Gianni Barbacetto, il Fatto Quotidiano 21/2/2013, 21 febbraio 2013
IL GATTO E IL BASTONE, STORIA DEL GRILLO DEI MODERATI
IL GATTO E IL BASTONE, STORIA DEL GRILLO DEI MODERATI –
Ora fa fatica a fermare il declino (il suo). Oscar Giannino ha dovuto ammettere di non avere il master preso a Chicago: “Erano solo lezioni d’inglese”. Non ci sono neppure le due lauree, in economia e in giurisprudenza: “Solo qualche esame di legge all’università”. È rimasto vittima di una macchinetta del fango, scattata quando Silvio Berlusconi e i suoi si sono sentiti traditi. La sua lista, “Fare per fermare il declino”, rischiava di erodere voti preziosi per il centrodestra e forse determinanti in Lombardia. Ma gli attacchi del Giornale e di Libero hanno avuto la strada spianata da Oscar stesso. Si è fatto male da solo, proprio quando era a un passo dal successo. La sua piccola lista si era ben radicata nelle vaste praterie dei delusi dalla politica, dopo che Giannino si era trasformato, anche grazie ai microfoni di Radio 24 (“La versione di Oscar”), in una sorta di Beppe Grillo dei moderati: sì, un Grillo colto e beneducato, che mostra di sapere d’economia e di avere le ricette giuste per salvare il Paese. La sua storia politica comincia quando, nel 1984, diventa segretario nazionale dei giovani repubblicani. Nel 1987 è capo ufficio stampa del Pri e portavoce di Giorgio La Malfa. “Restò con me fino al 1993”, ricorda l’ex segretario, “era brillante e intelligente. Poi l’ho perso di vista. Certo non capisco due cose: noi eravamo sobri e keynesiani, lui è diventato ultraliberista e ha cominciato a vestirsi in modo strano”.
TRA I SUOI COMPAGNI di partito d’allora circola una storia che tutti raccontano, ma che nessuno vuole dire tra virgolette: quella di una raccolti di fondi tra i giovani repubblicani per andare all’estero, per sottoporsi a un delicatissimo intervento chirurgico. Fortunatamente riuscito con successo, anche se nei decenni successivi la sua malattia ricompare e scompare carsicamente, come il bastone che lo aiutava a camminare, svanito con l’ingresso in campagna elettorale. “Andavamo talvolta a mangiare al Bolognese”, racconta Vittorio Feltri, “lui parlava di notti passate in chissà quale clinica a fare dialisi e cure. Ma per fortuna questo non gli faceva perdere l’appetito: mangiava gran quantità di salame annaffiato con vino rosso , di regola piemontese e in quantità non proprio modica. Delle sue lauree proprio non mi importa: non m’interessa se uno ha una o due pergamene attaccate in tinello o in bagno, m’importa se uno è bravo oppure no: e Oscar è bravo”. Da Feltri, allora direttore di Libero, Giannino arriva dopo aver lasciato la politica e essersi dato al giornalismo. Tramontata la prima Repubblica e con essa il Pri, passa a Liberal, il settimanale di Ferdinando Adornato. Poi transita al Foglio di Giuliano Ferrara, al Riformista di Antonio Polito. A Libero fa l’editorialista. “Era bravissimo”, ricorda Feltri. “Mi ha deluso una sola volta, quando volle scrivere di calcio, in occasione di non so che Mondiali. Nel 2008 fece bene invece Libero Mercato, il nostro inserto economico su carta salmonata. Furono i proprietari del giornale, gli Angelucci, che mi dissero espressamente di volerlo alla direzione. Poi i conti non tornavano, LiberoMercato costava troppo e fu chiuso. Gli chiesi di restare a Libero come editorialista, ma lui si arrabbiò e se ne andò”. Nella sua stanza al giornale abitava Arturo, il suo gatto, da cui Alessandro Sallusti racconta di essere stato aggredito. “A me non dava alcun fastidio”, dice Feltri. “Una volta salì sulla scrivania del caporedattore Pietro Senaldi e fece la cacca, dimostrando di essere un gatto particolarmente intelligente”. La tv lo trasformò in dandy dalle giacche impossibili. L’amore per l’oltranzismo Usa lo fece avvolgere nella bandiera a stelle e strisce. La ricerca di finanziamenti gli fece abbassare talvolta la guardia. Come successe per Telesanità, la tv degli ospedali lombardi di cui doveva diventare direttore: “In virtù della sua pubblica notorietà”, scrive la polizia giudiziaria, Giannino “ha posto in essere una serie di attività tese a garantire la copertura politica alla illegittimità del progetto Telesanità, acconsentendo a interviste preconfezionate con il presidente Roberto Formigoni, atte a convincere i direttori generali ospedalieri ostili al progetto ad aderire all’iniziativa”. Per quell’inchiesta ha rischiato l’arresto, per il master inesistente ora si gioca il partito.