Stefano Livadiotti, l’Espresso 22/2/2013, 22 febbraio 2013
SPRECARE NON È PIÙ STATUS SYMBOL
Quando manca una manciata di minuti all’orario di chiusura gli altoparlanti del supermarket avvertono la clientela. Come da tradizione nei mercati rionali, parte l’operazione last minute. Nei corner segnalati dai cartelloni, ma ormai ben noti agli habitué, i prodotti deperibili (dal pesce alla pasticceria) vengono messi in vendita con sconti compresi tra il 30 e il 50 per cento. E vanno quasi sempre a ruba, fino all’esaurimento. La scena si ripete tutte le sere in circa 300 dei 1.468 punti vendita della Coop, il colosso della distribuzione della Lega che vanta un giro d’affari dell’ordine dei 13 miliardi e controlla il 18 per cento del mercato nazionale al dettaglio.
Il last minute, oggi diffuso soprattutto in Emilia, Veneto, Liguria, Marche, Abruzzo e Puglia, è l’ultima frontiera del risparmio sul carrello della spesa. Un esercizio obbligato per gli italiani alle prese con i morsi della crisi economica (e con un fisco sempre più vorace) e che nel 2012 ha portato, per la prima volta dagli anni Settanta, a un calo nelle vendite dei prodotti di largo consumo. La spesa per le famiglie ha fatto un passo indietro di oltre quindici anni, tornando ai livelli del 1996. Un trend negativo che, secondo l’ultimo aggiornamento del Rapporto Coop sui consumi, non si invertirà prima del 2014, quando arriverà un leggero miglioramento o, quanto meno, una stabilizzazione.
Non siamo ai livelli della Grecia, dove una legge approvata di recente consente di mettere in vendita anche i prodotti già scaduti all’unica condizione che siano fortemente scontati, ma poco ci manca. La differenza è che gli italiani, costretti a stringere la cinghia, stanno facendo l’impossibile per scongiurare un drastico abbassamento nella qualità della loro dieta alimentare. Basta pensare che, in un Paese da sempre in posizioni di retroguardia nella diffusione e nell’utilizzo del web, oltre la metà dei consumatori sostiene di girare su Internet per individuare i negozi e i prodotti più convenienti.
I dati elaborati dalla Nielsen per la Coop dicono che nel 2012 gli italiani hanno modificato in maniera significativa il modo di fare la spesa. Se non avessero cambiato le loro abitudini avrebbero speso il 3,4 per cento in più rispetto all’anno precedente. Invece, hanno risparmiato l’1,8 per cento (e il 12 per cento rispetto al 2001). Lo scontrino finale si è ridotto di un miliardo e 200 milioni. Secondo gli analisti della Nielsen, il risparmio è frutto di quattro diversi fattori: lo spostamento degli acquisti verso le marche più commerciali (130 milioni), la scelta sempre più frequente del discount (155 milioni), lo sfruttamento delle offerte promozionali (176 milioni). A queste tre leve di risparmio, il cui primo utilizzo risale ormai a un decennio fa, se ne è aggiunta prepotentemente una nuova. Quella legata alle rinunce, o almeno alla razionalizzazione della spesa, sui prodotti più cari. In questo modo gli italiani hanno tagliato il conto di 733 milioni, cioè molto più del triplo rispetto a solo un anno prima (210 milioni nel 2011).
Più Carrefour e meno Barilla. L’analisi delle vendite per tipologie di marche non si presta davvero a equivoci. Quelle create in proprio dalla grande distribuzione sono le uniche a poter vantare una crescita senza significative battute di arresto, che le ha portate dall’11,3 per cento del 2003 a quota 17,6 nello scorso anno. Solo nel 2012 hanno realizzato una performance del 6 per cento, che ha consentito loro di rastrellare un fatturato grocery vicino ai 9 miliardi di euro. Le marche leader nel loro settore hanno continuato invece a perdere terreno, anche perché i produttori non sono intervenuti più di tanto sul contenimento dei prezzi di listino: nel 2003 valevano il 30,1 per cento del mercato, nel 2010 erano scese al 27,4 e lo scorso anno stavano a quota 26,1. Stessa sorte, con una perdita però più contenuta, per le altre marche della gamma alta, scese dal 26,3 per cento del 2003 al 25,1 del 2011 e al 24,6 del 2012.
Il partito del discount. Se si limita la panoramica ai prodotti confezionati, cioè in pratica alle scatolette, allora la partita per l’accaparramento della clientela tra i diversi canali di vendita non ha proprio storia. A picco i supermercati sotto i 400 metri quadrati (meno 5,6 per cento in volume; meno 3,9 in valore) e i negozietti (meno 4,3 in volume; meno 3,4 in valore), gli unici che si sono salvati dalla generale débâcle sono i discount, che hanno visto aumentare la quantità della merce venduta (più 3,4 per cento) e, soprattutto, il fatturato (più 6,1 per cento).
Cogli l’attimo. Alle prese con problemi di cassa sempre più stringenti, il consumatore vuole limitare al minimo la spesa della settimana e a fare scorte non ci pensa proprio. Così, andata praticamente in pensione l’offerta di acquisto di tre confezioni al prezzo di due, è invece boom per le offerte promozionali, che consentono risparmi fino al 40 per cento sui prezzi di listino. Sul mercato delle scatolette sono arrivate a rappresentare, nel 2012, il 27,4 per cento del fatturato, un punto in più rispetto a dodici mesi prima (e quasi dieci se si fa il confronto con il Duemila). Siccome funziona, la grande distribuzione ci sta puntando tutte le sue carte migliori: secondo i ricercatori della Nielsen, a novembre scorso le promozioni con tagli dei prezzi dell’ordine del 20-30 per cento sono aumentate (6,6 per cento) più di quelle che consentono risparmi compresi tra il 10 e il 20 per cento (6 per cento).
Tutti ai fornelli . Oltre la metà del risparmio gli italiani l’hanno però realizzato riempiendo in maniera diversa da prima il carrello della spesa. Bandito il superfluo (dagli alcolici agli snack), sono tornati ai fornelli per risparmiare sul conto del ristorante. La prova si può rintracciare nei maggiori acquisti di ingredienti (più 9,4 per cento), conserve (più 6,7) e surgelati (più 6,2).