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 2013  febbraio 20 Mercoledì calendario

QUANDO TOM CRUISE ERA IL DEMONIO

Che cosa si prova a essere in fila con altri bambini per cedere la propria anima alla Chiesa di Scientology? Ad avere 7 anni, i genitori lontani, e in mano un contratto che dice «Mi impegno a servire l’organizzazione per il prossimo miliardo di anni»?
«Prima di firmare mi comparvero davanti agli occhi le immagini della Sirenetta, la scena in cui Ariel firmava l’accordo magico con la strega del mare», dice Jenna Miscavige Hill. «Oggi so che non si può mettere un bambino in quella situazione ma allora avevo paura che, rifiutandomi di firmare, non avrei mai più visto i miei amici, la mia mamma, il mio papà».
Quella di Jenna non è una qualsiasi famiglia di Scientology. Suo zio David è il leader, testimone al matrimonio di Tom Cruise con Katie Holmes, erede del fondatore Ron Hubbard. Sua madre Elizabeth e suo padre Ron erano tra i dirigenti dell’organizzazione. E Jenna è stata arruolata sin da piccola nella Sea Org, il corpo d’élite di Scientology, una sorta di accademia militare in cui si indossano uniformi della Marina e si viene educati, lavorando 14 ore al giorno, ad assumere ruoli di rilievo nella Chiesa. Ci sarebbe arrivata anche Jenna se non ne fosse uscita nel 2005 col marito Dallas: ora lei è la nemica numero uno, autrice di Scientology. Ci sono nata. Ci sono cresciuta. Sono scappata, un’autobiografia che rappresenta il più duro atto d’accusa mai formulato contro la Chiesa.

Firmò quel contratto per restare coi suoi genitori: come andò a finire?
«Che ne fui separata, come accade alla maggior parte dei bambini di Scientology. Dai 2 ai 4 anni ho visto i miei per un’ora al giorno. Dai 4 ai 12, una volta la settimana: stavamo assieme mezza giornata. Dai 12 ai 18 ho visto mia madre due volte in tutto e mio padre quattro volte. Ma per Scientology era anche troppo: i miei erano considerati eccessivamente legati alla famiglia».
Perché dividere i bambini dai genitori?
«Perché gli aderenti alla Sea Org sono considerati “Thetan”, spiriti immortali. I tuoi genitori sono tali per caso: nella prossima vita ne avrai di diversi, quindi non contano. La vita familiare è un intralcio, distrae dalla dottrina. Anche la scuola ha un ruolo minore: pochissimi amici miei hanno finito il liceo, ed essere così isolati dalla vita normale è un’altra ragione per cui la gente ha paura di lasciare Scientology».
A che cosa paragonerebbe l’organizzazione?
«Di recente ho letto 1984 di Orwell: è esattamente così, non ti puoi fidare di nessuno, perché uno dei dettami è che i membri devono denunciare alle autorità chi pensano abbia fatto o pensato qualcosa contro Scientology».
La facevano lavorare?
«A sei anni lavoravo 8 ore al giorno, di cui 4 a scavare canali. A dieci il mio lavoro era quello di dottore: chiedevo agli altri bambini se stavano male e li curavo con massicce dosi di vitamine, col rischio di procurargli un’overdose. Per fortuna le medicine sono proibite, e anzi uno dei primi passi nell’organizzazione è quello della purificazione: stai in sauna bollente per ore, poi ingurgiti un beverone d’olio che in teoria sostituisce le tossine cattive con quelle buone».
C’è spazio per il gioco?
«Pochissimo. Quando ho visto per la prima volta un bambino normale, che faceva scherzi e nascondeva cose, sono rimasta scioccata: noi eravamo piccoli robot. Se non pulivi le stanze perfettamente, tanto da passare la prova del guanto bianco, rischiavi di finire per giorni in uno scantinato con i pipistrelli. La nostra scuola? Le frasi di Hubbard, la cui foto era ovunque, venivano proiettate su un muro, e noi dovevamo ripeterle ad alta voce in coro, per ore. Oppure guardarle, in silenzio, senza neanche un battito di ciglia. Una delle prime frasi da memorizzare è: “Il contraccolpo arriva quando si contesta un ordine”».
Che cosa succede allora?
«I superiori pensano che, se non hai obbedito, è perché non hai capito una parola: devi consultare il dizionario e imparare. Non puoi chiedere spiegazioni: quelle sono considerate giustificazioni di pensieri sbagliati che nascondono azioni contro l’organizzazione. Più volte al giorno devi passare l’esame dell’elettropsicometro, una specie di macchina della verità: se dai una risposta ma l’ago dell’oscillometro va nella direzione del falso, ad avere torto sei tu. Allora ci si inventano modi per passare il test: io pensavo cose positive, oppure dicevo che avevo peccato in una vita passata. Tutto pur di non essere retrocessi a un grado inferiore. O, peggio ancora, diventare una “persona nefasta”, come si chiamano i nemici di Scientology».
Essere la nipote del capo la aiutava?
«All’inizio, sì. Poi, per evitare l’accusa di favoritismo, furono sempre più severi».
Quando ebbe i primi dubbi?
«A 15 anni mi innamorai di un ragazzo italiano, nel libro lo chiamo Martino, uno che si faceva domande. Si chiedeva, per esempio, se non fosse strano vedere così poco sua madre. Quando scoprirono che ci eravamo baciati, ci sottoposero a un terzo grado, e ci separarono».
Eppure, quando i suoi genitori lasciarono l’organizzazione lei decise di restare.
«A quel punto avevo 16 anni, e conoscevo i miei amici meglio di mia madre e mio padre. Non ero pronta. Un anno dopo ho conosciuto mio marito, siamo andati a raccogliere fondi in Australia e lì abbiamo visto la Tv, siamo andati su Internet... E abbiamo capito a quale punto fosse arrivato il nostro lavaggio del cervello».
È stato facile uscire?
«No. Io comunicavo con i miei genitori usando un telefono clandestino. Quelli di Scientology parlavano male di me a mio marito. Per anni, nel cuore della notte, sono atterrati in elicottero davanti a casa nostra, e hanno cercato di farci cambiare idea».
E quanto è stato difficile adattarsi al mondo fuori della Chiesa?
«Non avevo diploma né patente, non conoscevo la musica, avevo paura dei “Wog” – dentro Scientology, le persone normali le chiamano così –. Ora sono serena: non è facile non essere arrabbiata con i miei genitori per quello che mi hanno fatto passare, ma anche con loro le cose stanno migliorando».
Fosse rimasta in Scientology, Suri Cruise avrebbe subito il suo trattamento?
«Non credo. Le persone famose vengono trattate in modo diverso: frequentano la chiesa più bella, hanno ingressi separati, e un celebrity center tutto per loro, a Hollywood. Ma sono felice che Suri se ne sia andata: restando dentro avrebbe sofferto comunque».
È più potente Tom Cruise o suo zio?
«Sicuramente mio zio. Cruise oggi è considerato un eroe, perché si espone a favore della Chiesa, ma fino a quando stava con Nicole Kidman era persino emarginato, per via del padre di lei, che era psicologo».
Che problema c’è con la psicologia?
«Per Hubbard è l’origine di tutti i mali: quando ci fu l’11 settembre, ci spiegarono che il braccio destro di Bin Laden era uno psichiatra. Era quella la causa del terrorismo».
Ha visto lo spot che Scientology ha mandato in onda all’ultimo Super Bowl?
«Un inno al pensiero indipendente: esattamente il contrario della realtà. Ma è la prova delle difficoltà in cui si trova la Chiesa, tra i libri che stanno uscendo e le reazioni al divorzio di Cruise».
Esprima un desiderio.
«Mi basta raccontare gli abusi che ho subito: la gente capirà».
È religiosa?
«No, io con la religione ho chiuso».