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 2013  febbraio 22 Venerdì calendario

COSI’ FRANCOFORTE HA DECISO DI SOSTENERE ROMA

Chi pensa che l’Italia non avrebbe avuto né avrà mai bisogno di un aiuto europeo, può dare un’occhiata ai dati che per la prima volta la Bce ha pubblicato ieri. Ricordano ciò che in realtà era già noto salvo che nei dettagli: fra agosto e dicembre del 2011, con Jean-Claude Trichet presidente, la Banca centrale europea ha impegnato oltre cento miliardi del proprio bilancio per sostenere la tenuta del debito del Paese.
In caso (ipotetico) di insolvenza, trenta miliardi di quelle perdite spetterebbero ai contribuenti tedeschi, circa venti a quelli francesi e quasi dieci rispettivamente agli olandesi e agli spagnoli. La solidarietà europea verso l’Italia c’è stata: è stata molto concreta e il Paese ne ha avuto bisogno anche se ufficialmente non l’ha mai chiesta e questa campagna elettorale si è svolta come se non l’avesse mai ottenuta.
Senza quegli interventi, il Paese avrebbe perso l’accesso al mercato prima che il governo di Mario Monti avesse avuto tempo di mettersi al lavoro. La decisione fu presa all’inizio di agosto del 2011, quando l’allora governatore Mario Draghi e Trichet stesso mandarono al governo di Silvio Berlusconi una lettera in cui elencavano un gran numero di riforme. Poi, passati pochi mesi, la Bce bloccò gli interventi. La lettera di Draghi e Trichet non aveva indotto quell’esecutivo a un cambio di rotta e lo spread aveva continuato a salire.
È passato più di un anno da quell’episodio: scoprire quei numeri ora è come vedere la realtà nello specchietto retrovisore; ma ciò che conta di più è ciò che quel riflesso lascia presagire sulla strada che si trova davanti. Forse l’attenzione degli analisti sull’Italia non era mai stata così alta in questa vigilia di elezioni, come lo fu ai tempi di quella lettera di Draghi e Trichet. Non c’è solo il fatto che gli ultimi sondaggi diffusi privatamente non fanno presagire niente di buono ai mercati. Alberto Gallo di Rbs fissa al 32% la probabilità di un parlamento diviso, con maggioranze diverse alla Camera e al Senato e un conseguente nuovo rischio di paralisi. Ma più dei dubbi sui prossimi giorni, incidono quelli su quanto accadrà dopo.
Due giorni fa Deutsche Bank ha mandato ai clienti un rapporto dal titolo eloquente: «Perché l’Italia e la Francia mancano di competitività». Marco Stringa, economista del gruppo tedesco, nota che l’export italiano è fra quelli in Europa che hanno fatto peggio dal 2008 a oggi (ultimo dopo la Finlandia) anche se nell’economia nazionale è il settore che va relativamente meglio. Dal 2008 il «made in Italy» è caduto del 5% in termini reali, contro una crescita del 10% della Spagna. Pesano i soliti guai: poca ricerca e sviluppo, strutture societarie definite da Deutsche Bank «arcaiche», mancanza di concorrenza all’interno del Paese, e un’amministrazione inefficiente che scoraggia gli investimenti esteri portatori di tecnologie.
Scrive il gruppo tedesco: «Dopo un decennio perduto in termini di riforme strutturali, il governo uscente aveva giusto appena iniziato un processo preliminare per affrontare alcune di queste questioni». Ma non basta, continua il rapporto: «Crediamo che un governo stabile e favorevole alle riforme sia una pre-condizione necessaria per spezzare il circolo vizioso di bassa crescita e alto debito pubblico».
Antenne in tensione anche in una lettera agli investitori inviata dai consulenti di Independent Strategy il 14 febbraio. Gli analisti ricordano i progressi della Spagna in questi anni di crisi, poi aggiungono: «In contrasto con Madrid, l’Italia è virtualmente priva di riforme, priva di crescita e, al meglio, stagnante in termini politici. Dopo la chirurgia subita dalle banche spagnole (gli aiuti europei, ndr), le banche italiane sono il malato d’Europa praticamente su ogni parametro. Con Monti abbiamo visto la situazione migliore per i titoli di Stato di Roma», conclude Independent Strategy. «Ciò che verrà dopo, sarà peggio».
Federico Fubini