Elena Dusi, La Repubblica 22/2/2013, 22 febbraio 2013
DONNE PIÙ CHIACCHIERONE È L’EFFETTO DI UN GENE
Un “gene del linguaggio” ha contribuito a separare uomini e scimpanzè, fra i 5 e i 7 milioni di anni fa. E oggi si scopre che di questo frammento di Dna le donne sono munite in quantità superiori rispetto agli uomini. Nel cervello femminile — come suggeriscono gli stereotipi — il gene della loquacità è particolarmente attivo. Almeno nei primi anni di vita, quando le parole iniziano a essere articolate con scioltezza e il vocabolario si arricchisce a ritmi tumultuosi, il gene chiamato “Foxp2” funziona a un ritmo del 30% superiore nelle bambine rispetto ai bambini. Questo, secondo uno studio pubblicato sul
Journal of Neuroscience,
spiegherebbe perché le femmine imparano a parlare prima dei maschi e mostrano da piccole una maggiore dimestichezza con vocabolario e sintassi.
La scioltezza di linguaggio delle bambine si mantiene anche in età adulta? Le versioni, su questo nodo cruciale, sono assai discordanti. Secondo lo studio di oggi, condotto da Margaret McCarthy dell’università del Maryland, la differenza di funzionamento del gene del linguaggio fra maschi e femmine riguarda solo l’infanzia. Uno studio pubblicato su Science nel 2007 da Matthias Mehl, psicologo dell’università dell’Arizona, aveva registrato 400 studenti per un giorno intero, e il conteggio delle loro parole si era chiuso in quasi assoluta parità: 16.215 per le ragazze, 15.669 per i ragazzi. Ma sia il record di loquacità che quello di concisione erano andati a due maschi (con 47mila e poco più di 500 parole rispettivamente).
Su queste teorie però spicca la storica affermazione di Louann Brizendine, neuropsichiatra dell’università della California a San Francisco e autrice di “Il cervello delle donne”, che nel 2006 aveva sentenziato: “Una donna pronuncia 20mila parole al giorno, un uomo 7mila”. Quale fosse la fonte di un’affermazione così precisa in realtà non è mai stato chiarito. Ma il rapporto di tre a uno fra le debordanti chiacchiere femminili contro la pratica sintesi maschile divenne una leggenda urbana impossibile da scalfire.
Per dare una controprova ai suoi dati, la McCarthy è andata a studiare i topolini, oltre ai bambini. Sia pur in forma diversa dall’uomo, infatti, anche gli animali hanno un gene Foxp2. Nei topi sono i cuccioli di maschio a squittire
di più (addirittura il doppio) rispetto alle femmine nel momento in cui vengono allontanati dalla mamma. E guarda caso nel loro cervello l’attivazione di Foxp2 è molto più alta (100% in più) nei maschi. La proteina prodotta da questo gene si concentra nelle aree del cervello dove nascono i messaggi vocali, e dove in generale si svolgono le funzioni cognitive e le emozioni: amigdala,
corteccia cerebrale e cervelletto. Quando i ricercatori hanno bloccato il gene Foxp2 nei topolini del loro esperimento, anche gli squittii dei maschi si sono ridotti al livello di quelli delle femmine. Ma la strategia non ha pagato. Più si usano le corde vocali, hanno visto i ricercatori osservando le loro cavie, più veloce la mamma corre a coccolare i cuccioli rimasti soli.