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 2013  febbraio 22 Venerdì calendario

L’ALLERGIA CHE FA EVITARE IL CARCERE

Pane e cipolla, pane e cipolla, pane e cipolla. Se fosse un detenuto affidato alle sue cure, Joe Arpaio saprebbe bene come trattare il detenuto Michele Aiello, il “colletto bianco” accusato di essere il prestanome del boss Bernardo Provenzano e condannato a 15 anni e sei mesi. Non può mangiare fave e piselli perché è allergico a quei legumi e dunque potrebbe morire in carcere? Lo sceriffo di origine irpina che mesi fa è stato rieletto per la sesta volta sceriffo di Maricopa, in Arizona, non ci perderebbe tempo: mangi pane e cipolla.
Che i suoi metodi siano così brutali da spingere le associazioni per i diritti umani a elevare vibranti e sacrosante proteste è fuori discussione. Joe Arpaio, convinto che chi va in galera se l’è meritata e deve costare il meno possibile ai contribuenti americani, è arrivato al punto di allestire in mezzo al deserto una prigione di tende con un altissimo e insuperabile sistema di palizzate e reticolati intorno dove in estate la temperatura arriva a 45 gradi: «Se possono resistere nelle tende i nostri soldati in Iraq o in Afghanistan possono starci anche i delinquenti». Quanto alla dieta, si è vantato per anni di sfamare gli “ospiti” con 45 centesimi al giorno. Adesso pare sia stato costretto a raddoppiare: un dollaro. Cifra che, sicuramente, gli sembra uno spreco.
Non ci piace, Joe Arpaio. E va ripetuto senza ambiguità: chi ha sbagliato ha diritto a essere rispettato. Fosse pure il peggiore criminale, chi è allergico al latte ha il diritto di non essere costretto a bere latte. Ovvio. Detto questo, la perizia che giorni fa è tornata a definire “incompatibile” con il carcere la situazione dell’ingegnere condannato insieme con Totò Cuffaro, da un anno agli arresti nella sua villa di Bagheria dopo essere stato scarcerato perché nella dieta del penitenziario in cui era rinchiuso c’erano tutti i giorni o le fave o i piselli, è sconcertante.
Tanto più che si aggiunge ad altre scelte del passato che avevano sollevato perplessità e polemiche. Prima fra tutte la risposta del carcere di Sulmona, che si era detto impossibilitato a fornire al detenuto cibi senza quei legumi ai quali è allergico. Per non dire della tesi degli ispettori del ministero della Giustizia che, inviati ad accertare se non ci fossero irregolarità nella decisione del tribunale di sorveglianza dell’Aquila di concedere ad Aiello gli arresti domiciliari anziché imporre alla direzione del carcere abruzzese un menu “mirato”, hanno sostenuto, racconta la cronaca dell’Agi, che «queste disposizioni non spettano ai magistrati». Ricevuta la perizia, la patata bollente è tornata ai giudici palermitani.

Chi sta con la mafia. Come la pensino i familiari delle vittime della mafia lo ha detto Giovanna Maggiani Chelli, dell’Associazione vittime della strage di via dei Georgofili, a Firenze: «Per favore, non sia insultata la nostra intelligenza». E dopo avere ricordato che «il tritolo di via dei Georgofili fu comprato anche con i capitali per i quali Aiello ha fatto da prestanome», la signora se l’è presa con i Tribunali di sorveglianza: «Siamo così offesi che chiediamo con urgenza una legge affinché sia il Parlamento a decidere sul 41 bis, sui domiciliari e quant’altro quando i mafiosi ne fanno richiesta, così come si fa per i parlamentari quando bisogna decidere se devono essere indagati, arrestati o quant’altro, così finalmente capiremo chi sta con la mafia». Una reazione comprensibile: se «ci deve esser bene un giudice a Berlino», così ci deve esser bene una galera in Italia dove non si mangino fave e piselli… E se non c’è, uno Stato serio dovrebbe farla apposta. A costo di assumere un cuoco solo per cucinare pasta e riso in bianco per l’ingegnere Michele Aiello.