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 2013  febbraio 21 Giovedì calendario

DANIELE LUTTAZZI: “DOV’ERO FINITO? DENTRO QUESTO LIBRO”

[“Lolito”, il romanzo del berlusconismo e del Paese che l’ha sostenuto] –
Satyricon. Dodici anni fa. Daniele Fabbri. Quello che per arte, omaggio e filiazione indossa il cognome, Luttazzi, di un capro espiatorio, il ragazzo romagnolo che confonde perfidia e dolcezza, il cattolico messo sulla croce di un servile realismo più sacrale di qualunque religione. Gli stessi occhi di ieri, qualche ruga in più, i cani di paglia alle spalle, la strada infuocata da un coraggio ottuso, sordo, ora comprensibilmente diffidente. Beveva caffè radioattivo, Luttazzi. Vestiva un’atletica magrezza e prima che la satiriasi declinasse in vendetta, con gli strumenti della satira, nel Satirycon della contemporaneità ragionava ad alta voce con otto milioni di persone. Argomenti sconvenienti. Mafia, stragi, corruzione. Politica, sesso e chiesa. Reale e assurdo in ritmica alternanza. La nostra storia. Il Passato. Il presente. La promessa di futuro.
In un aprile crudele, a condannarlo da Sofia senza giusto processo, più dell’ignavia di un’opposizione complice, l’applauso del pubblico pagante. Piaceva e quindi spaventava. Scuoteva e venne eliminato. Nel dubbio tra arrendersi ed esprimersi, Daniele Luttazzi ha preferito esistere. Pensare. Scrivere molto. Parlare poco. Ora ci sono 529 pagine. “Lolito”. Figlio di un terremoto e di uno sbadiglio nella Milano del ’36. Ardito delle conquiste. Esegeta del “manubrio”. Schiavo del desiderio. Crociato in terra d’Africa. Autore, anche, per Mondadori (anno di grazia 2018) di volumi postumi e immortali: “Donne che ho leccato in ingenti quantità”. Di coincidenti opposizioni letterarie solo apparentemente divergenti: “Labbra contro glande”. Statista e chansonnier, Silvio Lolito. Pieno d’amore per lo ‘strumento’, utilizzatore finale intriso di un’incrollabile autostima: “Lolito. Luce della mia vita, fuoco dei miei lombi. Mio peccato, anima mia. Lo-li-to: la punta della lingua fa tre passetti lungo la vulva per battere, al terzo, sul clito. Lo.li.to”.
Una parodia di Nabokov. Colta, felice, disperata. L’indizio di un’ispirazione matura. La traccia di un’ossessione che trascina fanciulle adolescenti a vendersi : “Da oggi funzionerò a monetine” e adoratori di Priapo a comprare perché la carne è debole e il proprio dio, se si è unti del Signore, non si tradisce.
Luttazzi, dov’era finito?
Qui, in questo libro. Un minuto dopo le dimissioni di Berlusconi, mi sono reso conto che sarebbe tornato. Mi sono seduto al tavolo, ho immaginato la struttura e ho capito che si sarebbe trattato di un lavoro molto impegnativo. Per finirlo, avrei dovuto lavorare tutti i giorni. Sono stato su Lolito per due anni. Due degli anni più belli della mia vita. La scommessa era uscire prima delle elezioni.
Scommessa vinta.
Il libro è una memoria post mortem apparentemente dolorosa e confessionale, in cui, nel consapevole dolo del narratore, si insinua il dubbio che nelle grottesche accuse dirette all’imputato, allignino arbitrio ed esagerazione. Una tecnica che Berlusconi usa da 20 anni per buttarla in caciara. Lolito non è un solo volume su Berlusconi, ma un romanzo sul berlusconismo e sul Paese che l’ha sostenuto.
In una metafora letteraria.
Beba, la Lolita minorenne di Lolito, è l’Italia. A poco a poco, nella narrazione si insinuano elementi grotteschi che creano orrore. La satira non è “scrivere battute”. Scrivere battute è solo sudoku. La satira è quello che ci fai con quelle battute. La satira è satira solo quando sovverte lo schema concettuale comune. Cioè ideologie e pregiudizi.
Sacro e profano?
La sana oscillazione tra sacro e profano che chiamiamo dubbio. Non c’è sacro senza profano alla maniera di Rabelais.
Lei si ritiene migliore di Berlusconi?
Al contrario. Il mio modello è Lenny Bruce, che diceva: “Io sono corrotto come il Cardinal Spellman, ma è lui che vuol fare il cardinale”. Il resto è moralismo. Il delitto di Berlusconi è l’estetizzazione del reato e anche Lolito, come tutto il resto, si può leggere in molti modi.
Quel è la struttura del libro?
Ci sono tre livelli di lettura. Primo livello: il libro è una satira del berlusconismo e del rapporto tra Berlusconi e l’Italia attraverso la parodia della Lolita di Nabokov. Il secondo: il libro è una parodia di tutti i libri di Nabokov. Il terzo: il vero libro è il commento in appendice che spiega le tecniche dell’intertestualità moderna, di cui il romanzo non è che un lussuoso esempio. Come in un videogame si passa da un livello a quello successivo, da un divertimento a quello successivo in base alla propria abilità.
Il libro abbonda di riferimenti.
Agli autori che Nabokov ammirava, detestava o di cui non parlò mai. Come Heinz Von Lichberg, giornalista nazista. Nel 1916 scrisse un racconto in cui un uomo di mezza età si innamora della figlia minorenne della sua affittuaria. Nome della bambina e titolo del racconto: Lolita.
All’età di Lolita lei dov’era?
A Santarcangelo di Romagna, dove sono nato, in una famiglia animata da un attivo cattolicesimo. Esisteva il collateralismo. Dalla parrocchia, per chi voleva fare politica, la destinazione naturale era la Dc. A Sant’Ermete, una frazione nei pressi del mio paese, c’era da anni una fogna a cielo aperto. Odori nauseabondi, lentezze intollerabili per sanare il problema. Mi interessai alla causa, fui il primo degli eletti. Dopo due anni fatta chiudere la fogna me ne andai.
Poi nella merda finì davvero.
A ciascuno il suo lavoro. Il satirico fa il satirico, il bastardo fa il bastardo.
La sua coerenza ha facilitato il compito?
Non è coerenza. È carattere.
Ricorda il giornalista interpretato a Mai dire gol? “Questa edizione va in onda in forma ridotta per venire incontro alle vostre capacità mentali”. Se si fosse occupato di vela sarebbe ancora lì.
Conventio ad excludendum. Se possono non parlano di te. Se devono, ne parlano male. Prenda l’accusa di plagio. Mi ha fatto sorridere per la sua ingenuità. Blogger anonimi e incompetenti e giornalisti in cerca di scoop estivi scambiano per plagio legittime tecniche intertestuali della letteratura moderna. E pretendono da me spiegazioni che erano sul blog apertamente, a disposizione, fin dal 2005.
Vennero mostrati filmati inequivocabili
Montati ad arte. Il successo della diffamazione ai miei danni è dovuto al fatto che la gente condivide un pregiudizio, quello del realismo referenziale, cioè credere che il senso della parola gatto sia l’animale reale gatto. Chi crede questo pensa che una parola abbia lo stesso senso in tutti i contesti in cui è usata. È assurdo. Il rapporto tra parola e mondo non è diretto. A interagire con il mondo sono le pratiche umane, le tecniche, sistemi di convenzioni che sono implementati socialmente perché servono a certi scopi. A queste attività servono parole ed espressioni e così l’uomo crea il linguaggio. Il contenuto delle parole quindi non è né la realtà (realismo referenziale) né le nostre idee della realtà (idealismo) ma la pratica. Il senso di una parola (o di una proposizione) è la funzione che svolge all’interno di una pratica. Due frasi identiche in contesti diversi, hanno due funzioni diverse e quindi sono due frasi diverse.
Ad esempio?
Nel 2010 feci l’esempio di una battuta di Emo Philips: “A volte la gente mi si avvicina per chiedermi: ‘davvero a volte la gente ti si avvicina?’”. Io ho dimostrato con i miei esperimenti sul palco che variando la prosodia che nella pratica poetica e comica è apportatrice di senso, cambia la funzione della battuta: da “insulto al comico” a “insulto al pubblico”. La stessa stringa di parole in due contesti diversi fa ridere per due motivi diversi, quindi sono due battute diverse. Questo è un grande risultato di cui sono orgoglioso. Se le estrapoli le battute dai contesti sembrano identiche, ma in questo modo hai tolto il loro senso fondamentale: la loro funzione. È come voler sostenere che due scatoloni siccome sono identici hanno lo stesso contenuto. E lo hai fatto perché in questo modo potevi darmi del disonesto. Questa è la mascalzonata che è stata organizzata contro di me e che certi giornali e tv hanno amplificato in modo vigliacco, non assumendosi una responsabilità ma dicendo “la rete dice che”. Se cancelli una parte dell’informazione, non stai dando notizie, ma le stai creando.
In che senso?
Dopo anni di esilio forzato faccio il monologo a “Rai per una notte” e questo sconvolge a tal punto l’immaginario collettivo che qualcuno si sente in dovere di farmela pagare creando prove taroccate per bollarmi come disonesto.
L’accusa di plagio.
Fin dall’antichità, l’accusa di plagio non è mai disinteressata. È sempre stata rivolta contro artisti e intellettuali di cui si volevano censurare le opinioni temute, eretiche o eterodosse. La Chiesa nel medioevo la usava di continuo e il passo successivo era sempre il carcere e/o il rogo.
Avrebbe fatto una pessima fine.
In fondo mi è andata benissimo.
Sul web parlano di supercazzola.
Ho visto. “Luttazzi si è difeso male, è come Berlusconi, mente, altera le prove, non fa ridere”. Sono gli stessi che credono all’altro grande pregiudizio: quello dell’autore originale. Come spiega Borges, neppure Omero è originale. Non esiste l’Adamo letterario. Joyce diceva di essere più che contento di passare alla storia come un: “paste and scissor man”, uomo con le forbici, uomo copia e incolla. Per scrivere Ada Nabokov attinge da Chateaubriand fino ad arrivare a quello che il senso comune considera plagio. La cosa è stata per me molto interessante dal punto di vista sociologico. Ho visto come nel finale di un film di Fellini il girotondo di nemici e detrattori.
Difficile pensare non c’entrasse il peccato originario del 2001.
Satyricon fu uno spartiacque. La mia intervista a Marco Travaglio fu un asteroide a ciel sereno. Dissero che era un complotto della sinistra, nulla di tutto questo. Semplicemente, a volte negli imperi al crepuscolo si creano smagliature alla periferia. Mi infilai in una di queste grazie al libero genio di Freccero.
Prima di ospitare Travaglio si era già fatto notare.
Alla prima puntata titoli, scandalo, riprovazione. “Vergogna, Luttazzi annusa le mutandine”. Dico calma, questo è solo l’inizio. Contri, consigliere d’amministrazione Rai tuona: “A che livello siamo caduti. Gli resta solo la coprofagia”. Argomento perfetto, penso. Mangerò la merda che mi state tirando addosso.
Poi l’intervista su “L’odore dei soldi”. Il libro di Travaglio e Veltri sulle origini misteriosi delle fortune di Berlusconi.
Nello studio la tensione crebbe a livelli incredibili. Cade una scenografia e per istinto dico: “Abbiamo sventato un attentato” e il pubblico esplode in una risata liberatoria. A trasmissione finita, vado a casa. La mattina mi telefona Dario Fo. Mi dice: “Complimenti, ma ti capiterà questo, questo, questo e questo”. E questo, questo, questo e questo successero.
Aveva ragione. Solo di querele le chiesero
160 miliardi di vecchie lire.
Il mio avvocato ci scherzava su: “In quest’ufficio ho visto collassare clienti per molto meno”. Il giorno D’Alema disse: “Satirycon è un boomerang per la sinistra”. Mi si squarciò un velo. In Italia il potere è diviso in clan di destra, di sinistra, religiosi, eccetera, ciascuno con i suoi sottoclan. Quello che non puoi immaginare venendo dalla provincia è che a volte un sottoclan di destra si allea con un sottoclan di sinistra, tu fai una battuta e la coltellata ti arriva alle spalle.
Nel 2007 La7 sospese il suo Decameron per una battuta. Recentemente il tribunale le ha dato ragione.
Dissero che avevo insultato Ferrara e che la mia battuta era un plagio da Bill Hicks. Secondo la sentenza la mia era satira e la battuta non era plagio. La 7 è stata condannata a risarcirmi un milione di euro. Del resto anche Ferrara ammise che si trattava di Satira. Ferrara non è un mascalzone.
Lei è permaloso?
Molto. Soffro le cattiverie gratuite, le avverto come un tradimento. Mi piace lo scontro aperto, ma leale, aperto.
Tornerà in tv?
Tornerei anche stasera stessa.
E perché allora non lo fa?
Perché le tv pretendono per contratto di poter censurare fra le mie opinioni quelle che non condividono. Purtroppo per loro la satira è libera.