Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  febbraio 22 Venerdì calendario

IL PIREO NELLE MANI DEI CINESI

I cinesi fanno finta di non esserci. Invisibili, inaccessibili. Fa parte della loro strategia di marketing: colonizzare senza occupare il territo­rio e senza provocare reazioni di ri­getto, comprare infrastrutture, servi­zi, sfruttarne le risorse, esportare dal­la Cina tecnologia e standard e far fruttare al meglio l’investimento.

Se metti piede al Pireo, affollato di na­vigli, di navi da crociera, di grandi im­barcazioni da diporto, di navi cargo non ti accorgi di niente. Eppure c’è u­na sottile linea rossa che separa due mondi. Due mondi e due vi­sioni del lavoro e del profitto che non andranno mai d’accordo: la prima dai contorni bruciacchiati di una lunga favola finita inaspettatamente male, la seconda con le insegne della Co­sco, il gigante cinese della navigazio­ne proprietà del governo di Pechino, che nel 2010 si è comprato metà del Pireo e da allora gestisce il traffico car­go sotto la guida di un personaggio schivo quanto a suo modo leggendario, il “capitano” Fu Cheng Qiu. Il suo ufficio mo­dernissimo si affaccia sulle acque dell’Egeo, giusto so­pra la giungla robotica di na­stri trasportatori e di mac­chine che sollevano e impi­lano container, ma al posto di pagode e dragoni ci sono facsimili della Venere di Mi­lo e calchi del corteo pana­tenaico del Partenone. «Qui – spiegano i suoi assistenti – si lavora giorno e notte. Anche il capitano la­vora giorno e notte. Per questo non può riceverla».

Per 500 milioni di euro Pechino si è comprata metà del porto del Pireo fa­cendolo presidiare da sette manager che governano un migliaio di addet­ti greci. «Una fortuna per loro – dico­no alla Cosco – visto che rischiavano di essere lasciati per strada. Lei sa, ve­ro, che il governo e gli armatori greci hanno tagliato in modo spietato sti­pendi e posti di lavoro? Poi siamo ar­rivati noi e abbiamo assunto mille persone. Come dice Sun Tsu, nel suo “L’arte della guerra“: “una volta colte, le opportunità si moltiplicano”».

Hanno ragione loro. Le cifre parlano da sé: da quando è arrivata la Cosco il traffico merci è passato da un mi­lione a 3,7 milioni di container al­l’anno, il governo cinese ha speso qua­si 400 milioni di dollari per moder­nizzare le infrastrutture e il Pireo, da sonnolento lembo portuale del Mez­zogiorno d’Europa sta diventando u­na meta privilegiata per il naviglio commerciale che passano da Suez e principalmente per le esportazioni ci­nesi nel Vecchio Continente con un fortissimo potere di attrazione per tut­te le compagnie di navigazione asia­tiche. «Se fosse possibile – dicono gli uomini del Capitano – comprerem­mo tutto il Pireo…». Proviamo a riattraversare la sottile li­nea rossa, riguadagnando la zona gre­ca. Qui, dove attraccano le grandi na­vi passeggeri che per decenni hanno fatto la fortuna degli armatori greci e da un po’ la rovina di migliaia di ma­rittimi, il sogno nazionale di una vita vissuta sull’onda del debito si è spez­zato malamente, lasciando cataste di tragedie civili e un grumo di inaccet­tabile ingiustizia: «Come quella degli armatori – dice Helios Panayotis, sin­dacalista molto conosciuto al porto, uno dei promotori dello sciopero ge­nerale di mercoledì scorso – che non pagano le imposte e da un po’ non e­largiscono più neppure gli stipendi perché dicono che sono allo stremo. E il governo non osa fare e dire nien­te: gli armatori sono potentissimi, sanno di rappresentare il 16 per cen­to del Pil nazionale. Per questo sono intoccabili». La fiaba, il sogno, come abbiamo detto, si sono trasformati in un incubo. «C’era qualche marittimo che guadagnava anche 180mila euro all’anno – dice Panayotis – un girone di privilegi e di costi impossibile da sostenere, un po’ come per i vostri “ca­malli” genovesi, che alla fine è crolla­to. Oggi è tanto se si arriva a 25mila eu­ro all’anno per un marittimo qualifi­cato. Ma di là (e indica la zona cine­se) hanno fatto strame delle conqui­ste sindacali, assumendo forza lavoro senza alcuna prepara­zione e senza tutele sanitarie e previdenziali adeguate. Gli danno 20-23 mila dollari al­l’anno e loro accettano, pur di avere un impiego, anche se il più delle volte è un impiego a tempo e si fa la fila per avere un incarico di due mesi lavo­rando il doppio delle ore. Così almeno adesso sanno come si lavora in Cina…».

Alla Cosco sorridono di fronte al mu­gugno sindacale. Nell’invisibile Chi­natown del Pireo si citano le massi­me del capitano Fu Cheng Qiu come fossero quello di Mao: «I cinesi lavo­rano per guadagnare. I greci voleva­no guadagnare senza lavorare trop­po. Così hanno speso soldi che non avevano. E adesso sono rovinati». E purtroppo è vero. Non si può non ve­derli, mentre ciondolano impigriti at­torno al mercato coperto, attenden­do sotto l’onnipresente pioggerellina il miracolo di un ingaggio tempora­neo, incapaci di mettersi in coda e quindi pronti a una stanca lite da stra­da per un posto in fila davanti alla ca­pitaneria. È una guerra fra poveri, co­me sempre accade quando si sfarina l’architettura sociale di un Paese, che non ha impedito tuttavia ai produttori di yogurt – ora diventati dipendenti di una multinazionale – di regalare 40mila vasetti ai bisognosi, invece di imbarcarli al Pireo per le ricche tavo­le europee. Solidarietà nella protesta. «Stiamo pagando il prezzo di colpe antiche», ripetono ormai da due an­ni i greci, e in fondo hanno ragione. Ma neppure nell’ora più buia riesco­no a rinunciare alla speranza: sì, han­no sbagliato, la colpa dei tanti gover­ni scialacquatori è ereditaria e il ca­stigo – lo sapeva bene Eschilo nell’O­restea – inesorabile. E anche adesso che la crisi ha morso i fianchi del so­gno greco di un’eterna bengodi re­sta pur sempre l’illusione che le E­rinni della Bce e del Fondo Moneta­rio Internazionale si mutino – come per Oreste miracolosamente assol­to da Apollo – nelle benigne Eume­nidi. E questo vago sogno li aiuta un po’ a vivere.