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 2013  febbraio 22 Venerdì calendario

IL PROF INDAGATO DOPO 25 ANNI PER IL DELITTO DELLA STUDENTESSA

Sono passati più anni di quanti ne avesse lei il giorno in cui fu uccisa. Era il 9 febbraio del 1988 e Giorgia Padoan, studentessa universitaria della facoltà di lingue, aveva soltanto 21 anni. Fu strangolata con una catena da bicicletta a casa sua, un appartamento di Torino che condivideva con la madre. Aveva ematomi e graffi sulle gambe che fecero pensare a un’aggressione sessuale (non fu stuprata) ma fu presa in considerazione anche la pista della rapina perché l’assassino aveva lasciato la casa sottosopra.
Per 25 anni la parola d’ordine del caso Padoan è stata «non arrendersi». Un’inchiesta sepolta dal tempo ma mai chiusa davvero. Un tarlo nella testa dell’allora capo della Squadra Mobile Aldo Faraoni, diventato poi questore e andato in pensione pochi giorni fa. «Prima di chiudere voglio stanarlo» aveva promesso a se stesso nel luglio dell’anno scorso. E nella sostanza l’ha fatto, perché prima di lasciare l’incarico ha lavorato con i suoi uomini a un’ipotesi diventata così consistente da portare a un nome e a un cognome. È un uomo che da ieri è indagato per omicidio volontario, per aver stretto quella catena al collo di Giorgia conosciuta e frequentata nelle stesse aule universitarie dove anche lui all’epoca studiava.
Cinquantenne e oggi insegnante di una scuola torinese, il presunto assassino (sempre che gli indizi messi a fuoco reggano l’accusa) avrebbe commesso un passo falso. Allora, non adesso. Ma soltanto oggi sembra sia stato possibile ottenere un risultato che segnasse la svolta grazie a sofisticati strumenti ora a disposizione della polizia scientifica. Qualcosa dal quale emerge, dopo tutto questo tempo, una «ragionevole certezza» che sia stato proprio lui e nessun altro a uccidere Giorgia fra le tantissime persone interrogate e controllate dopo l’omicidio. È un dettaglio che gli inquirenti non vogliono rivelare per non offrire un vantaggio all’inquisito e che non riguarderebbe, come spiega uno degli investigatori, «né la tazzina del caffè lavata per cancellare le impronte digitali, né l’orma della scarpa che fu trovata a casa della vittima». Erano due degli elementi sui quali si era lavorato a lungo, ma inutilmente, per cercare di venire a capo dell’omicidio.
Ieri l’uomo è stato convocato in questura e ci è rimasto per diverse ore mentre gli agenti dell’Anticrimine venuti da Roma e quelli della squadra Mobile di Torino gli perquisivano la casa. Indagato, ma per adesso nessun provvedimento in più. «Al momento non ci sono elementi per andare oltre» conferma il capo della Mobile Luigi Silipo che però, come chiunque stia seguendo quest’inchiesta, è sicuro di aver messo assieme abbastanza per portare davanti ai giudici l’insegnante sott’accusa.
Roberto, il padre di Giorgia, oggi ha 75 anni ed è pensionato. «Non ho mai perduto la speranza» ha detto ai poliziotti che lo hanno contattato per parlargli di quel poco che si può sapere sugli sviluppi delle indagini. «Ogni santo giorno, per anni, ho portato un fiore sulla tomba di mia figlia e non c’è sera che mi addormenti senza pensare a lei. Un dolore che non passerà mai». Ricorda ogni dettaglio, Roberto. Il ragazzo sconosciuto che al funerale si avvicinò alla tomba sfiorandola, la voce dell’uomo che lo chiamò per due volte per dirgli «sono io l’assassino», l’idea di un premio di duecento milioni a chi avesse dato informazioni decisive e poi l’ultima immagine sorridente di Giorgia. Quella che rivede ogni sera, prima di chiudere gli occhi.
Giusi Fasano
(ha collaborato Marco Bardesono)