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 2013  febbraio 21 Giovedì calendario

«DA MIO FRATELLO ATTO DI RESPONSABILITA’. E ORA NON SARA’ UN PONTEFICE OMBRA»

Nella città da cui Johannes Keplero scrutava il cielo, Padre Georg Ratzinger misura il tempo con la musica. Quella di Bach e Mozart, i grandi del Passato che accosta a suo fratello minore, il papa tedesco che ha lasciato il trono, perché protagonisti anche loro dell’incontro tra «il vecchio» e «il nuovo». Dalla finestra della sua piccola casa si intravedono le guglie a filigrana del Duomo. Il mondo è lontano, anche se distante pochi passi, Dio è vicino. Non c’è bisogno, per lui, di cercarlo. Più verso il Danubio, l’appartamento dove ha vissuto per qualche anno Oskar Schindler. Altre anime e altre salvezze.
Accanto alle tante immagini di Joseph Ratzinger al quale lo unisce un affetto di solidità commovente, perfino un po’ laica, si potrebbe dire, per uomini così profondamente legati alla religione un grande ritratto con dedica di Giovanni Paolo II. Ne va orgoglioso. Gli chiediamo se la Chiesa abbia bisogno nuovamente di un Papa così giovane, come quel polacco che fu eletto a soli 58 anni. Se dipendesse da lui, sceglierebbe un cardinale del rigore di suo fratello, ma senza ancora quei capelli bianchi, quasi lucenti, che condivide con quello che è stato anche il suo compagno di seminario. «Serve un uomo profondamente radicato nella fede, che protegga i deboli», risponde. Ottantanove anni, l’ex direttore del coro della Cattedrale, cammina con due bastoni. È sereno, ma a volte sopraffatto dal pensiero della vecchiaia. Gli occhi che non vedono quanto vorrebbero vedere lo rendono talvolta malinconico. Per noi c’è un tavolo tondo con una tovaglia da pranzo damascata e una bottiglia di acqua minerale. Molti ricordi, nessuna amarezza.
Signor prelato, è passata più di una settimana dalle dimissioni del Papa. Ora sono in molti a ritenere che la sua scelta abbia avuto anche il significato di una rivolta contro la tradizione, di un passo compiuto per cambiare la Chiesa. È una interpretazione giusta?«No, non credo che quello fosse il suo scopo. La sua missione è stata un’altra. Guidare la gente a vivere nella parola di Dio. Una missione difficile, in una società secolarizzata».
È stato lodato il coraggio di Benedetto XVI. Ma il suo gesto nasconde anche una sconfitta personale?«No, non è stata assolutamente una sconfitta personale. Nella vecchiaia l’uomo perde tante capacità. Lo vedo in me stesso. La vecchiaia è una frattura nella vita, che ci impedisce di fare quello che prima era normale. La guida della Chiesa richiede qualcuno che sia in possesso di tutte le sue energie, perché ci sono tante domande a cui bisogna rispondere».
Quali sono state le sue reazioni quando vi siete incontrati qualche mese fa e il Papa le parlò del suo intento? Ha capito adesso qualcosa che era rimasto inespresso?«No, lui mi parlò delle sue intenzioni e io lo ascoltai. Naturalmente mi sono anche rammaricato, perché ero stato molto contento, sia pure con qualche preoccupazione, quando lui venne eletto Papa. Ma sono un uomo realista, e so che le capacità umane possono un certo giorno risultare inadeguate per quell’incarico».
Aveva qualche preoccupazione già all’epoca del Conclave?«È stato eletto a un’età già avanzata. Non è mai stato una persona robusta. Avevo pensato in realtà che, a settantotto anni, la sua attività "professionale" fosse ormai finita e che avrebbe potuto avere una vita più leggera».Non avete nemmeno accennato, nel vostro colloquio di allora, alle possibili conseguenze negative delle dimissioni?«No, anche se mi è stato sempre chiaro che avrebbero prodotto una grande fatica psicologica. Ero d’accordo con lui, condividevo il suo senso di responsabilità nei confronti della Chiesa. Si sentiva di doverlo fare e bisognava farlo, con tutte le conseguenze possibili».
È stata una decisione presa in solitudine. Di chi si fidava oltre a lei?«È stata una decisione umana ispirata da Dio. Non so con chi ne abbia parlato oltre che con me. Ma quando mi ha detto che voleva dimettersi, la scelta definitiva era stata già fatta».
Mancano ormai pochi giorni alla proclamazione della «sede vacante».
Quale pensa che sarà il ruolo di suo fratello in Vaticano? Il teologo Hans Küng ha parlato della possibile presenza di un «Papa ombra».
Qual è la sua opinione?«No, mio fratello non vuole essere un "Papa ombra". Non desidera mettere il suo successore in difficoltà. Il suo incarico pubblico è finito, e al centro della sua vita futura ci sarà soltanto la responsabilità verso Dio e la meditazione. Credo però che continuerà a chiamarsi Benedetto XVI».
Ma chi potrebbe essere secondo lei il suo successore? Se lei potesse votare, chi sceglierebbe?«Tra i cardinali ci sono tante persone capaci e meritevoli. Ma vorrei dire che il nuovo Papa dovrà essere un persona radicata profondamente nella fede e che la fede dovrà guidare la sua vita. È necessario che abbia un grande rispetto per i deboli. Un’altra qualità indispensabile è il realismo, per capire cosa è possibile e cosa è impossibile fare. Avrà bisogno di una enorme energia, perché ne serve molta per dirigere una comunità così grande e per fare arrivare con forza il suo messaggio. Forse andrebbe scelto un uomo più giovane».Benedetto XVI è «la fine del vecchio» o «l’inizio del nuovo»?
Allo scrittore e giornalista Peter Seewald, suo biografo, il Papa rispose: «Entrambi». Qual è la sua idea? Altri commentatori hanno scritto che con le dimissioni ha avvicinato il papato alla gente.
«Con la sua decisione ci sarà forse qualcosa di nuovo. Sì, potrebbe servire ad avvicinare l’ufficio del Papa ai fedeli. Fino a prima di lui è stato un incarico a vita. Ha dimostrato di essere salito sul trono di Pietro non per vanità ma per responsabilità. Lo ha accettato per responsabilità e lo ha lasciato per responsabilità. E questo è stato molto apprezzato dalla gente».
Ci sono riforme che durante il suo pontificato andavano fatte e non sono state realizzate, come per esempio l’apertura al sacerdozio femminile? «No, la questione è stata già risolta, dogmaticamente e definitivamente. Il sacerdozio è riservato agli uomini, che agiscono nel nome di Cristo e riflettono la sua immagine».
Ma non potrebbe essere questa una delle cause della crisi della religione in Germania? Negli ultimi venti anni quasi quattro milioni di cattolici si sono allontanati dalla Chiesa.«Non conoscevo queste cifre. Esistono altri motivi, come per esempio le notizie sugli abusi. Un problema terribile, per il quale bisogna rammaricarsi molto. Episodi di questo genere non accadono purtroppo solo all’interno della Chiesa, ma dovunque. Quando riguardano la Chiesa, la reazione è sproporzionata».
Quando riabbraccerà suo fratello? Non avete pensato a riunirvi, dopo gli anni della gioventù?«Siamo diventati vecchi nel segno di questo affetto e di questo rispetto reciproco. Siamo sempre stati felici quando l’altro è riuscito a fare un buon lavoro. È stata una comune responsabilità. Non andrò a Roma in questi ultimi giorni del papato. Preferisco raggiungerlo per la settimana pasquale. Ma resterò sempre qui a Regensburg, dove sto bene, in una casa tranquilla. Anche mio fratello non si muoverà perché ha bisogno di restare un po’ appartato. Andrò a trovarlo qualche volta».
Lei ha scritto un libro su di lui. Qual è il suo ritratto, oggi, di Joseph Ratzinger?«Non sono un poeta. La gente ne sa più di me, si è fatta un’idea precisa di lui. Anche grazie alla televisione. Vorrei solo dire che la definizione di Panzerkardinal non aveva assolutamente niente a che fare con lui. Non è di acciaio. È un uomo molto sensibile».
Quindi anche molto vulnerabile alle critiche, agli attacchi, agli scandali? «No, lui inquadra i problemi e sa che sono il riflesso di un mondo pieno di aspetti diversi. E, in ogni caso, anche quando è stato colpito, ha sempre avuto la fermezza di mantenere la propria opinione, con l’aiuto della fede».
Paolo Lepri