Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  febbraio 22 Venerdì calendario

INTERNET - ALLA GUERRA DELLE MAPPE


Dopo gli oceani, Marte e la Luna, Google ha fatto la mappa anche della Corea del Nord, nuova frontiera di una strategia che mira ad abbattere ogni barriera tra noi e la conoscenza del mondo. Non solo di quello on line ma ormai anche di quello fisico.
Le conseguenze sono ambivalenti e si manifesteranno man mano che il fenomeno accelererà nei prossimi mesi. La tendenza infatti è mappare tutto, anche gli utenti: «Le mappe digitali non servono più solo a leggere il territorio e a orientarsi. Ma anche a scriverlo e quindi a orientarne l’evoluzione», spiega Giuseppe Iacono, fondatore dell’associazione Stati Generali dell’Innovazione (per lo sviluppo della cultura digitale). Allo stesso tempo, «gli utenti vengono mappati, sempre più spesso: le loro scelte commerciali, le abitudini, i percorsi», aggiunge Iacono.
È questa l’ambivalenza che attraversa la grande guerra in corso per le mappe digitali ed è su questo che si interrogano ora i principali esperti. «Stiamo andando verso un futuro in cui, anche grazie a questi strumenti, conosceremo meglio il mondo là fuori? Oppure ogni nostro movimento e ogni nostra scelta diventerà oggetto di business, nelle mani di pochi soggetti che controllano le mappe?», s’interroga Mauro Magatti, preside della facoltà di Sociologia all’università Cattolica di Milano.
Al momento entrambi i fenomeni stanno crescendo in parallelo. È certo un bene che la Corea del Nord, uno dei posti più segreti del pianeta, ora sia visibile in dettaglio sul Web: una comunità di cittadini sta aiutando Google a completare le mappe satellitari, aggiungendo i posti a loro familiari. Chiunque, via Internet, ora può rendersi conto di quanto siano estesi i "campi di lavoro", grandi quanto città.
Alcune mappe sono nate con lo scopo preciso di migliorare il territorio che raccontano. È il caso della piattaforma no profit Ushahidi, a cui collaborano gli utenti in crowdsourcing. "Ushahidi" significa "testimonianza", in swahili: è nata dal basso, da un gruppo di sviluppatori e blogger. Nel 2008, in Kenya ha tenuto traccia delle violenze scoppiate dopo le elezioni, riportando le testimonianze oculari. È stata poi adottata in altri Paesi africani e anche oltre oceano (Haiti, Cile), per esempio per mappare l’esaurimento delle scorte mediche nelle cliniche da campo, il deficit di insegnanti nelle scuole e aiutare il personale umanitario durante un’emergenza. Questa piattaforma e altre simili sono utilizzate anche da alcune città americane, per offrire una mappa aggiornata dei crimini e così far sapere quali sono i quartieri più pericolosi.
«Le mappe digitali, migliorando la nostra conoscenza del mondo possono far crescere la nostra cultura civica, soprattutto quando ci fanno collaborare a un progetto comune», dice Magatti. «La nostra università sta lavorando con il Mit di Boston a una mappa che nei prossimi mesi consentirà agli utenti di segnalare tutti i disservizi del comune di Milano», aggiunge. La stessa idea è alla base della piattaforma ePart, che raccoglie le segnalazioni dei cittadini in tutte le città italiane. Simile è la filosofia di un progetto ambientalista partito a gennaio (no profit): Aci (Antropentropia dei comuni italiani). Misura l’impatto dell’uomo sull’ambiente e sta costruendo una mappa per mostrare il livello di cementificazione delle regioni italiane. Si serve di dati forniti dalle pubbliche amministrazioni e del lavoro volontario degli utenti.
La novità che riguarda le principali mappe mondiali - quelle di Google, Microsoft, Nokia- è invece la personalizzazione. «Adesso la mappa appare più o meno uguale a tutti. Ma la nostra visione è che dovrebbe mostrare cose a seconda dei miei interessi, per esempio quelli espressi con le mie ricerche su Internet. Essere diversa in base ai prodotti che ho comprato e ai miei amici», dice Raphael Leiteritz, responsabile delle mappe Google in Europa. «Le nostre mappe future quindi mostreranno con più evidenza le cose che mi interessano, gli hotel che i miei amici hanno visitato e magari recensito».
La personalizzazione apre risvolti commerciali inediti.
Le mappe digitali sempre di più permetteranno di mandare pubblicità personalizzata (geolocalizzata) e di profilare gli utenti in base ai loro spostamenti. Sono informazioni utili ai negozi, agli addetti al marketing e a tutte le aziende che vogliono conoscere meglio i propri clienti potenziali.
Finora tutto questo si è visto poco, per un motivo: «Le mappe digitali tracciano male i nostri spostamenti nei luoghi chiusi, dove passiamo però il 90 per cento del nostro tempo», dice Tony Costa, analista dell’osservatorio Forrester Research. La colpa è dei limiti tecnologici del sistema satellitare gps. Tuttavia, crescono in numero e qualità i servizi che ovviano al problema, grazie a un mix di altre tecnologie. Per esempio, basta avere l’app Shopkick sul cellulare e poi entrare in uno dei 7 mila negozi americani affiliati al servizio per ricevere alcuni punti, convertibili in omaggi o sconti. L’app traccia l’utente grazie alle onde sonore emesse da una speciale scatoletta, posta all’ingresso del negozio e fornita da Shopkick.
Altri servizi utilizzano un mix di tecnologie, come il Wi-Fi e le reti cellulari per tracciare l’utente nei luoghi chiusi. Il Museo di storia naturale (a New York) e il Royal British Columbia Museum hanno app che riescono a guidare i visitatori da una stanza all’altra, sulla mappa. Si aprono scenari: potremo orientarci nei supermercati e negli aeroporti, vedendo sul cellulare dove si trova il gate, uno sportello bancomat o persino uno specifico prodotto che stiamo cercando sugli scaffali.
I big ci credono e ci scommettono già. Le mappe digitali di Google includono 10 mila luoghi chiusi; quelle di Nokia hanno anche gli interni di 29 mila palazzi, in giro per il mondo.
«Il rischio è quello dell’assalto commerciale, che può distorcere la funzione obiettiva della mappa», dice Magatti. Magari perché appariranno in evidenza solo i negozi che hanno fatto un accordo con chi gestisce la mappa. Oppure, conoscendo i nostri passati spostamenti, le mappe ci convinceranno a visitare certe località turistiche, invece che altre, in un circolo vizioso che limita l’orizzonte delle scelte.
È un problema nella misura in cui «la nostra conoscenza del mondo tenderà a trasferirsi sul piano di ciò che viene rappresentato attraverso le mappe… Lo conosceremo per quella via, sempre di più», continua Magatti.
«Il filosofo Michel Foucault l’aveva già capito», dice Giovanni Boccia Artieri, sociologo all’università di Urbino. «Notava che il potere ripartisce e organizza lo spazio sociale e di qui introduce un processo di disciplinamento dei corpi. Le mappe digitali connettono in modo molto forte luoghi, corpi, relazioni sociali e consumi: i luoghi ci verranno sempre più segnalati a partire da bisogni immaginati che si fondano sulla mappatura dei nostri spostamenti e di quelli dei nostri amici», continua.
«Nei nostri sondaggi, la maggioranza delle persone dice che è il gps la tecnologia che più ha cambiato le loro vite quotidiane», conferma la sociologa Monica Fabris, fondatrice dell’istituto Episteme: «Ma il punto è: le mappe digitali serviranno ad ampliare l’orizzonte del cittadino o lo chiuderanno? Aumentano la nostra possibilità di scelta o ci orientano verso traiettorie definite da terzi?», continua. «Molto dipende da quanto si diffonderanno le mappe alternative, costruite dal basso e senza secondi fini: come il progetto OpenStreetMap, dove gli utenti collaborano come su Wikipedia», dice Magatti. «Ma è necessario che queste iniziative abbiano supporto istituzionale o rischiano di cedere il passo ai big». Nel Regno Unito il governo sostiene il progetto City Dashboard dell’University College London, che ha fatto un’interessante mappa dinamica di otto città: mostra l’inquinamento ma anche "l’indice di felicità locale", tratto dal sito Mappiness (che chiede a volontari di dichiarare il proprio umore del momento).
C’è molto in ballo. Il filosofo Alfred Korzybski già 80 anni fa notava che «la mappa non è il territorio»: è solo una rappresentazione della realtà e può essere orientata dagli interessi o dalle idiosincrasie di chi la crea. Nei secoli, le mappe cartacee sono state riflesso del potere geopolitico. Le mappe digitali segnano uno scarto perché sono personali, orientate attorno a chi le utilizza. Questo può consegnare un nuovo potere di consapevolezza ai singoli oppure concentrarne uno inaudito nelle mani di poche potenti aziende.