Pierluigi Magnaschi, ItaliaOggi 22/2/2013, 22 febbraio 2013
SIAMO IN ADORAZIONE DEL PEZZO DI CARTA
Oscar Giannino, avendo esibito due lauree che non ha conseguito e un master che non ha frequentato, è un millantatore. Su questo non c’è dubbio. Ma, per me, è anche finita lì. La sua vicenda si presta soprattutto a considerazioni più generali sulla mitologia del pezzo di carta e sulla metastasi universitaria alimentata anche dalla convinzione, ribadita acriticamente da tutti, come se fosse un mantra, che in Italia abbiamo una percentuale di laureati inferiore a quella dei paesi sviluppati. Come se i paesi sviluppati avessero sempre ragione, vedi, per fare solo due esempi, i derivati e la commistione fra banche di deposito e di affari.
Senza contare poi che c’è laurea e laurea. Un conto, ai fini dello sviluppo del paese e dello sbocco occupazionale, è una laurea in chimica, ingegneria, o in economia e un’altra è una in sociologia o in comunicazione. Bernard Show diceva: «Dicesi alfabeta colui che ha contratto il vizio di leggere». Da questo punto di vista, conosco molti laureati che sono analfabeti. E Oscar Wilde (era, anche lui, un Oscar non masterizzato) diceva: «Sono ammirato dalla straordinaria potenza del cervello umano quando constato che una persona, dopo 15 anni di scuola, è ancora in grado di ragionare».
Giannino ha una preparazione economico-finanziaria e giuridica che polverizza, lo ammettono tutti coloro che lo hanno frequentato, quella di qualsiasi masterizzato (Zingales compreso, che, supercilioso com’è, lo considerava e lo trattava da collega). Ma a Giannino mancava il pezzo di carta, la patacca che hanno tutti e che, in Italia, è preteso da tutti. L’ordine dei giornalisti, ad esempio, non si vergogna (anche se dovrebbe farlo) a pretendere dai fotoreporter che vogliono iscriversi all’albo dei pubblicisti (!) la laurea, foss’anche in podologia. E ciò anche se tutti i grandissimi fotoreporter che conosco non hanno nemmeno il diploma.
E così per poter insegnare alle elementari, in Italia, si prevede l’obbligatorietà di un laurea quinquennale e le maestre hanno schivato per un soffio (ma non è detto, per il futuro) anche un successivo master biennale. Analogamente, per diventare oculista (oculista, ho detto) ci vogliono, per i più diligenti, 11 anni di studio dopo la licenza liceale. Per condurre un jumbo sulle rotte transatlantiche bastano due anni. E nella pubblica amministrazione un laureato è considerato, per definizione, più preparato di un diplomato. Per definizione, dico. A proposito di meritocrazia.