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 2013  febbraio 22 Venerdì calendario

«LA SINISTRA CI HA TRADITI». AL CANCELLO D DELL’ILVA GLI OPERAI TIFANO 5 STELLE —

Grillo. Grillo. Grillo. Grillo. Grillo. Grillo. «Eh no, scusa, io voto Ingroia: sai, sono compagno!». Sospirone, smorfia: «Però tanti, sì, tanti lo voteranno Grillo, accidenti a loro». Cancello D, turno delle due di pomeriggio. Ce ne vogliono sei, di operai grillini incavolati neri, prima di arrivare al compagno Emanuele, officina carpenteria, da diciassette anni qui all’Ilva. Altri cinque prima di imbattersi in Michele, produzione calcarea, che (addirittura) voterà Pd e però è comprensivo verso l’onda montante del grande guastafeste: «I partiti tradizionali ci hanno fregato, siamo stanchi».
Già. L’aria è mefitica per tutti, ma in particolare forse per la cara vecchia sinistra, davanti alla più grande acciaieria d’Europa ridotta a un gigante con i piedi d’argilla da troppi anni di intrallazzi trasversali e da un decisivo intervento della magistratura tarantina: il famigerato camino E312 continua a spandere miasmi e veleni, sia pure in misura ridotta; dal 3 marzo vanno in cassa integrazione 6.417 operai («eventuale picco», secondo il ministro Passera), pagando così una ristrutturazione aziendale che doveva già essere stata fatta e di cui nessun politico ha mai chiesto conto per troppo tempo. Il Corriere del Mezzogiorno ha tirato fuori numeri impressionanti: nei prossimi due anni a salario ridotto, entreranno nelle tasche di ciascun lavoratore 10.400 euro in meno, 67 milioni in meno nel reddito delle famiglie. Tra tumori diffusi e nuove povertà ce n’è abbastanza da essere imbestialiti, e a poco sembrano servire i volantini distribuiti dagli ingroiani guidati da Antonio Di Luca, uno dei diciannove attivisti Fiom messi sulla graticola dalla Fiat a Pomigliano che, beato lui, ancora scherza: «Quanto pesa Grillo? Nunn’u saccio, ma io peso 110 chili, guagliò!».
In giorni di magra, il peso conta. Così la Finocchiaro risponde con sobria modestia a chi accusa i leader storici di non essersi fatti vivi davanti ai cancelli dell’acciaieria o nella città dei Due Mari: «Che il partito abbia schierato me in Puglia è un segno inequivocabile di attenzione» (mai vista davanti all’Ilva nemmeno lei, in verità). E un peso massimo come D’Alema approda alla fine del suo tour pugliese al teatro Orfeo, in pieno centro. Ha appena attaccato i magistrati tarantini, accusandoli di non applicare la legge sull’Ilva.
Sul palco è ecumenico: conciliare salute e lavoro, come fosse facile. Cinque minuti prima che arrivi, all’Orfeo fanno partire l’Internazionale nella versione del coro dell’Armata Rossa, tra vecchi compagni in lacrime, ma è solo lo spot sulla campagna Pd di un circolo fantasioso, Roccaforzata. Preceduto dalle ben più rassicuranti note della Nannini, D’Alema promette la fabbrica risanata agli operai e la salute garantita ai cittadini del rione Tamburi che accanto alla fabbrica campano e muoiono intossicati, «sentiamo il peso di avere capito tardi il problema», ammette: «Ma sempre prima degli altri!», si riprende, in un sussulto di dalemismo doc. Il pubblico di militanti che stipa l’Orfeo applaude convinto.
Ma convincere quelli che stanno dall’altra parte dei cancelli, con le loro vite che evaporano agli altiforni della grande acciaieria, è tutta un’altra faccenda. Fabio Caucci, 38 anni di cui quindici alle colate continue, tira su il cappuccio della felpa a proteggersi dalla pioggerellina e ammette che ci ha pensato tanto: «Voto Grillo. Ero in dubbio con Ingroia, ma ho deciso che voglio dare un calcio a tutti. E ho fatto un sondaggio nel mio reparto. Cinque su sei votiamo Grillo». Fabio non è un cane sciolto, ha la tessera Uilm, la sigla più forte dell’Ilva. Il suo gran capo, Antonio Talò, uno che mastica politica sindacale da decenni, non si nasconde: «C’è disaffezione, non ti posso escludere una bella botta di Grillo. La nuova ondata di cassa integrazione può pesare, eccome, sul voto, ci sarà anche molta astensione». Pure Francesco Bardinella, giovane testa fina della Fiom, prevede la botta: «Purtroppo il voto a Grillo sarà altissimo. E del resto se vota per Grillo un Nobel, figurati un operaio». E se per Dario Fo dal palco di Milano è arrivato il «momento del ribaltone», Grillo qui a Taranto ha certamente fatto un rispettabile «ribaltino»: un mese fa venne in piazza Immacolata, e quella fu l’unica piazza che non riuscì a riempire nel suo viaggio al Sud. Un mese dopo, la situazione pare essersi rovesciata, almeno in fabbrica. Ha pesato, favorevolmente, la sua ammissione sincera — non ho formule magiche — a fronte dell’orgia di promesse elettorali che, tardivamente, venivano dai partiti. Hanno pesato negativamente sul Pd le intercettazioni con i gran capi Ilva incarcerati dai magistrati, le frasi pesantissime di Ludovico Vico contro il compagno di partito Della Seta al telefono con Archinà, boss aziendale delegato agli affari sporchi («ma non mi riferivo a Della Seta!», giura adesso il candidato pd dietro le quinte dell’Orfeo); forse ha pesato anche la vecchia storia dei 98 mila euro (regolarmente registrati) con cui i Riva finanziarono la campagna di Bersani nel 2006. In una città dove il citismo è finito e dove il Pdl ha perso i suoi punti di riferimento dopo la morte del grande collettore di voti Pietro Franzoso e il dissesto causato dalla vecchia giunta Di Bello, non resta molto altro. «Grillo sta dalla parte del popolo», dice Mirko, 36 anni: «Arrendetevi, siete circondati!», ridacchia, imitandolo. Egidio Solfrizzi lo guarda stranito; in un’altra era geologica, è stato segretario della gloriosa sezione Lenin del Pci: «No, nel Pd non sono entrato: sapevo che i dc ci avrebbero mangiato vivi. Per tre anni sono stato senza tessera. Poi sono andato con Rifondazione, perché ci sono i miei ragazzini della Fgci di quando ero segretario…». Nostalgia canaglia: «Ho conservato la bandiera della Lenin». Giorni bui: «Ho valutato l’opzione Grillo, confesso». Tenetevi forte, compagni. Dio è morto, Marx è morto e neanche il vecchio Egidio si sente troppo bene: «Ma resisto, mannagghia d’a miserie, giuro che resisto!».
Goffredo Buccini