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 2013  febbraio 22 Venerdì calendario

QUANTO È CARO DIO


Sulle amene colline che si distendono sul Reno, nei dintorni di Bonn, Magonza o Colonia, l’aria è meno fredda che nella grigia Berlino. Placida, come nei romanzi che Heinrich Böll ambientò in queste valli renane. «Un’atmosfera estremamente cattolica», sintetizza Bernadette Knecht, 47 anni, ex direttrice di un asilo religioso a Königswinter, a12 chilometri dall’ex capitale tedesca. «Dopo dieci anni di lavoro, lo scorso autunno l’amministrazione mi ha licenziato ». Il motivo? L’insegnante si è separata dal marito e trasferita nella casa del nuovo partner. Commenta Ulrike Keller, portavoce della diocesi di Bonn: «L’abbandono del tetto coniugale è incompatibile con i principi della nostra fede». E sufficiente, nella Germania del 2013, a sbattere per strada un lavoratore. Nonostante lo Stato laico, che dovrebbe garantire uguaglianza di diritti tra tutti i cittadini, spenda ogni anno, tra contributi alle Chiese e finanziamenti alle scuole e agli ospedali delle istituzioni cattoliche e protestanti, 65 miliardi di euro.
La disavventura di Frau Knecht non è un caso isolato. E il proliferare di casi simili sta provocando un acceso dibattito in Germania non solo sui “costi di Dio” ma anche sul prezzo da pagare in termini di ingiustizia sociale. Nina Lockmann e Sarah Lühamn erano due insegnanti della “Liebfrau Schule”, una scuola elementare cattolica a Kleve, nel Nordreno-Vestfalia. «Ho dovuto rinunciare all’incarico», dice la Lockmann «perché sono protestante». Identica ragione per cui anche la Lühmann, maestra di musica, oggi non è più di ruolo. «Per noi presidi», spiega Heribert Feyen, della scuola di Kleve, «trovare insegnanti con la “giusta” confessione è difficile». Con fede e sacramenti - specie con il matrimonio - il clero tedesco non scherza. Nel Nordreno- Vestfalia (il Land più grande in Germania) un terzo delle scuole dell’obbligo sono religiose. In Renania-Palatinato e in Bassa- Sassonia oltre 1.300 scuole sono gestite dalla Chiesa, cattolica o protestante. Il quadro non cambia se dall’istruzione si passa alla Sanità. Dallo scorso settembre, ad esempio, Uwe Schmidt può rimetter piede nella sua clinica a Düsseldorf ma solo dopo una dura battaglia giuridica. Per anni la direzione dell’ospedale (cattolico) ha provato a licenziarlo perché, nel 2008, l’ex-primario si è risposato. Ma la storia che più ha scioccato i tedeschi è successa all’ “Heilig Geist”, un ospedale di Colonia. Lo scorso Natale la clinica cattolica ha rifiutato il soccorso a una 25enne che, vittima di violenze sessuali, voleva abortire. «Per interventi del genere», ha spiegato Sylvia Klauser, portavoce dell’ospedale, «il paziente deve rivolgersi altrove». Quel nosocomio, a Colonia, è una delle 10 cliniche (e 16 ospizi) in mano a uno dei tanti Ordini religiosi alla conquista del sistema sanitario tedesco. «In Germania», commenta Eva Müller, «un ospedale e un ospizio su tre sono gestiti dalle onnipotenti Caritas o Diakonie».
Sono le due associazioni che amministrano la fitta rete di scuole, ospedali, ospizi e servizi sociali che le due Chiese hanno steso sulla società. Una rete così capillare «da trasformare la Repubblica federale in una democrazia pastorale», aggiunge la Müller. Non è una esagerazione. La giornalista ha pubblicato un libro dal titolo “Dio ha costi molto alti”. Emerge quanto «il famoso Stato sociale tedesco sia sempre più in mano ai preti», riassume la Müller.
La penetrazione ecclesiastica del welfare è sistematica. Nei 16 Länder federali solo la chiesa cattolica vanta 10 mila asili-nido. In cui lavorano 100 mila insegnanti per 600 mila bambini. Altri 500 mila crescono in uno degli 8.500 asili-nido luterani, che danno lavoro ad altri 80 mila insegnanti. A livello universitario, in Germania c’è l’offerta di 17 facoltà teologiche (e nella bavarese Eichstätt, c’è la sede dell’ateneo cattolico). Tra elementari e licei, si contano 3.300 istituti religiosi. Attualmente,168 mila ragazzi sono iscritti a una delle 1.100 scuole evangeliche. «Stiamo crescendo specie all’Est», dice Frank Olie, responsabile delle scuole protestanti di Berlino e Brandenburgo. Solo nella capitale, gli istituti protestanti sono 16.
Nulla in confronto all’invasione del clero nel campo della Sanità. Solo la Caritas cattolica, gestisce 405 ospedali (cioè, una clinica su quattro), dando lavoro a 365 mila dipendenti. Tra personale medico e non, altri 405 mila sono impiegati negli ospedali della (protestante) Diakonie. Se a questi sommiamo gli insegnanti e il personale vario, si arriva a 1 milione e 300 mila persone che hanno un contratto con le Chiese. Conferma Jan Jurczyk, portavoce di Ver.di sindacato del pubblico impiego: «Dopo lo Stato sono le Chiese il più grande datore di lavoro nel settore. Ed è uno scandalo perché nonostante abbiano raggiunto, per fatturato e dipendenti, dimensioni da Bmw o Lufthansa, vescovi e pastori protestanti se n’infischiano di ogni norma sindacale e i sindacalisti sono banditi». La parola “streik”, sciopero, è vietata. Spiega Georg Bier, docente di diritto canonico a Friburgo: «Dipende da motivi storici e giuridici. Per le comunità religiose valgono diritti più estesi che in qualsiasi altro paese della Ue. L’articolo 140 della Costituzione sancisce l’auto-determinazione delle Chiese nella gestione dei loro enti».
Il risultato è quello che è successo di recente a Ulm in Baviera. Dove, dopo 14 anni di servizio, una scuola cattolica ha licenziato un’insegnante perché lesbica. L’autodeterminazione ha riflessi negativi anche nella busta paga. I dipendenti del gruppo protestante Bethel (catena di 25 cliniche della Diakonie con 10 mila dipendenti) sono scesi in piazza a Bielefeld e il perché lo spiega Roland Prehm, rappresentante del locale ospedale: «Il salario è inferiore di 400 euro rispetto ai colleghi statali».
Eppure non sono le preghiere ma i miliardi del contribuente a mantenere le istituzioni del clero. Tramite la “Kirchen Steuer”, la tassa per la chiesa, «alle due confessioni entrano 10 miliardi l’anno», ha calcolato Carsten Frerk, il politologo che ha scritto un “Libro Viola” sui finanziamenti statali alle Chiese (vedi box a pagina 80). Quei 10 miliardi coprono solo la manutenzione delle chiese, e le prebende di parroci e pastori. E dei 45 miliardi che servono per mandare avanti ogni anno scuole e ospedali, le Chiese sborsano appena 800 milioni di euro l’anno, il 2 per cento del totale di spesa: al resto ci pensa lo Stato. E il totale dei finanziamenti tocca la mirabolante cifra di 65 miliardi. Esempio limite: nella ricca Amburgo non sborsano neanche un centesimo. Ancora Eva Müller: «È il colmo. Le chiese discriminano i dipendenti, non tollerano sindacati, e i costi di Dio li pagano i cittadini». E Frerk rincara: «Sono l’istituzione più arcaica in Germania, che non corrisponde più né ai tedeschi di oggi né alle norme europee».
Eppure il potere delle chiese cresce. A causa, secondo il sociologo Norbert Wolhfahr, della riforma del welfare dell’era-Schröder: «Più lo Stato, per risparmiare, si è ritirato da scuole e sanità più vi sono entrate le chiese». C’è poi un altro elemento che spiega la crescita delle scuole confessionali. Dopo i pessimi risultati delle scuole pubbliche ai test-Pisa, «le iscrizioni ai nostri istituti sono cresciute del 30 per cento perché noi diamo un sigillo di qualità», quantifica il protestante Frank Olie.
Sono solo un relitto arcaico, e non democratico, gli istituti e gli ospedali religiosi? «Di sicuro», risponde il socialdemocratico Carsten Scheider, «non è accettabile nella Germania del 2013 che se non sei cattolico o protestante, non lavori in una scuola o ospedale. Ma è una triste realtà, non getta buona luce sul nostro Paese». E nemmeno sui partiti. All’interno della Spd, Carsten Scheider è uno dei pochi a denunciare lo stato delle cose. Persino i Verdi tacciono. «L’amara verità», conclude Schneider, «è che nessun partito osa inimicarsi la Chiesa ». Muove ancora oggi, dicono i politologi, il 5 per cento dell’elettorato.