Vittorio Zincone, Sette 22/02/2013, 22 febbraio 2013
ZIO ALBERTONE DICEVA: PER FARE IL GIORNALISTA IMPARA A RECITARE
Parla svelto. Mescola temi, toni, timbri. E salta da un argomento all’altro: a volte per dribblare una domanda, a volte per piacere narrativo. Igor Righetti, 43 anni, conduttore della trasmissione di Radio Rai il ComuniCattivo, mi accoglie in una stanzetta bianca con arredo in plastica grigia. Quando gli faccio notare che, malgrado il nome, nel suo programma di cattiverie se ne sentono davvero poche, prende un foglio sul tavolo e legge: «Lo slogan di Monti è l’Italia che sale... si riferisce alle tasse con cui ha fustigato i cittadini?». Poi ammette: «Cattivi sì, ma siamo pur sempre in Rai». Righetti insegna comunicazione d’impresa e linguaggi radiotelevisivi, «in numerose università pubbliche e private», come sottolinea il suo sito web. Ogni tanto parte il suggerimento: «Per evitare lo sbadiglio mentre sei in onda, tocca il palato con la lingua... Vuoi venire bene in foto? Costruisci il tuo sorriso mettendo un dito tra i denti». Sono gli stessi che elargisce a politici e manager che si rivolgono a lui per imparare a parlare in pubblico o per migliorare la loro immagine: «In Italia siamo all’abc della comunicazione». Righetti sostiene che a lui molte “dritte” le ha date Alberto Sordi, suo prozio da parte di madre. E visto che tra un paio di giorni si celebrano i dieci anni dalla morte di Albertone, cominciamo da qui.
Albertone...
«Un uomo generoso».
Si dice il contrario. Aveva fama di essere un super tirchio.
«Non spendeva ed era parsimonioso. Mangiava cose semplici. Ma quando ero bambino mi portava sempre delle caramelle al cioccolato. E mi seguiva, mi consigliava. Non era mica obbligato».
Le regole di Albertone.
«La prima: scrutare il Paese. Andare nei supermercati e osservare gli italiani. Se non li conosci non li puoi rappresentare, né parlarne».
La seconda?
«Anche se fai il giornalista, impara a recitare. Una volta davanti a un tg, mi disse: “La vedi quella roscetta messa di traverso? Pensi che stia comoda? No. Ma ha una posa da attrice e funziona”. Era Lilli Gruber. Quando poi venne a sapere che avrei fatto una trasmissione in radio mi invitò a scrostare il linguaggio Rai».
Come?
«Con espressioni dialettali, cambi di timbro, imitazioni. Lui in questo era insuperabile. E anche in famiglia era una performance continua: macchiette, facce buffe, scherzi telefonici. Aveva riti rigidissimi: la sua pennichella dopo pranzo era sacra. Silenzio e buio assoluti».
Lei ci passava molto tempo?
«Non era lo zio della domenica. Mio padre era stato capoclaque quando lui si esibiva da giovane all’Ambra Jovinelli. Alberto mi chiamava “Aigoreee” oppure “Scugnizzo”. Un anno passammo un lungo periodo insieme in Maremma, perché io vivevo lì e lui doveva girare In viaggio con papà».
In famiglia era un po’ più indiscreto sui suoi amori? Gli sono stati attribuiti flirt con Nanda Primavera, Andreina Pagnani, Silvana Mangano, Uta Franzmair, Katia Ricciarelli...
«Una volta ci raccontò di una mirabolante avventura in wagon lits. Una donna conosciuta in treno con cui aveva avuto un flirt fugace».
Era sensibile alle critiche?
«Ci rimase male quando Paolo Villaggio stroncò il suo film con Valeria Marini».
Sposami papà, non un capolavoro.
«Alberto leggeva la società come pochi altri. È stato il più grande a rappresentare l’uomo medio italiano. L’ultimo progetto a cui ha lavorato è stato un film sulla vita familiare di Mussolini».
Perché non lo ha realizzato?
«Ci disse di aver ricevuto molti telegrammi dal Sud America che lo esortavano ad astenersi. Non so altro. Ma ho bene in mente quando mi confessò che non avrebbe mai interpretato un politico».
Dei politici era amico.
«Solo di Giulio Andreotti».
Che cosa votava Sordi?
«Che io sappia centro cattolico, anche dopo la fine della Dc».
Lei è in Rai grazie alla sua parentela con Sordi?
«No. Ci sono arrivato dopo molti anni, dopo aver lavorato come responsabile della comunicazione di grandi aziende, anche multinazionali dei telefoni. E prima di sbarcare alla radio di Stato ho lavorato per anni a Videomusic».
Mi fa il nome di un politico a cui dà consigli di comunicazione?
«Non posso. Ma le posso dire che in Italia soffriamo di stipsi comunicativa. Molti personaggi pubblici non si rendono conto di quanto sia importante la comunicazione non verbale. Lei sa che cosa è il peto ascellare?».
No.
«Si mette una mano sotto l’ascella e si muove il braccio su e giù. Chiunque provasse a fare una cosa simile per un minuto di seguito in tv, farebbe aumentare lo share di 3 o 4 punti».
Spero non lo proponga ai politici che le chiedono assistenza.
«Era solo per dire che in tv non passa quel che dici ma quel che fai. Il 93% di quel che arriva ai telespettatori/elettori è linguaggio metaverbale o paraverbale».
Sicuro?
«Lo dicono i manuali: dell’ospitata in tv di un politico, quello che resta ai telespettatori dipende per il 55% dalla scala timbrica, dal tono, dall’altezza del volume, cioè il paraverbale. Per il 38% dal linguaggio del corpo. E solo per il 7% dai contenuti».
Quindi? Più peti ascellari per tutti?
«No. Ma un po’ di attenzione alle regole basilari della comunicazione per immagini non guasterebbe».
Chi fa attenzione e chi no?
«Berlusconi è ben consigliato. La performance da Santoro con lui che spolvera la sedia di Travaglio è da manuale».
Bersani?
«Bersani è rassicurante. Uguale a se stesso, da sempre. Ma ogni tanto dovrebbe cambiar tono e sorridere».
Grillo i toni li cambia molto.
«Ovviamente. Grande recitazione. E in questo momento dice esattamente quel che i cittadini vogliono: Mandiamoli tutti a casa».
E Monti?
«Accademia classica professorale. Molti contenuti elaborati, senza una forma efficace. Non passa».
Neanche quando va in onda con un cucciolo sulle ginocchia?
«In quel caso funziona. Il cagnolino è un grande classico. I cuccioli si usano anche negli spot della carta igienica, non è un caso».
Sta paragonando Monti a un rotolo di carta?
«Ho detto solo che ha seguito una regola che funziona in tutto il pianeta».
Chi comunica bene tra i conduttori tv?
«Andrea Vianello. Ha molto ritmo».
Chi è che non funziona proprio?
«Basta dare un’occhiata ai flop: a uno istintivo come Francesco Facchinetti mancano anni di scuola. Antonella Clerici difficilmente potrebbe uscire da un contenitore people».
People?
«Molto popolare. Lei piace perché è rassicurante. Nel senso che le casalinghe a casa sono sicure di cucinare meglio di lei. Un altro che non riesco ad apprezzare è Enrico Bertolino».
Perché?
«Ha uno sguardo triste».
Fa ridere.
«Non me».
Lei concedeva consulenze a singoli politici o manager. E le concede ancora. Può capitare che faccia una consulenza a qualcuno e dopo qualche mese quella persona sia invitata al ComuniCattivo?
«No. Non è mai successo».
A cena col nemico?
«Con Klaus Davi».
È un suo collega comunicatore.
«Lui è molto più formale e ingessato».
Ha un clan di amici?
«Un gruppo molto ristretto. Un nome su tutti: Carla, che collabora con me».
Qual è l’errore più grande che ha fatto?
«Colpire tutti in modo bipartisan. Ma è un errore che rifarei. Qualcuno non ha gradito le mie battute e sono stato censurato. Antonio Caprarica, allora direttore di RadioUno, nel 2009 sospese la mia trasmissione da un giorno all’altro».
Magari la trasmissione non andava bene.
«Invitai Caprarica a pubblicare i dati di ascolto. Ho ricevuto la solidarietà pubblica di Maurizio Gasparri ed Ermete Realacci. Apprezzamenti bipartisan».
Che cosa guarda in tv?
«Fiction. Soprattutto quelle con zombi e vampiri».
Il libro preferito?
«Il nome della rosa. Emozioni forti».
La canzone?
«Se volessi fare lo snob le dovrei dire Gaber o De André. Se volessi fare quello very people e giovane le potrei dire Gangnam Style...».
Invece?
«Ancora ancora ancora interpretata da Mina».
Il film?
«Giù al Nord. Il film francese che ha ispirato l’italiano Benvenuti al Sud».
È vero che lei ha fatto anche l’attore?
«Ho studiato recitazione per cinque anni. Con Pupi Avati ho recitato ne Il papà di Giovanna e in Gli amici del bar Margherita».
Avati l’ha chiamata per via dell’amicizia col prozio Albertone?
«No. Mi ha preso perché è un mio radioascoltatore. È successo pure con Pietro Valsecchi che mi ha voluto nelle sue fiction poliziesche. Per fare il cattivo, ovviamente».
Lei cinguetta su Twitter?
«Preferisco Facebook».
Sa quanto costa un pacco di pasta?
«In offerta anche settanta centesimi».
Conosce i confini del Mali?
«Confine uguale limite. Limite uguale confine».
Ne prendo atto. Di che cosa parla l’articolo 3 della Costituzione?
«Di diritti».
Quasi tutta la Costituzione parla di diritti.
«Vabbé. Io proporrei di inserire nella Carta fondamentale il fatto che questa è una Repubblica fondata sulle tasse».