Inedita è una rinunzia che per diciotto giorni è annuncio di sé. Inedite le circostanze presenti nelle quali i cardinali «degenti nell’Urbe» hanno accesso al papa che sarà presto emerito. Chiunque lo dimentichi scherza col fuoco.
Alberto Melloni