varie, 21 febbraio 2013
Blob Marilyn Monroe Cinquant’anni fa Marilyn. Lo farei come personaggio, sulle mode che ha lanciato, sul mito, su come è diventata un’icona, sulla sua bellezza eterea, con qualche box sul business che ha prodotto (PERSONAGGIO)
Blob Marilyn Monroe Cinquant’anni fa Marilyn. Lo farei come personaggio, sulle mode che ha lanciato, sul mito, su come è diventata un’icona, sulla sua bellezza eterea, con qualche box sul business che ha prodotto (PERSONAGGIO). Come detto buttiamola molto sul cambiamento che ha portato nel cinema, nella cultura ecc.. Nella cultura popolare, oltre che nell’immaginario collettivo, l’immagine dell’attrice ha rappresentato una fonte di ispirazione per molte opere cinematografiche, artistiche e musicali. Tra i numerosi artisti che hanno utilizzato il volto o il corpo dell’attrice vi sono Christo (Wrapped Magazine Marilyn), Salvador Dalì (Twenty-five Colored Marilyns e Mao Monroe), Willem de Kooning (Marilyn Monroe), Richard Hamilton (My Marilyn), Keith Haring (Marilyn Monroe),[247] Gottfried Helnwein (Boulevard of Broken Dreams e Marilyn), Robert Indiana (The Metamorphosis of Norma Jean, Marilyn, Marilyn e Sunburst Marilyn), David LaChapelle (Amanda Lepore as Andy Warhol’s Marilyn), James Rosenquist (Marilyn Monroe I) e Andy Warhol (Marilyn Diptych).[248] Anche la letteratura è stata influenzata dalla biografia della Monroe; tra i testi che trattano dell’attrice vi sono Polaroids from the Dead di Douglas Coupland, Of Women and Their Elegance di Norman Mailer, Blonde e Three Girls di Joyce Carol Oates e Marilyn’s Daughter di John Rechy, mentre, nella poesia vi sono opere quali You Remind Me of Marilyn Monroe di Steven Berkoff, Marilyn Monroe di Ernesto Cardenal e Love and Marilyn Monroe di Delmore Schwartz.[249] In campo musicale, vi sono numerosi brani che trattano dell’attrice, tra cui The Jean Genie di David Bowie, Photograph dei Def Leppard, Candle in the Wind di Elton John, The Second Time Around di Sammy Cahn, Captain Crash & the Beauty Queen From Mars dei Bon Jovi, Tabloid Junkie di Michael Jackson, Hollywood di Jay-Z, We Didn’t Start the Fire di Billy Joel, I’m Gonna be Alright di Jennifer Lopez, Vogue di Madonna, Who Killed Marilyn? dei The Misfits, The Actor di Robbie Williams, She Takes Her Clothes Off degli Stereophonics, Celluloid Heroes dei The Kinks, The Lady is a Vamp delle Spice Girls e Jitterbug Boy e A Sweet Little Bullet From a Pretty Blue Gun di Tom Waits.[250] Diversi film sono usciti ispirandosi direttamente o indirettamente alla persona e alla vita di Marilyn Monroe. Quando l’attrice era in vita, il film La divina del 1958, scritto da Paddy Chayesky, si ispirava proprio alla vita dell’attrice che dalla povertà otterrà la ricchezza al prezzo della felicità.[140] Tra le altre pellicole che trattano delle vicende dell’attrice vi sono Tommy, La signora in bianco, Norma Jean e Marilyn, Rat Pack - Da Hollywood a Washington, Blonde, James Dean - La storia vera, Wonder Boys, Mister Lonely, Io & Marilyn, The Kennedys, My Week with Marilyn e Smash.[251] Piccoli elementi direttamente riconducibili all’attrice sono spesso presenti anche in altri film come in L’appartamento, Pulp Fiction, Le ali della libertà, L.A. Confidential e Una settimana da Dio.[251] Numerose sono anche le attrici e le cantanti che hanno posato per riviste e pubblicità imitando Monroe, come Drew Barrymore, Cindy Crawford, Heather Locklear, Daryl Hannah, Paris Hilton, Nicole Kidman, Jennifer Lopez e Anna Nicole Smith.[252] Fonte: Tommaso Pincio, Corriere della Sera 6/7/2012 Testo Frammento Il corpo, ben formato e nutrito, fu rinvenuto coricato e svestito il 5 agosto 1962. Era il corpo più desiderato degli Stati Uniti d’America. Nell’istante del decesso pesava 53 chili e misurava 166 centimetri in lunghezza. Dal 23 febbraio 1956 il suo nome legale era Marilyn Monroe. Era nato 36 anni addietro, la mattina del 1° giugno 1926. Sua madre, Gladys Monroe, l’aveva registrato con il nome di Norma Jeane Mortenson. Norma Talmadge era una stella del cinema muto di allora e a Gladys, che faceva la montatrice, il nome Norma parve il migliore degli auspici. Dicono che pure Jeane fu scelto in onore di una stella, Jean Harlow. Ma non è possibile; Jean Harlow si chiamò così solo a partire dal 1928. Dopo appena 13 giorni di vita, il corpo destinato a diventare Marilyn Monroe fu lasciato in affidamento a una famiglia che odiava il cinema. Sai cosa ti succederebbe se il mondo finisse e tu fossi in un cinema? Bruceresti all’inferno assieme ai malvagi, diceva sempre Ida Bolender. Ida Bolender e suo marito Albert, gli affidatari della piccola Norma Jeane, erano religiosissimi. Gente che andava in chiesa, non al cinema. Nella piccola Norma Jeane già cresceva però il corpo di Marilyn. Fu così che una notte sognò di ritrovarsi in chiesa ma senza abiti indosso. Camminavo nuda tra i fedeli prostrati, ricorderà anni dopo il corpo di Marilyn. Mi sentivo libera ma stavo attenta a non calpestare nessuno. Il sogno racchiudeva un destino da divinità infelice: un corpo da adorare; un’anima inerme e gentile, costretta in un involucro peccaminoso. Nel 1945 divenne Miss Lanciafiamme. Nel 1947 Miss Regina dei carciofi California. Nel 1949 apparì nuda sul calendario sexy Miss Sogni d’Oro. Si fece fotografare così perché non sapeva come pagare l’affitto, perché era ancora nessuno e perché credeva che non l’avrebbe danneggiata. Divenne famosa e un uomo la ricattò. Non cedette. Ho posato nuda per necessità, rivelò alla stampa. Cominciarono ad amarla anche per questo. Ero senza lavoro e mi servivano 50 dollari per riprendere l’auto pignorata, spiegò. Cercare lavoro a Los Angeles senza auto non è pensabile. Vera o inventata che fosse, quella storia era il suo ritratto sputato. Un miscuglio di candore e spudoratezza. La tempesta erotica perfetta. La raccontò accostando un fazzoletto al viso, sicché quella del calendario sexy divenne anche la storia toccante di una bambina abbandonata. Si cominciò a ricamare sulla sua infanzia difficile. Le famiglie adottive divennero quattordici. E poi orfanotrofi, stupri e altre violenze. Si sparse la voce che qualcuno, un parente, forse finanche la madre, avesse tentato di ucciderla in tenera età, soffocandola con un cuscino. La mia infanzia è uguale a un film che tra poco vedrete al cinema, disse alla stampa. Eccetto un piccolo particolare: io sono sopravvissuta. In quel film, La tua bocca brucia, il suo corpo si calava nei panni d’una baby-sitter che lega e imbavaglia un infante e quasi lo strangola. Nonostante il fondo di verità e malgrado le esagerazioni, non si nascose mai dietro il suo passato. Sì, sono stata su un calendario, diceva. Sono stata su calendario perché non voglio essere una donna per pochi. Io voglio essere per tanti perché anch’io ero una fra tante un tempo. Voglio un uomo che, rientrando in casa dopo una giornata di duro lavoro, mi guardi in quel calendario e ne resti così ispirato da dire: Wow! Un uomo, lo aveva già, in effetti. Ma non era affatto uno fra tanti. Quanto ai calendari, non erano esattamente la sua fonte di ispirazione. Joe DiMaggio sognava una donna che nulla sognasse fuorché un focolare. Né per pochi né per tanti dunque. Voleva una Marilyn soltanto per sé. La vide in una foto. Indossava una tenuta da baseball con gonnellino e imbracciava una mazza, pronta a ricevere un lancio. Volle conoscerla. Gli spiegarono che era un’attrice, una stella in ascesa. Joe nutriva scarsa simpatia per il mondo di Hollywood ma volle comunque conoscerla. Lei non aveva mai visto una partita di baseball. Lo sport era in cima ai suoi disinteressi. Al primo appuntamento lo fece aspettare due ore. Non poteva funzionare e non funzionò. Ma c’era qualcosa. Lui aveva fatto la sua strada e fu affettuoso e prodigo di consigli. Come un padre. Per lei che non aveva mai avuto un padre; per lei che era abituata a uomini che miravano solo al sodo, fu una novità, una specie di rifugio. Aveva la grazia di un’opera di Michelangelo. Si muoveva come una statua, dirà lei di lui. Durò finché della statua non rimase che la pietra. Capitava che non mi parlasse per giorni. Se gli chiedevo cosa non andasse, mi diceva di non assillarlo. Non poteva funzionare, non funzionò. Quando la moglie è in vacanza segnò la definitiva rottura. Chi non ricorda la scena della gonna sollevata dal passaggio della metropolitana? Joe piombò sul set nel momento topico. Lexington Avenue era piena di fotografi, curiosi e gente comune, tutti in attesa di scorgere Marilyn. L’addetto agli effetti speciali azionò il ventilatore posto sotto la strada e un fiotto d’aria scoprì le gambe e un paio di mutande bianche. Si levavano grida di giubilo mentre Joe DiMaggio si pietrificò una volta per sempre, diventando una statua di rabbia. Fine di un matrimonio. Fu lei ad avviare le pratiche per il divorzio. Una ragazza accorta bacia ma non ama, ascolta ma non crede e lascia prima di venire lasciata. Era davvero così saggia Marilyn? Forse no. Di certo possedeva un cervello che, testato, rivelò un QI più che superiore alla media nazionale. Molte foto la mostrano immersa in letture complesse: Joyce, Rilke, Freud. Non erano pose. Cercava risposte e sicurezze; sposò Arthur Miller. Credeva, o magari sperava soltanto, che diventando la moglie di Miller sarebbe diventata pure una persona migliore d’un semplice calendario. Perché questo voleva: essere una persona migliore, non una moglie. Per questo era sempre in ritardo: per la paura di non essere all’altezza. Ho recitato la parte di Marilyn Monroe, solo e sempre Marilyn Monroe. Ho cercato di farla al meglio e mi sono ritrovata a imitare me stessa. Sposando Arthur credevo di poter essere qualcosa di diverso, di poter fuggire da Marilyn Monroe, ma sono tornata a essere la cosa di sempre. Consegnato al passato un altro matrimonio, il corpo che non poteva essere altro se non Marilyn Monroe avanzò deciso verso la sua catastrofe. Al gala per il presidente d’America, il corpo fu annunciato come «la ritardataria Marilyn Monroe». Ma non era in ritardo. Non più perlomeno. Cantò Happy Birthday Mr. President fasciata da un vestito color carne e in quel vestito era scritto un destino ormai prossimo al compimento. Mancava poco affinché l’ordalia di champagne e barbiturici facesse il suo corso. E nulla importa se fu un Kennedy a dare il colpo di grazia. Ti prego, non farmi apparire ridicola, disse al suo ultimo intervistatore. Non era una preghiera, ma il perché di tutto, di ogni suo timore. Perché non era che una bambina impaurita, prigioniera di un corpo più grande di lei e dei sogni degli uomini, di sogni che non erano i suoi. Pagina Corrente Pag. 25 Immagini della pagina Visualizza : L’antropologo canadese Grant McCracken parla di una «tavola periodica della biondezza», secondo la quale le bionde si dividono in sei categorie: la esplosiva (Marilyn Monroe, Mae West), la solare (Doris Day, Goldie Hawn), la sfrontata (Candice Bergen), la pericolosa (Sharon Stone), quella di società (C.Z. Guest), la fredda (Marlene Dietrich, Grace Kelly). Fonte: Lucia Serlenga, il Giornale 13/6/2012 Testo Frammento La storia di un mito Tutto su Marilyn, dai trucchi ai tacchi - «Marilyn? Contrariamente alla sua immagine di bionda svampita, era una donna estremamente col¬ta, una lettrice accanita che avreb¬be indossato egregiamente uno dei miei piccoli abiti in maglia, perfetti per enfatizzare la sua sensualità» di¬ceva ieri a Parigi Massimiliano Gior¬netti, direttore creativo di Ferraga¬mo, quando a margine della confe¬re¬nza stampa di presentazione del¬la sfilata al Louvre, gli abbiamo chie¬sto se l’attrice fosse in qualche mo¬do speculare all’idea di femminilità della collezione. Non sfugge, infat¬ti, l’importanza della mostra che Ferragamo dedica alla diva scom¬parsa cinquant’anni fa. Allestita nel¬le sale del Palazzo Spini Feroni a Fi¬renze, apre i battenti il prossimo 20 giugno e rimane fino al 28 gennaio 2013. Certo, vista la quantità d’ini¬ziative collegate al personaggio vie¬ne da pensare che la Monroe è co¬me il maiale: non si butta via nulla. L’icona della seduzione è protago¬nista di diverse esposizioni, della lo¬candina del Festival di Cannes, del film con Michelle Williams nelle sa¬le in questi giorni, di programmi TV come Smash, un serial di Steven Spielberg con Angelica Houston e Uma Thurman. Tra operazioni commerciali - vestiti, gioielli e co¬smetici a lei ispirati - e clonazioni del suo stile da parte di star hollywo¬odiane con risultati non sempre ec¬celsi, il mito di Marilyn resiste. La let¬tura che ne fa la mostra fiorentina è sfaccettata e interessante. Del re¬sto, pur non avendola mai incontra¬ta di persona, Salvatore Ferragamo le aveva fornito una delle armi più affilate del suo celebre sex-appeal: le décolleté tacco undici con le quali sottolineava la sua memorabile andatu¬ra dovuta, pare, a una con¬genita lussazione dell’an¬ca e non a una sospetta fur¬bizia¬accorciare di un cen¬timetro un solo tacco - che le avrebbe consentito di ac¬centuare l’ondeggiare dei fianchi. Di sicuro «il calzolaio dei sogni» conosceva gusti ed esigenze della donna che per anni ha rappresentato il sogno proibito dei maschi e non solo americani. Tant’è: oggi il mu¬seo Ferragamo conserva oltre ven¬ti modelli di calzature indossate dall’attrice di cui alcuni rieditati e messi in vendita in alcune boutique della griffe. Non ci sono in mostra solo scarpe (trenta paia) e alcuni bellissimi abiti del guardaroba del¬la Monroe (cinquanta modelli) ma ha il pregio di mettere in relazione, attraverso filmati e documenti rari, la bellezza della diva con alcuni mi¬ti antichi e moderni del mondo dell’ arte. Oltre a celebri fotografie che ri¬traggono Marilyn in pose che per plasticità rimandano a importanti opere - da Afrodite a Leda, da Cleo¬patra a Didone- ci sono una sezione dedicata a Pasolini e all’interpreta¬zione di Marilyn nel film «La rab¬bia », una con l’esposizione di opere d’arte tra cui il gesso della Ninfa dor¬miente del Canova c¬he rimanda al¬le fotografie di Bert Stern e l’Alessan¬dro morente, opera ellenistica che ha ispirato lo scatto di Cecil Beaton scelto come immagine simbolo del¬la mostra. Imperdibili anche le «Quattro Marilyn» in bianco e nero di Andy Warhol del The Andy Warhol Museum di Pittsburg. Fonte: Claudio Carabba, Sette 18/5/2012 Testo Frammento Marilyn, il colibrì che viveva solo in una cinepresa – «Come il volo di un colibrì: solo una cinepresa può fissarne la poesia». Così la signorina Constance Collier, grande attrice dei teatri del Novecento e poi stimatissima maestra di recitazione nella New York del dopoguerra (sino al 1955, l’anno della sua scomparsa) definì una volta il mistero di Marilyn Monroe, che fu sua allieva per alcuni anni. La frase intera riporta per la prima volta la definizione più conosciuta («una bellissima bambina»), poi ripresa con sfumature diverse da eccelsi scrittori (da Truman Capote a Pasolini); vale la pena di riportare per intero il pensiero della severa Constance proprio perché, con Marilyn ancora al massimo del suo splendore, anticipa molte riflessioni postume: «Ha qualcosa dentro, una bellissima bambina… Non credo affatto che sia un’attrice, in senso tradizionale. Le qualità che ha, questa presenza, questa luminosità, questi sprazzi di intelligenza. Non potrebbero mai emergere a teatro. Come il volo di un colibrì: solo una cinepresa può fissarne la poesia». No, meglio lasciare che il cinema fissasse, nella sua illusoria eternità, il suo fascino leggero, come un volo di colibrì, appunto. In realtà Marilyn, nel breve tempo che le fu concesso, diventò anche un’eccellente attrice comica e drammatica, capace di mascherarsi da miope imbranata a caccia di milionari da sposare o di mangiarsi persino l’austero Sir Laurence Olivier in un film, brillante e parzialmente sbagliato, come Il principe e la ballerina (1957). Ora c’è una nuova occasione per verificare la gloria e la sventura della ragazza che non volle (non poté) invecchiare. Il 5 agosto ricorre infatti il cinquantenario della sua scomparsa, improvvisa, triste e solitaria, sprofondata nel grande sonno nel suo letto disfatto; una fine ancora avvolta da avvelenati sospetti. Intanto, sta per uscire un nuovo film (My Week with Marilyn, o semplicemente Marilyn, nella versione italiana che sarà nelle sale dal 1° giugno) in cui il regista Simon Curtis ricostruisce proprio la travagliata lavorazione (scandita da litigi e ripicche) del Principe e la ballerina; con la tenera Michelle Williams nei panni della diva perduta e lo scespiriano Kenneth Branagh in quelli di Olivier. L’impresa è ardua: quasi tutte le biografie dei grandi di Hollywood sono sinora naufragate. Ha fallito anche Martin Scorsese con Aviator, accurata ma fredda ricostruzione della vita di Howard Hughes e degli Studios di Hollywood: e per quanto riguarda la Monroe, al di là delle mille imitatrici in giro per il mondo, l’incauto Leonardo Pieraccioni andò incontro al disastro giocando con il fantasma amoroso in Io e Marilyn (2009). L’infanzia di Norma Jean. Meglio, dunque, cercare i frammenti del fulminante passato della “magnifica preda”. Lo scrittore che più si appassionò al “caso Marilyn”, dall’infanzia da ragazzina povera (Norma Jean era il suo nome, prima della scoperta di Hollywood) all’ultimo respiro, fu Norman Mailer (quello del Nudo e il morto, per intendersi) che già nel 1973 pubblicò un’intensa biografia illustrata dai maggiori fotografi del tempo, da Eve Arnold e Richard Avedon, sino a William Read Woodfield, seguendo l’ordine alfabetico. Nel magnifico gruppo di maestri dell’immagine c’era anche Ben Stern. E ora la Taschen ha ripubblicato, in un’edizione per collezionisti (tiratura limitata, copie firmate, un volume da 750 euro; vedi box pag. 117), le parole di Mailer e le immagini di Ben Stern, che potete vedere in queste pagine. Guardando le dolci figure si trova conferma del pensiero del romanziere: «Marilyn era il nostro angelo, il dolce angelo del sesso; lo zucchero del sesso usciva da lei come la vibrazione dal suono di un violino». Chiuso il libro, ognuno ricorderà i film che preferisce. Sono tante le cose che Marilyn ci ha lasciato nel cuore, a cominciare dai vestiti e dagli oggetti smarriti: l’abito rosso che la fascia come la fiamma del peccato nel tragico Niagara (sì, perché la Monroe sullo schermo non fu solo la bambina innocente ma anche una peccatrice assassina), gli intimi tenuti in frigorifero e la leggendaria gonna che si alza al vento del metrò in Quando la moglie è in vacanza, le calze a rete di Bus Stop, l’ukulele suonato da Zucchero in A qualcuno piace caldo. Il catalogo del desiderio sarebbe troppo lungo, ognuno può scegliere dove vuole, magari i quadri di Andy Warhol (opzione che personalmente scarterei). Senza dimenticare che non tutti subirono il fascino di Marilyn. Si racconta che proprio durante le litigiose riprese di A qualcuno piace caldo, dopo la scena d’amore in barca, Tony Curtis (nel memorabile ruolo del suonatore “travestito” per forza e finto miliardario timido per seduzione), a chi gli chiedeva come era andato quel bollente corpo a corpo sul divano, commentò caustico: «Non so bene, è stato come baciare Hitler». O ancora, incauti giovanotti delle nuove generazioni, abbrutiti da bellezze magre e anoressiche, commentarono dopo una proiezione alle maratone romane del Massenzio o in qualche altro posto: «Ma era troppo grassa!». Che dire, erano barbari, ignoranti e incivili. Malinconica solitudine. Altri compagni di schermo, invece, si innamorarono perdutamente dell’angelo biondo. Per esempio, l’amichevole rapporto che si instaurò con il bel Yves Montand sul set di Facciamo l’amore, fece infuriare la moglie del fascinoso attore-cantante, l’energica Simone Signoret, che nelle sue memorie scrisse a muso duro: «Mi ha anche rotto le scatole, Marilyn. Era un po’ fastidioso sentirla raccontare come era stata felice e ispirata durante i mesi in cui aveva fatto una serie di foto per Avedon… Parlava delle sedute di posa come gli attori parlano delle recite. Non aveva altri buoni ricordi personali. Nessuna di quelle storie di risate a crepapelle con gli amici… Tutto questo le era estraneo. Non riuscivo a capacitarmene». Dietro il veleno da moglie forse tradita, certo incattivita (nessuno, neppure l’intelligente Signoret, è in questi casi perfetto), c’era qualche verità: una malinconica solitudine di Marilyn, nonostante la celebrità, gli amori e i matrimoni; e specialmente quella generale volontà maligna di inchiodarla per sempre nei limiti della pin-up da calendario: un dettaglio non secondario, che la faceva molto soffrire. Truman Capote, uno dei primi scrittori che capì il suo fascino, ne parla nell’intervista-ritratto Una bellissima bambina (definizione poi ricorrente) contenuta in Musica per camaleonti. Fra un pettegolezzo piccante e un rimpianto, la Monroe si sfoga con l’insolitamente buono Truman: «Tutti dicono che non so recitare. Dicevano la stessa cosa di Elizabeth Taylor. E si sbagliavano. In Un posto al sole è straordinaria. Ma io non otterrò mai la parte giusta, una parte che mi piaccia. È il fisico che mi frega. Ho un aspetto troppo speciale». Per fortuna Marilyn si sbagliava, molte sono le sue interpretazioni notevoli, compresa l’ultima, drammatica apparizione negli Spostati di John Huston. Ma l’idea di essere solo un oggetto del desiderio resta come una condanna, la conferma di una vita pagata sempre cara, sin dalla durissima infanzia, figlia illegittima cresciuta in desolati orfanotrofi, nella periferia di Los Angeles dove era nata nel 1926. Infatti, sempre nella conversazione con Capote, l’attrice ne parla quasi con orrore: «Anche se ci sono nata, non riesco a trovare neanche una cosa buona da dire di quella città. Se chiudo gli occhi e mi figuro Los Angeles, vedo solo una grossa vena varicosa». Lo sbarco a Hollywood non è per niente facile, ma sempre meglio dei giorni da bambina randagia senza collare. Arthur Miller, la sventura. Un primo matrimonio sbagliato, particine, compromessi (Mailer si sofferma sulle ore passate dalla ragazza in ginocchio sulla moquette dei produttori) e il famoso calendario rosso. Sullo schermo la sua prima apparizione mi pare quella fulminea, da gentile spalla dei fratelli Marx, in Una notte sui tetti (1950): Marilyn, tutta strizzata in un vestito stretto, va da Groucho, buffo investigatore, e gli dice: «Ho la sensazione che un uomo mi segua». Groucho la guarda, dietro i suoi spessi occhiali, masticando il sigaro e commenta: «Ho la sensazione di capire perché». Pochi mesi dopo arriva il ruolo dell’amante svampita del maturo avvocato corrotto (lo “zietto” Louis Calhern) in Giungla d’asfalto di John Huston, uno dei migliori film da rapina della nostra vita: la parte non è lunghissima, ma sufficiente per farla notare. La via del successo è iniziata. E sembra arrivare anche la felicità con il matrimonio con Joe Di Maggio, supremo campione di baseball, l’unico che porterà fiori sulla sua tomba. Ma l’attrice non regge al pur dolce legame; perde la testa per uno scrittore di robusto impegno come Arthur Miller, un pigmalione narciso e superbo che sulla tragica fine della sua donna scriverà, nel 1964, un cinico dramma teatrale, Dopo la caduta. Norman Mailer, che ha Miller in furente antipatia, considera questo incontro una delle sventure dell’attrice. Così, a pelle, concordo. La colazione mancata. A leggere i mille libri usciti su Monroe, niente sembra bello e perdonabile nell’atteggiamento del pur celebre commediografo. Da parte sua, sul lavoro, Marilyn è sempre più capricciosa e poco puntuale sul set. I suoi clamorosi ritardi irritano registi e attori. Infuriato da tanta incuria, Gregory Peck, tanto per fare un esempio, lascia il ruolo del miliardario nascosto (poi andato, come si è detto, a Yves Montand) in Facciamo l’amore. Ed è certo un peccato che la parte di Colazione da Tiffany, chiaramente modellata su lei da Capote, vada poi a Audrey Hepburn, che con quel personaggio non c’entrava niente, anche se poi è diventata uno dei miti della moda e del cinema (sono i misteri dell’arte). All’inizio degli Anni Sessanta, quando Marilyn è di nuovo sola, il suo nome viene accostato a John Kennedy: e il filmato della festa di compleanno, dove lei che canta con voce da Zucchero Happy Birthday, mister President, resta uno degli indizi del segreto amore. Poco dopo, in una scena da Traviata, il fratello Robert, ferreo ministro della Giustizia, sarebbe andato a trovarla, chiedendole di troncare il rapporto; e si sarebbe a sua volta perdutamente innamorato. Questa doppia passione, sorvegliata da Cia e Fbi, sarebbe, secondo alcuni, la causa vera di una morte violenta, non di un suicidio. Ma, cinquant’anni dopo, nessuna prova del “complotto sentimentale” è stata trovata. Semmai, con senno postumo, si può azzardare che la fine di Marilyn è il primo degli imprevedibili lutti che segnano la fine delle illusioni degli Anni Sessanta: dall’assassinio di JFK a Dallas ai crudeli attentati del 1968 contro il “dottor King” e, appunto, contro Bobby Kennedy, colpito a morte nella cucina di un hotel di Los Angeles. Nuda e alfine libera. Di sicuro, al di là di ogni ipotesi nera, Joe Di Maggio, che curò le tristi esequie, non invitò al funerale né i Kennedy né Frank Sinatra e i cattivi ragazzi del suo clan (che pure la conoscevano bene). C’era, in compenso, uno dei massimi maestri dell’Actors Studio (che Marilyn aveva per un po’ frequentato), Lee Strasberg, che pronunciò il discorso funebre: «Aveva qualcosa di luminoso – una combinazione di pensosità, radiosità, struggimento, che la distingueva e nello stesso tempo faceva desiderare a tutti di condividere quell’ingenuità infantile, che era insieme così timida e così vibrante». Il mondo pianse sul corpo di Marilyn. Ado Kyrou, raffinato storico del cinema erotico, scrisse su Positif: «Nuda, come amava vivere e dormire, felice di sentirsi, alfine, libera. La mano sulla cornetta del telefono, pronta a offrire al mondo intero la sua nudità». Nude sono anche le ultime immagini cinematografiche di Monroe viva: leggiadra in piscina, e poi emergente come Venere dalle acque, in un film mai finito (proprio per colpa dei suoi capricciosi ritardi) Something’s Got To Give di George Cukor. Ma dovendo scegliere una figura simbolo per ricordarla, scelgo le inquadrature in un selvaggio bianco e nero negli Spostati, il film maledetto di John Huston (non solo lei, tutti gli attori, da Clark Gable e Monty Clift, morirono presto e male). Sola in mezzo al deserto del Nevada, Marilyn grida ai suoi amici, spietati cacciatori di cavalli: «Fermatevi, assassini». E l’urlo si perde fra il cielo e le montagne. Claudio Carabba Grandi passi avanti ha fatto la chimica applicata all’estetica dai tempi in cui Marilyn Monroe si schiariva, non solo i capelli, con la rude acqua ossigenata. Marylin Monroe sussurava: «il sesso è natura e io seguo la natu¬ra ». Fonte: Egle Santolini, La Stampa 3/11/2011 Testo Frammento Secondo la legge dell’eterno ritorno, non mancava che lei. Va bene «Mad Men», le gonne a ruota e gli occhiali a gatto con la montatura di bachelite, va bene i reggiseni corazzati e le sigarette non censurate, ma la Monroe dove volevamo metterla? Eccola qui: in un film già molto lodato, «La mia settimana con Marilyn», appena presentato alla Festa del cinema di Roma, e nelle copertine-omaggio dei principali mensili di moda. Dove viene replicata dalle divine del 2011, tra cui Kate Winslet, Rihanna e Scarlett Johansson; oltre a Michelle Williams, beninteso, che del film è protagonista e ha già cominciato a sperare nell’Oscar che alla Marilyn vera sempre sfuggì. Prima ancora, il fantasma biondo traspare nei suggerimenti delle sfilate e nella moda che passa per strada: quante onde color platino, codine disegnate con l’eyeliner, rossetti scarlatti, pullover di angora, cinture strette stiamo già vedendo, e quanti ne vedremo? Natalie Kingham, buyer inglese per una catena di boutique, interpellata dal Financial Times ha segnalato che la monroemania passa per «i paletot avvolgenti di Stella McCartney, le gonne a matita di Balenciaga, i golf neri di Bottega Veneta e le scarpe Opium di Yves Saint Laurent». Va sottolineato come il revival riguardi soprattutto il periodo newyorkese dell’attrice, in cui fu dominata dall’influenza dell’Actor’s Studio e della famiglia Strasberg: insomma non solo vestiti da sera tempestati di paillettes, ai quali s’ispirò Madonna verso il 1990, ma anche colli dolcevita e abiti al polpaccio, in quella sinfonia di neri e di cammelli che ne mettevano in risalto la carnagione e i capelli chiarissimi. In quegli anni, la bellezza della Monroe maturava e si trasformava nei piccoli teatri off Broadway, lei leggeva Dostoevskij e consultava gli psicoanalisti, il suo sguardo era sempre più malinconico ma il suo stile sempre più preciso. Una Marilyn un po’ alla Garbo, anche, sfuggente e in incognito, come quella descritta da Andrew O’Hagan in «Vita e opinioni del cane Maf e della sua amica Marilyn Monroe», pubblicato in Italia da Fazi: «Lei volle scendere all’angolo tra la Quarantaquattresima e la Broadway… Dentro la farmacia attirava sguardi inimmaginabili: pensava che gli occhiali da sole la nascondessero, invece la mettevano in risalto e facevano di lei uno spettacolo». In un servizio fotografico di «Vogue America», Michelle Williams la riproduce appoggiandosi sulle spalle un cappotto beige di Max Mara, oppure con una gonna stretta color avana di Ralph Lauren e un’essenziale camicia bianca di Michael Kors. Perché la moda va misteriosamente proprio in quella direzione: forme morbide, silhouette a clessidra, esaltazione della femminilità, rifiuto degli atroci modelli anoressici ma anche del look spogliato da velina. Elizabeth Saltzman, stylist di Vanity Fair Usa, ricorda come Marilyn sia riuscita a diventare un sex symbol stellare nei bacchettoni Anni Cinquanta: dunque «aggirando la censura, con abiti ti vedo e non ti vedo. Un buon insegnamento per le ragazze che oggi non vogliono più scioccare ma essere eleganti». Il modello è forse irraggiungibile: Marilyn riuscì a non essere volgare neppure nuda sulla copertina di Playboy, neppure inguainata in un abito-seconda pelle alla festa di compleanno di John Kennedy. Ma basta un particolare ben scelto per ricreare l’atmosfera: se certe signore di quarant’anni e di sessanta chili riescono a citare Audrey Hepburn con un paio di ballerine o di orecchini, persino una ragazza con la prima di reggiseno potrà sentirsi un po’ Marilyn tingendosi i capelli di biondo vaniglia. Soprattutto se si ricorderà che anche lei ebbe un modello: nacque castana e poi si ispirò al color platino di Jean Harlow. Secondo Forbes, la star morta che incassa di più è Michael Jackson, 179 mln di dollari tra ottobre 2010 e ottobre 2011. Segue Elvis Presley 55 milioni. Poi la Monroe, 27 milioni, «che arrivano dagli investimenti compiuti dall’Authentic Brands Group. Società che ha comprato i diritti per sfruttare l’immagine di Marylin, usandola per diversi prodotti, dai profumi al caffè. Subito dietro nella classifica di Forbes il fumettista Charles Schultz, padre di Snoopy, Charlie Brown e gli altri Peanuts» (CdS) Fonte: Azzurra Della Penna, Chi, n. 43, 12/10/2011, pp. 67-76 Testo Frammento Avevo fame. È la risposta, secca e fulminante, che Marilyn Monroe dà al reporter che la interroga sul perché, prima di diventare famosa, abbia posato nuda. Il giornalista si riferisce a uno scatto del 1949, pagato 50 dollari. Quella fotografia, senza citare il nome della Monroe, era stata riprodotta nel calendario “Miss Golden Dreams”. Nel 1952, quando tentano di ricattarla attraverso quell’immagine, la Monroe spiega ai media il come e, soprattutto, il perché fosse finita davanti a un obbiettivo come mamma l’aveva fatta: «Avevo fame». *** Il domicilio finale di Marilyun si trova a Los Angeles al 12305 Fifth Helena Drive ed è l’ultimo indirizzo, nonché la casa più amata, di Marilyn. Una villa bianca. Fra le carte si scopre il progetto per la nuova cucina.. la diva vi fece pochi interventi. Quando la visitò prima di acquistarla, rimase colpita dal fatto che al termine del vialetto fosse incisa sulla pietra di una lastra rossa la scritta profetica “Cursum perficio” (alcuni traducono la frase latina con “fine del viaggio”). *** Nella casetta in cui abita con la madre, solo per un breve periodo (per il resto dell’infanzia e dell’adolescenza viene affidata a un orfanotrofio e a diverse famiglie), c’è un malridotto pianoforte bianco, che si dice appartenuto all’attore Fredric March. «I momenti più felici della mia infanzia ruotano intorno a quel pèianoforte», racconta la Monroe, che assume un investigatore per ritrovarlo (e ci riesce). Quel pianoforte è stato comprato nel 2000 da Mariah Carey per 600 mila dollari. *** Nel 1951, in una foto di Earl Theisen, Marilyn Monroe appare coperta solo da un sacco di patate. Fa scandalo e fa schizzare alle stelle le vendite del tubero. *** Nome d’arte. Grace Goddard è fra le autrici del nome d’arte scelto per (più che da) Norma Jean. All’attrice sarebbe piaciuto “Jean Adair”, ma Jean Harlow, il direttore casting della Fox, piaceva il nome Marilyn , che gli ricordava Marilyn Miller, ballerina nota negli Anni Venti. Grace suggerì all’astro nascente di accostare a quel nome il cognome di sua nonna, Monroe, per la doppia M. *** Grace McKee, un’archivista di pellicole alla Columbia Pictures, è la sua tutrice. Quando però nel 1935 sposa il signor Ervin Goddard si trova costretta a riportare la piccola Norma Jean in orfanotrofio. Scriverà al centro, inviando la missiva a mister Dewey, direttore dell’istituto, chiedendo che la madre della bambina non la veda mai, vista l’influenza negativa che ha sulla piccola. Marilyn resterà legata a lei oltre la vita (sarà sepolta vicino a Grace). *** Corre veloce il 1945, anno di guerra mondiale anche negli Stati Uniti. Marilyn fa l’operaia, impacchetta paracadute alla Radio Plane. David Conover va a fotografare le ragazze che lavorano in quella fabbrica, la ritrae, le consiglia di fare la modella e le fa firmare una liberatoria. Marilyn, allora, si chiama ancora Norma Jean e grazie a quella foto verrà eletta “Miss Lanciafiamme”. *** Tre dollari. Tanto costa la licenza rilasciata nel 1959 ad Arthur Miller, allora terzo marito di Marilyn, dall’American society for the prevention of cruelty to animals, perché possa “adottare” Hugo, il basset hound amatissimo dalla Monroe che, si legge sul certificato, è marrone e nero e ha le zampette bianche. Fonte: Chiaria Maffioletti, Corriere della Sera 15/8/2011 Testo Frammento IL TALENTO DIMENTICATO DELL’ALTRA MARILYN. «GRANDE VOCE JAZZ» - «Ho un debole per i suonatori di sassofono, specialmente i sax tenori. Non so che cosa sia ma mi fanno impazzire. Non hanno che da suonare otto battute di "Mia malinconica bambina" e la mia spina dorsale si affloscia mi viene la pelle d’oca e gli casco tra le braccia». Sussurrando questo suo segreto Marilyn Monroe stordiva definitivamente il povero Tony Curtis — sassofonista sciaguratamente travestito da donna in quella scena di A qualcuno piace caldo — e i milioni di spettatori che ancora una volta, anche in quel film, riducevano la voce della diva a inebriante sottofondo di quel capolavoro di sensualità che era il suo corpo. Eppure la voce di Marilyn non era meno unica di tutto il resto. Non è un caso se tutti, più che negli occhi, abbiamo ben presente nelle orecchie le interpretazioni della divina di brani come «I Wanna Be Loved by You», «Bye Bye, Baby», «Kiss» o «Diamonds Are a Girl’s Best Friends». C’è da credere che ne sarebbe felice. Lei che pur avendo dedicato la metà della sua breve vita a studiare canto, ripeteva: «Non sarò soddisfatta finché le persone vorranno sentirmi cantare senza guardarmi». Per poi affrettarsi ad aggiungere: «Ma non significa che vorrei smettessero del tutto di guardarmi», con la malizia che l’ha resa un’inimitabile icona sexy ma che ha un po’ appannato la sua immagine di cantante. Un’immagine che ora, a quasi 50 anni dalla morte (era il 5 agosto del 1962), si sta rivalutando. Gary Giddins, critico jazz americano, ha confermato all’International Herald Tribune: «Marilyn aveva lo stesso problema di Fred Astaire: erano entrambi meravigliosi cantanti, eppure non penseresti mai a loro come cantanti». Harry Allen è un sax tenore e lo è diventato dopo aver visto quella scena di A qualcuno piace caldo: «Ero un adolescente: è stato come se Marilyn parlasse a me». Il musicista sta girando l’America con una tournée sulle canzoni dell’attrice, «A qualcuno piace caldo - La musica di Marilyn Monroe». «Ho un disco di Marilyn. Era musica su misura per lei ma il suo modo di interpretarla, ironico e sensuale, l’ha resa unica», conferma il batterista jazz Roberto Gatto. «Aveva una predisposizione per il canto e un talento straordinario per l’arte in genere. Lei come altri grandi era abituata a fare bene tutto. Fred Astaire, ad esempio, era anche un bravissimo batterista. Marilyn era un’artista fuori discussione, e anche la sua voce». D’accordo il trombettista Fabrizio Bosso: «Era intonata, suadente, e con un timbro che si distingue tra mille. La sua intelligenza è stata inventare uno stile suo. Non so se avrebbe avuto successo se non fosse stata così bella. Di certo la sua voce ancora oggi si riconosce subito». Nella sua carriera, Marilyn cantò in dieci pellicole, da Orchidea bionda del 1948, fino all’ultimo Facciamo l’amore, 1960, e incise tre album con le colonne sonore dei suoi film. Ma la sua vita si intrecciò con la musica anche in modi più insospettabili. Nel 1953, l’attrice stava preparando Gli uomini preferiscono le bionde, quando il suo insegnante di canto, Hal Schaefer, le disse che per migliorare doveva ascoltare e riascoltare la miglior cantante jazz in assoluto, che all’epoca era una massiccia signora, ancora lontana dall’essere il mito che sarebbe diventata, i cui concerti nei locali in cui si esibiva erano sempre un successo. Lei era Ella Fitzgerald e Marilyn, semplicemente, se ne innamorò. Diventò subito una sua fan, poi una sua amica. E come tutte le persone travolte dall’affetto della diva, anche Fitzgerald non fu più la stessa. «Ho un debito con Marilyn Monroe — confessò —. Grazie a lei cantai al Mocambo, popolarissimo nightclub della Hollywood anni ’50. Chiamò lei il proprietario, che fino ad allora vietava le esibizioni dei cantanti di colore, dicendogli che se mi avesse ingaggiata sarebbe stata presente a ogni mio concerto. Mantenne la promessa. A ogni mia esibizione era lì. E i giornalisti affollavano il locale». Generosa, passionale ma irrimediabilmente emotiva, come si intuisce ripensando ai trenta secondi della sua performance più indimenticata eppure più distante dalla sua crescita come cantante, al Madison Square Garden, nel 1962. Apparse bellissima, in un abito color carne che brillava nel buio della sala stracolma ma che poteva anche essere vuota perché infondo c’erano solo due persone, Marilyn e John F. Kennedy. E quando lei sussurrò quell’«Happy Birthday Mr. President» che da allora chiunque tentò di imitare, flirtando con il microfono come nella parodia di se stessa, probabilmente fu in quel momento che la diva decise che più che essere considerata una brava cantante voleva essere ammirata. E poco importa se per intonare quelle sedici battute, che furono poi anche la sua ultima interpretazione, aveva provato più di otto ore. Marilyn Monroe che, seminuda e con i capelli al vento, si fa fotografare sulla spiaggia di Long Island con l’Ulisse di Joyce in mano (le ultime pagine, sembrerebbero, quelle dello scandaloso monologo di Molly Bloom). Fonte: Alessandro Carlini, Libero 15/7/2010 Testo Frammento MARYLIN - in vendita la casa in cui si uccise Marylin Monroe. Prezzo: 3,6 milioni di dollari. La villa in stile ispanico si trova a Brentwood, Los Angeles. Costruita nel 1929, ha quattro camere da letto, tre bagni, una piscina, un parco e un agrumeto di 2.000 metri quadrati. Marylin l’acquistò per 75mila dollari e ci abitò sei mesi, prima di suicidarsi nell’agosto 1962. Fonte: DARLOW SMITHSON, La Stampa 7/7/2010, pagina 25 Testo Frammento VIVA GALILEO E MARILYN MONROE - Stephen Hawking, lei è considerato il più grande scienziato vivente: a quali grandi pensatori si ispira? «Galileo ed Einstein. Galileo è stato il primo scienziato moderno, ha capito l’importanza dell’osservazione diretta, ed Einstein è stato il più grande di tutti, ma, e questo è rassicurante, aveva un certo numero di lacune, come la meccanica dei quanti e il collasso gravitazionale». Chi e che cosa hanno maggiormente influito sulle sue scelte? «Mio padre, che ha incoraggiato il mio interesse per la scienza. Denis Sciama, il mio supervisore a Cambridge, che ha sempre saputo stimolarmi, anche se spesso non condividevo le sue idee». Chi sono i suoi eroi? «Galileo, Einstein, Darwin e Marilyn Monroe». Fonte: CLAUDIA MORGOGLIONE, la Repubblica 4/7/2010 Testo Frammento MARILYN MONROE AUTORITRATTO DI UNA BAMBINA TRISTE - Da un punto di vista clinico, il libro autobiografico di Marilyn Monroe è il perfetto ritratto di una schizofrenica. Lucidamente consapevole di essere divisa in due. Da un lato c´è la stella del cinema, oggetto perenne di attrazione maschile e «paura sessuale femminile» (la definizione è sua); dall´altro, indicata sempre col vero nome di battesimo, c´è Norma Jean, la bambina vissuta in ben nove famiglie affidatarie, affamata di cibo e d´amore. «Un fenomeno da circo», «un ninnolo smarrito», «un gatto randagio»: lei si descrive così, in un misto di pietà e rabbia sottile. Ma La mia storia, pubblicato adesso per la prima volta in edizione italiana da Donzelli, non è solo la testimonianza in presa diretta della doppia vita dell´attrice, scomparsa nell´agosto del 1962 in circostanze mai chiarite. un´analisi spietata su Hollywood, «un posto dove ti pagano mille dollari per un bacio e cinquanta centesimi per la tua anima»; è un percorso che attraversa passaggi clou della storia americana, dalla Seconda guerra mondiale al maccartismo; ed è un racconto che contiene una inquietante autoprofezia: «Avevo qualcosa di speciale e sapevo cos´era. Ero il tipo di ragazza che trovano morta in una camera da letto con un flacone vuoto di sonniferi in mano». Pubblicato negli Usa nel 1974 e poi nel 2000, corredato da 47 immagini (alcune inedite) del fotografo Milton H. Greene, il libro raccoglie le confidenze che la Monroe, a metà degli anni Cinquanta, dettò a un ghostwriter di lusso: Ben Hecht, autore della commedia teatrale Prima pagina, sceneggiatore di film come Notorius e A qualcuno piace caldo. Una presenza discreta, la sua. Anche se certe immagini raffinate tradiscono la mediazione di uno specialista: quando ad esempio la Monroe descrive la sua iniziale «mancanza di talento come un abito scadente che indossavo dentro», il contributo di uno scrittore si sente. Resta però lei, la protagonista assoluta. Soggetto attivo della narrazione, e non semplice oggetto come nelle decine di titoli, molti anche italiani, che le sono stati dedicati nel corso del tempo. Fra i tanti, bisogna ricordare almeno Marilyn di Norman Mailer, il romanzo Blonde di Joyce Carol Oates (Bompiani), o la biografia dello specialista hollywoodiano Donald Spoto. E proprio Hollywood è la grande protagonista della Mia storia. Anche se l´attrice, all´apice del successo, non attacca mai direttamente, con nomi e cognomi, i pezzi grossi del cinema. Alla faida stile Eva contro Eva con Joan Crawford, però, è dedicato un intero capitolo: «Mi suggerirono di perdonare una donna che un tempo era stata giovane e seducente», chiosa lei con sottile perfidia. Eppure l´autobiografia, anche nelle piccole furbizie o reticenze, trasuda verità. Non solo descrivendo meccanismi dello showbiz ancora attualissimi - con cui ad esempio un vecchio calendario senza veli trasforma la stellina emergente Marilyn in superstar. Ma anche raccontando un´infanzia durissima: orfanotrofio, mamma in manicomio, papà inesistente, girandola di famiglie affidatarie. La Monroe ripete più volte di non voler dimenticare il passato: «Questa bambina triste e amareggiata, cresciuta troppo in fretta, difficilmente uscirà dal mio cuore. Nonostante tutto questo successo, posso avvertire i suoi occhi spaventati che si affacciano dai miei». C´è poi il capitolo amori. Su cui l´attrice è abbastanza abbottonata. Con un´unica eccezione: Joe DiMaggio. L´entusiasmo con cui ne parla è legato al fatto che le sue conversazioni con Ben Hecht coincidono col matrimonio con il campione di baseball. Perché poi, come sappiamo, arriveranno il divorzio e le nuove, infelici nozze con Arthur Miller. Nessun accenno - come ovvio - ai membri del clan Kennedy che negli anni seguenti l´avrebbero conosciuta molto da vicino: né Jfk, né Bobby, che in seguito molti accuseranno di essere coinvolto nella sua scomparsa, archiviata come «probabile suicidio». Ma oltre a La mia storia esiste anche un´altra testimonianza diretta, in cui l´attrice parla di sé senza filtri. il docufilm Marilyn Dernières Séances, diretto da Patrick Jeudy, tratto dal libro Marilyn. Gli ultimi giorni di Michel Schneider (Bompiani), passato recentemente al Biografilm Festival di Bologna. E in cui si possono ascoltare i famosi nastri audio dei colloqui tra la star e lo psicoanalista hollywoodiano Ralph Greenson. I due erano legati da un rapporto morboso: lui fu l´ultimo a vederla viva e il primo a trovarla senza vita, ed è stato sempre sospettato di essere implicato nella sua fine. Nelle registrazioni, mai autenticate ufficialmente, udiamo la voce stentata, sottile e disperata della donna che di lì a poco sarebbe morta: «Vorrei scomparire nell´immagine. E fuori dall´immagine…». Fonte: Paolo Valentino , Corriere della sera 18/8/2009 Testo Frammento ALL’ASTA LA TOMBA VICINO A MARILYN «COSI’ POTRO’ PAGARE IL MUTUO»- WASHINGTON – «A egregie cose il forte animo accendono l’urne dei forti», ricordava il buon Foscolo. La signora Elsie Poncher da Beverly Hills non ha probabilmente letto «I Sepolcri». Ma deve aver pensato qualcosa di simile, oltre naturalmente all’idea di fare tanti bei quattrini, quando ha deciso di mettere all’incanto su eBay la cripta del cimitero di Westwood Village, dove riposano in pace i resti mortali di suo marito, Richard Poncher. Base d’asta 500 mila dollari, che ieri avevano già superato i 700 mila. Il lettore non resti basito. Mica si tratta di una tomba qualunque: il cubicolo sovrasta infatti quello di Marilyn Monroe e come recita lo slogan coniato dalla signora Poncher per la sua asta online, il premio promesso al vincitore è nulla di meno che «trascorrere l’eternità direttamente sopra Marilyn». All’evidenza, nonostante l’epitaffio sulla tomba del marito reciti «all’uomo che ci dato di tutto e di più», l’inconsolabile vedova ha deciso di ricavarne qualcos’altro. Il denaro, ha spiegato al «Los Angeles Times», le serve a pagare il mutuo da 1,6 milioni di dollari sulla sua magione di Beverly Hills: «Non potrei essere più onesta di così, non voglio lasciare debiti ai miei figli ». Poco male, se in tal modo darà una grandissima delusione al defunto marito, che aveva comprato la cripta (anzi due, l’altra è accanto) nel 1954 da Joe Di Maggio, al momento in cui il campione italoamericano di baseball stava divorziando dalla Monroe. La signora Elsie ha infatti raccontato che pochi mesi prima di spegnersi nel 1986, a 81 anni, il consorte espresse un desiderio, anzi un ordine: «Ti perseguiterò per tutta la vita – le disse – se quando muoio non mi metti nel sarcofago a faccia in giù sopra Marilyn ». Così fu e l’agente delle pompe funebri, piazzò il cadavere prono. Ora però la pace di Richard Poncher sta per essere turbata. E forse la signora Elsie farebbe bene a preoccuparsi, che la maledizione del marito non le si scagli contro. Lei comunque, a 70 anni, gode di ottima salute: «Faccio 20 vasche in piscina ogni giorno». Il cimitero del Westwood Village Memorial Park, nascosto nel verde, è l’ultima dimora di molte celebrità hollywoodiane, come Dean Martin, Nathalie Wood, Truman Capote e di recente Farraw Fawcett. «Mi piaceva tanto ridere forte! Prendevo una bicicletta in prestito e volavo via. Cominciavo a ridere al vento, correndo come un fulmine e ridendo, ridendo! Adoravo il vento. Sembrava che mi accarezzasse» (Marilyn Monroe). Fonte: Giusi Di Lauro, Libero 30/10/2008, pagina 20. Testo Frammento Forbes ha calcolato i guadagni dei divi morti. Al primo posto c’è Elvis Presley che in un anno ha ricavato 52 milioni di dollari (l’anno precedente erano 49 milioni), soprattutto dai diritti musicali, ma anche da una nuova linea di slotmachine che sfrutta la sua immagine e dalla radio Elvis Sirius Satellite Radio Show. Al secondo posto Charles Schulz: 33 milioni didollari. Poi c’è Heath Ledger con 20 milioni di euro soprattutto grazie agli incassi del film di Batman in cui recita nei panni di Jocker. L’immagine di Albert Einstein ha fatto guadagnare agli eredi 18 milioni di dollari. Segue il produttore Aaron Spelling (quello di Charlie’s Angels e Beverly Hills 90210, per esempio) che ha raccolto 15 milioni di dollari. Al sesto posto lo scrittore americano Dr. Seuss, autore di favole per bambini: 12 milioni di dollari. John Lennon ha guadagnato 9 milioni (nel 2006 furono 24 milioni), Andy Warhol 9 milioni, Marilyn Monroe 6,5 milioni, Steve McQueen 6, Paul Newman e James Dean 5 milioni. Fonte: Il Giornale 22 maggio 2008, Sergio Rotondo Testo Frammento Quella comunista di Marilyn. Il Giornale 22 maggio 2008 Ho conosciuto Marilyn Monroe nell’inverno del ”59. Sui sedili del cinema «Estense» di Ferrara, fu amore a prima vista. Il sorriso, perennemente velato di tristezza di Zucchero, il personaggio che Marilyn interpretava in A qualcuno piace caldo, mi fulminò al primo istante. Da allora, sono trascorsi 46 anni, su Marilyn sono stati scritti più di seicento libri. E a ogni libro scopriamo che credevamo di saper tutto di lei, ma che non è così. Adesso Mario La Ferla, per trent’anni inviato dell’Espresso, in Compagna Marilyn (Stampa Alternativa, pagg. 310, euro 15) ci svela un aspetto inedito della vita dell’attrice. «Comunista, spia, cospiratrice. I retroscena della vita e della morte di Marilyn Monroe in un rapporto segreto dell’Fbi», recita la copertina. Tutto comincia nella notte tra il 4 e il 5 agosto ”62 nella villa di West Los Angeles, al numero 12305 della Fifth Helena Drive, che la diva aveva acquistato da poco. Marilyn è morta. Ancora adesso non si sa chi per primo abbia visto il cadavere, non si sa davvero come sia morta. La governante, lo psichiatra, il suo medico sono i primi ad accorrere. E fanno cose strane. Mettono a posto la stanza di Marilyn, cambiano le lenzuola del letto e mettono quelle appena tolte nella lavatrice... Soltanto dopo quattro ore e mezzo avvisano la polizia. La spiegazione del dottor Greenson, lo psichiatra della diva, lascia assai perplessi: «Abbiamo dovuto attendere l’autorizzazione dell’ufficio stampa della Fox prima di dare l’allarme». Una cosa sola è certa: Marilyn non si suicidò. Lo ammise nell’82 John Miner, il perito patologo che aveva assistito il dottor Noguchi durante l’autopsia. Nel libro Il coroner indaga dedicato alle morti misteriose di personaggi celebri, scrisse che sia la polizia locale, sia quella federale avevano secretato le carte sulla morte della diva. E all’agenzia di stampa «City new service» disse testualmente: «Marilyn non si è suicidata». proprio da qui, dal mistero della morte di Norma Jean Mortensen, che parte il libro di La Ferla. Attorno alla villa al 12305 di Fifth Helena Drive in quella notte vengono segnalati, ovviamente sempre prima che arrivi la polizia, due killer della mafia e alcuni agenti dell’Fbi. Qualcuno afferma che, più o meno all’ora in cui morì Marilyn, si sia visto, in compagnia del cognato, l’attore Peter Lawford, anche Bob Kennedy, allora ministro della Giustizia e amante dell’attrice. E qui si apre il capitolo degli amori della Monroe. Cantanti, scrittori, mafiosi, pizzaioli, militari in libera uscita. Attori, naturalmente. E politici. Due in particolare. John e Robert Kennedy. Il primo fu il futuro presidente degli Stati Uniti che lei conobbe quando era ancora un rampante senatore democratico. «John - scrive La Ferla - aveva un formidabile appetito sessuale». Marilyn sogna di diventare la first lady e quando John lo capisce «passa» la sua ingombrante conquista al fratellino. Ma nel frattempo le avventure erotiche della bionda attrice cominciano a suscitare l’interesse di Edgar Hoover, famoso e potentissimo capo dell’Fbi che teme di dover abbandonare la poltrona su cui siede dal ”24 se John Kennedy sarà eletto presidente degli Stati Uniti. Lui odia i Kennedy. «Era inevitabile, e fatale - scrive La Ferla - che Edgar Hoover incrociasse la strada dei Kennedy. Lui, repubblicano, conservatore vecchio stampo, poco incline a voler capire che il mondo comunque va avanti e cambia, non approvava niente di quello che i Kennedy pensavano e facevano. Gli erano visceralmente antipatici». Presto, però, anche il rapporto con Bob entra in crisi. Ma Marilyn non si rassegna. Hoover tiene sotto controllo la diva 24 ore su 24: ha fatto registrare tutti gli incontri con John e Bob, sa che i due sono soliti vantarsi, che hanno raccontato a Marilyn cose che non sarebbero dovute uscire dalla Casa Bianca. E il capo dell’Fbi interviene. Marilyn ha sempre avuto simpatie per gli intellettuali: è stata la moglie del commediografo Arthur Miller, finito nelle mani della commissione d’inchiesta del senatore Joseph McCarthy, è stata l’amante del comunista francese Yves Montand, frequenta Elia Kazan e Lee Strasberg. Ce n’è a sufficienza perché in quell’America venga considerata pericolosa. Hoover ha due assi nella manica: lo psichiatra e la governante della diva, Ralph Greenson e Eunice Murray. Sono due ex iscritti al partito comunista americano i quali, per non finire rovinati, hanno accettato di fare gli informatori dell’Fbi. Nella sua scheda personale, Greenson è definito «cospiratore sionista», «agente del Komintern», «spia per conto di Mosca, incaricato di ottenere le confidenze dell’amante del presidente degli Stati Uniti». Greenson convince Marilyn che ha bisogno di distrarsi: «Niente di meglio di un viaggio in Messico». La notte del 18 febbraio ”62, scortata dalla «fida» Eunice, la diva atterra all’aeroporto di Mexico City, dove la attende José Bolanos, un giovane e brillante pseudo scrittore, in realtà un play boy che l’attrice aveva conosciuto nei suoi precedenti viaggi in Messico. Bolanos ha un compito: introdurre Marilyn nell’ambiente dei rifugiati americani, fra i quali spicca il miliardario Frederick Vanderbilt Field, bisnipote del commodoro Cornelius Vanderbilt, notissimo industriale di New York. Secondo l’Fbi anche Vanderbilt è una spia sovietica, ha partecipato, con Greenson, alla fondazione del partito comunista di New York, ha fondato e diretto il periodico filocomunista Amerasia, aveva finanziato il Daily Worker e la rivista The New Masses, entrambi di ispirazione marxista. Finché aveva dovuto rifugiarsi in Messico. Il penultimo capitolo del saggio di La Ferla è intitolato «Tanti auguri, presidente». Il 29 maggio ”62 John Kennedy compie 45 anni e la famiglia decide di festeggiare al Madison Square Garden di New York con 16mila persone, tutto il bel mondo yankee. Ma a sorpresa, senza che la famiglia lo sappia, Peter Lawford e Frank Sinatra invitano anche Marilyn che, al momento del taglio della torta, deve cantare «Happy birthday dear mr. President». Al Madison fila tutto liscio e l’happy birthday di Marilyn, fasciata in un abito color carne che non lascia niente all’immaginazione, manda in visibilio gli invitati. La festa si conclude a Manhattan nell’appartamento del magnate del teatro Arthur Krim. Bob, sotto gli occhi increduli della moglie Ethel, balla a lungo con la sua (ex?) amante. Ma a un certo punto John e Bob prendono Marilyn e la trascinano in un angolo: una discussione animata, stizzita, a tratti cattiva, testimoniano alcuni presenti. All’alba, però, il presidente e Marilyn vanno in una suite dell’hotel Carlyle. Secondo l’Fbi fanno l’amore in maniera sbrigativa, poi arriva uno squallido e definitivo commiato. Ma i due fratelli e Hoover non si fidano, il capo dell’Fbi rivela al presidente le notti messicane della diva e i suoi racconti alla spia sovietica Vanderbilt; vari emissari invitano Marilyn a dimenticare tutto, a non parlare più con nessuno. A Hollywood intorno a lei si fa terra bruciata, nessuno la invita, nessuno la cerca. L’1 giugno Marilyn trascorre il 36º compleanno con i figli del professor Greenson. Finché si rifà vivo Sinatra. La Monroe accetta l’invito di recarsi a Las Vegas ma, appena giunta in albergo, viene condotta davanti a una specie di commissione formata da mafiosi alla presenza di Sinatra e del boss Giancana: le fanno orribili discorsi sulla vita e sulla morte, la imbottiscono di droghe e alcol e la sottopongono a una serie di violenze. Anche stavolta Hoover «vede» tutto. la fine. Marilyn, riportata a Hollywood, si chiude nella sua villa di Brentwood. Si cura come può ma non chiama nessun medico cui dovrebbe spiegare troppe cose, le ferite fanno male ma soprattutto non capisce come Sinatra e Giancana e, lei pensa, i due Kennedy, suoi amici e tutti suoi ex amanti, abbiano potuto farle questo. Non può accettarlo, e convoca una conferenza stampa per lunedì 6 agosto in un albergo di Hollywood. La sera di venerdì 3 agosto Marilyn è a un tavolo del ristorante La Scala con Robert Kennedy, Peter Lawford e la sua addetta stampa Patricia Newcomb. Gli spioni di Hoover raccontano al loro capo che l’attrice aveva gli occhi lucidi. La notte fra il 4 e il 5 agosto Marilyn viene trovata morta. Sergio Rotondo Fonte: Ennio Caretto, Corriere della Sera 1/4/2008, pagina 17. Testo Frammento Marilyn Monroe lasciò il patrimonio in eredità alla famiglia di Lee Strasberg, suo maestro all’Actor’s Studio. Adesso lo gestisce la Mmllc, che si è arricchita con i diritti di tutto ciò che concerne l’attrice (solo lo scorso anno incassò 8 milioni di dollari dalla vendita all’asta di alcuni beni dell’attrice). Una sentenza di un tribunale di Los Angeles però adesso cambierà le cose. Gli eredi dei fotografi preferiti dalla diva avevano chiesto al giudice Margaret Morrow di ottenere i diritti alla sua immagine. Invece il giudice ha sentenziato che la Monroe al momento della morte era residente a New York e non a Los Angeles, il che implica una bella differenza: in base alla legge newyorkese i diritti di una celebrità si estinguono con la sua morte, mentre in California si trasmettono agli eredi. Dunque adesso l’attrice appartiene a New York e tutti possono appropriarsi delle sue immagini senza pagare diritti. Fonte: Corriere della Sera 6/6/2005 Testo Frammento MARILYN. L’agenda di Marilyn Monroe, contenente gli indirizzi e i numeri di relefono dei suoi amici, è stata venduta per 90 mila dollari a un’asta online al Golden Palace.com. Un collezionista di Rhode Island ha poi acquistato per 78 mila dollari un acquerello dell’attrice in cui si vede una rosa rossa. Marilyn lo voleva regalare a John Kennedy, ma morì prima che arrivasse il compleanno del presidente (Corriere della Sera 6/6). Borsa. Marilyn Monroe, in A qualcuno piace caldo, cerca un marito ricco. Presta attenzione solo agli uomini dotati di occhiali, conseguenza dello sforzo di leggere i minuscoli numeri delle quotazioni nelle pagine economiche dei giornali. Commento di Billy Wilder alla notizia che Marilyn Monroe frequentava l’Actors Studio: "Meglio una scuola svizzera che le insegni la puntualità". Tra le tonalità di biondo, Marilyn Monroe chiedeva sempre quella che rendesse l’effetto «dirty pillow slip» (federa sporca). Fonte: (Paolo Zaccagnini, ཿIl Messaggero, lunedì 10 novembre 2003, pag 20). Testo Frammento La classifica degli artisti defunti più ricchi dell’anno pubblicata sul ”Daily Telegraph”: al primo posto Elvis Presley con 36 milioni di euro (la raccolta "Nol Hits" ha venduto 9 milioni di copie soltanto negli Usa), seguito da Charles Schulz, l’inventore di Charlie Brown, con quasi 30 milioni di euro. John Ronald Reuel Tolkien compare al terzo posto con 20 milioni di euro. Seguono John Lennon con 14 milioni di euro, Tupac Shakur con 10 milioni, Marilyn Monroe con 7, Frank Sinatra con 6. Fonte: Antonio Monda, "la Repubblica" 4/8/2003, pagina 31. Testo Frammento Secondo Billy Wilder i matrimoni di Marilyn Monroe «fallirono perché Di Maggio scoprì che era Marilyn Monroe e Miller che non lo era». Fonte: Lorenzo Soria, "La Stampa" 9/6/2003. Testo Frammento "Se vuoi ottenere qualcosa nella vita, fatti bionda" (consiglio dato a Marilyn Monroe, che era castana, quando si presentò a un’agenzia di modelle subito dopo la guerra Fonte: Paolo Mastrolilli, "La STampa" 7/7/2003. Testo Frammento La prima copia di Playboy, in edicola nel dicembre 1953, con Marylin Monroe in copertina, all’asta su eBay per 750 dollari. Costava 50 centesimi. Fonte: Villaggio globale n. 52, Sette 06/07/1995 Testo Frammento Marilyn Monroe per meglio ancheggiare usava tacchi di lunghezza diversa. Fonte: Adriano Botta, "L’Europeo" 5/2002, pagina 94. Testo Frammento La donna che piaceva di più a Marcello Mastroianni: «Marilyn Monroe, questa cosa di burro: bella, strana, vulnerabile. Questa nuvola bionda che, scommetto, non sapeva attraversare la strada da sola. Mi faceva tanta tenerezza, mi dava tanta voglia di possederla e proteggerla». Fonte: Christa Maerker, ìMarilyn Monroe e Arthur Millerî, Pratiche editrice Testo Frammento Il sorriso di Marilyn Monroe non era del tutto naturale. Quando ancora si chiamava Norma Jeane qualcuno le aveva detto che tra la punta del naso e la bocca il suo labbro era troppo corto e lasciava apparire le gengive: «Tira il labbro superiore verso il basso, quando ridi». Marilyn provò e riprovò finché il suo sorriso divenne perfetto (però il labbro superiore le tremava leggermente). Fonte: Lucia Corna, ìIo Donnaî 08/08/1998 Testo Frammento Marilyn Monroe non portava il reggiseno (aveva la quarta misura), nè gli occhiali (una forte miopia conferiva al suo sguardo un fascino ”acquoso”). Aveva il complesso del naso ”a patatina”. Recitava la parte dell’oca giuliva (ma di lei Arthur Miller disse che era intelligente) e si rendeva ancora più sexy con la sua voce stridula e infantile. Si tingeva i capelli (colore naturale: castano chiaro), e si rasava le sopracciglia ”ad ali di gabbiano”. Non si perdonò mai l’errore di aver posato nuda per un calendario. Paolo Mereghetti, critico cinematografico, afferma che l’unicità del personaggio di Marilyn non era la bellezza, ma la sua storia personale. Abbandonata dal padre da bambina, chiamava ”papà” tutti i suoi fidanzati, ma non si sentì mai amata abbastanza (tra i suoi compagni il campione di baseball Joe Di Maggio, il regista Arthur Miller, e presunti amanti John e Robert Kennedy). La madre naturale fu chiusa in manicomio e i genitori adottivi la molestarono. Secondo il sociologo Enrico Finzi il fascino le derivava da un approccio leggero e bambinesco alla vita Fonte: Fabio Ferzetti, Il Messaggero, 26/08/1997 Testo Frammento Primo contratto di Marilyn Monroe nel 1946: 125 dollari la settimana. Dopo ”Giungla d’asfalto” 500 dollari, cresciuti a 1500 in sette anni. Testo Frammento Marilyn Monroe e il suo primo marito James Dougherty, 78 anni, agente della polizia di Los Angeles in pensione, si innamorarono a prima vista. I due, per sposarsi, dovettero tuttavia attendere che lei compisse i 16 anni (età minima stabilita per le nozze dalla legge americana). All’epoca Marilyn si chiamava Norma Jean Baker, aveva i capelli castani e lavorava come operaia nella stessa fabbrica di materiale bellico dove era impiegato James. «Quando mi sposò era ancora vergine, molto timida e schiva, anche se disinibita e sensuale di natura, ma non maliziosa. Di tanto in tanto cantava la melodia Barefoot Days (Giorni a piedi scalzi) e improvvisava un piccolo show durante il quale gettava via le scarpe, una alla volta. Questo era il massimo del suo erotismo». Il matrimonio finì quattro anni più tardi. Fonte: Antonio Armano, "Hotel Mosca", Edizioni DellíArco, Milano 1999 Testo Frammento Marilyn. Battuta americana anni ’50: «Se Marylin Monroe passeggiasse per Mosca con indosso solo un paio di scarpe la gente le guarderebbe quelle». Fonte: Bruno Quaranta, "La Stampa" (ttL) 23/3/2002. Testo Frammento «Quel che ho dentro nessuno lo vede / ho pensieri bellissimi che pesano / come una lapide. / Vi supplico, fatemi parlare» (Marilyn Monroe).