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 2013  febbraio 21 Giovedì calendario

Biografia di Urbano Cairo

Blob Urbano Cairo Fonte: Massimo Sideri, Corriere della Sera 20/02/2013 Testo Frammento «BERLUSCONI? MI LICENZIO’. DOVRO’ COMBINARE QUALITA’E CONTI IN UTILE» - È passata solo una manciata di ore dalla notizia della trattativa in esclusiva di Telecom Italia per La7 con Cairo Communication e il caso è già finito nel polverone politico. Chiediamo a Urbano Cairo, 55 anni, bocconiano, se si è pentito di aver detto anni fa che se fosse rinato avrebbe voluto essere Silvio Berlusconi, il suo ex datore di lavoro. «Non credo di averla detta, non ricordo: se l’ho detta ero sotto effetto ipnotico. Guardi sono contento di essere come sono, con pregi e difetti. E vorrei rinascere Urbano Cairo». Tranquillizza chi continua a percepirla come berlusconiano? «Questa è una cosa incredibile. Ho avuto un periodo di lavoro anche bello che mi ha dato molto alla Fininvest. Ma nel ’95 fui licenziato senza troppi riguardi pur avendo fatto dei buonissimi risultati. Sotto di me Mondadori Pubblicità passò da 400 a 500 miliardi di lire». Col senno di poi la sua storia come editore-imprenditore nasce con quel licenziamento. Per paradosso dovrebbe esserne contento... «Non ne ho mai parlato molto: uno non si vanta di essere stato licenziato. Ma sono rimasto stupefatto del collegamento: in questi anni sono stato un acerrimo concorrente di Fininvest». Da allora non ha più lavorato con Fininvest? «No». Come si spiega questo polverone? «Siamo in un momento particolare a ridosso delle elezioni di domenica. Non credo ci siano problemi: per come la vedo io La7 è una tv che ha alcuni programmi di grande qualità che fanno ascolti importanti, penso a Santoro, a Crozza e a Mentana. Per un editore se questi programmi funzionano bene dal punto di vista degli ascolti è giusto lasciare fare loro quei programmi in totale autonomia». È vero che siamo in un momento di particolare sensibilità, ma è vero anche che in Italia c’è un duopolio e tra Mediaset e la Rai La7 si è ritagliata un punto di vista editoriale alternativo. Resterà tale? «Sì La7 deve rimanere tale. Semmai ci sono momenti del palinsesto, dalla mezzanotte in poi e nel pomeriggio, in cui si può fare qualcosa in più». Cosa pensa dell’idea di fare entrare persone come Mentana nell’azionariato? «Adesso non sarebbe una grande vantaggio per loro». Si parla di un ingresso credo più a difesa della linea editoriale che per finalità finanziarie... «La maggiore garanzia è essere bravi e fare programmi di successo. La qualità di Mentana e Santoro è la più grande garanzia molto più di qualche azione. Poi tutto è possibile e programmabile». Si è incontrato con Diego Della Valle? «Non ci siamo incontrati». È ipotizzabile un suo ingresso? «Adesso non lo so dire. Oggi dobbiamo focalizzarci nella giungla del contratto con tempi brevissimi». Quanto ci vorrà? Una, due settimane? «Sì». Ma qual è il suo piano per La7? In questi ultimi dieci anni ha già portato la raccolta pubblicitaria da 40 a 160 milioni ma la quota del canale è passata dal 2 al 3.5%. «Che non è poco, probabilmente raccoglievano poco allora. Con 160 milioni c’è una valorizzazione del punto di share adeguata e spero anche migliorabile anche se il mercato è difficile. Gennaio e febbraio sono andati molto bene. Oggi La7 vale il 4% e un altro mezzo punto arriva da La7d». Perché non vi interessava Mtv? «Già è un lavoro non facile così: dobbiamo riuscire ad invertire la rotta economica mantenendo qualità del palinsesto. Ed è già molto». Ora le manca l’editoria digitale... «Ho una certa preoccupazione da questo punto di vista: a volte se investi su Internet facendo qualcosa che è molto vicino ai tuoi giornali il rischio di cannibalizzazione è alto. E la pubblicità cresce, ma a vantaggio di chi? Google?». Massimo Sideri La campagna acquisti del Cairo Non solo “amico del Cav.”, chi è l’imprenditore che comprerà La7 Poco più di due anni fa, Urbano Cairo sedeva nella penombra degli studi di La7, alla periferia di Milano. Adesso è in predicato per diventarne il proprietario. Era la presentazione del palinsesto autunnale della “terza rete” d’Italia. Parterre composto dai volti televisivi che oggi sono l’anima di quella giovane realtà catodica che sta in mezzo al duopolio della comunicazione nazionale, quello Rai-Mediaset. Dal soffitto di quel capannone surriscaldato dal sole di giugno pendevano dieci stendardi (due metri per sei) con i “faccioni” delle star di La7: dal giornalista Gad Lerner alla presentatrice Daria Bignardi, fino all’attuale direttore del TgLa7, Enrico Mentana, che lì ufficializzò l’approdo alla televisione di proprietà di Telecom Italia. A manifestazione conclusa tutti i flash erano per lui, il cronista che faceva notizia. Sorrisi, strette di mano e convenevoli. Cairo, invece, osservava dal lato del palco, forse soddisfatto per le novità in arrivo. Constatava, però, il “difficile periodo per i media” confidando al contempo in “una ripresa del mercato pubblicitario” e anticipando perciò la sua intenzione di continuare a investire in attesa di una “prossima espansione”. L’ha fatto davvero. Con un’offerta da 100 milioni di euro la Cairo Communication, che già raccoglie la pubblicità per la rete televisiva, tratterà in esclusiva con Telecom Italia l’acquisto di La7 e La7d (canale al femminile diventato un brand). La decisione è arrivata dopo diversi mesi di trattative e di offerte poi decadute. Il cda di Telecom ha infatti deciso, nella serata di lunedì, di scartare le proposte di Claudio Sposito, presidente del fondo Clessidra (più interessato alle frequenze che alla tv) e del patron di Tod’s, Diego Della Valle, che solo sabato scorso aveva manifestato interesse per La7. A sei giorni dalle elezioni politiche, anche questa partita è motivo di polemica tra Pd e Pdl (Bersani attacca parlando di “conflitto di interessi” e “posizioni dominanti”, affermazioni che per Berlusconi sono “avvertimenti mafiosi”). La stampa enfatizza che a inizio carriera Cairo è stato l’assistente di Berlusconi, autorizzando il Fatto quotidiano a titolare “Telecom regala La7 a Cairo, ora Berlusconi ha quattro tv”. Eppure Cairo, 55 anni, è stato licenziato da Berlusconi nel 1995 dopo quattro anni in Mondadori (“è stata la mia fortuna perché ho cominciato a fare l’imprenditore”, dice). Fu però spiacevole, ricorda chi lo conosce, e tra i due non ci sono più rapporti. Semmai Berlusconi è stato per Cairo un “modello vincente” che ha attivato in lui un “processo di identificazione imprenditoriale e di imitazione personale coronato dall’acquisto di La7”, o almeno è la lettura che se ne dà nell’alta finanza milanese (ambiente dove Cairo, piemontese innamorato di Milano, è noto). I parallelismi con Berlusconi sono facili ma servono solo a spiegare la carriera dell’imprenditore che è sia editore sia presidente del Torino Football Club. Dal 2004 la Cairo editore ha rosicchiato quote di mercato anche a Mondadori, diventando il primo venditore di settimanali popolari d’Italia come DiPiù, Effe, Settimanale nuovo e Diva e Donna (quota 1.850.000 copie). Lanciare un quotidiano tabloid d’ispirazione anglosassone resta però un sogno che Cairo coccola da anni. Da quando, studente bocconiano in trasferta alla New York University per un semestre, pensava a una carriera nella comunicazione e scrutava i grandi network americani. L’avventura calcistica, invece, è cominciata nel 2005, quando i granata lo osannavano per avere comprato il Toro a prezzo di sconto. Lo chiamavano “Papa Urbano” il giorno dell’acquisto della società, appena fallita, salvo poi dargli del “banfone” (bugiardo in piemontese) qualche anno dopo per via di alcuni acquisti avventati che avevano fatto retrocedere il Toro in serie B. Adesso, dopo sette anni di alti e bassi, sta tornando la pace tra Cairo e i tifosi perché il patron ha rinunciato a quell’atteggiamento accentratore che imbrigliava le scelte del club: si è convinto a dare qualche delega ai suoi collaboratori e si fida del nuovo allenatore Giampiero Ventura; per la cronaca, i granata sono a metà classifica in serie A. Ad Abazia di Masio, in provincia di Alessandria, dove Cairo è cresciuto, la notizia di La7 è stata ovviamente ben accolta, così come in famiglia. Laura, la sorella, elogia la sua costanza, “come nello studio”. “Mamma non è la Telecom”, grida la figlia piccola che ha risposto al telefono passandole la cornetta. Stavolta, in casa Cairo, Telecom non c’entra, è il Foglio. CAIRO NON E’ UN RIFIUTO SOLIDO URBANO - ALTRO CHE “BERLUSCHINO”: IL NUOVO SIGNOR LA7 SI E’ FATTO TUTTO DA SOLO - ASSISTENTE DEL PATONZA PER 15 ANNI, NE HA SEGUITO LE ORME TRA PUBBLICITA’, CALCIO E ORA UNA TV: “A BERLUSCONI FACCIO CONCORRENZA” - E’ FAMOSO PER LA CAPACITA’ DI RISOLLEVARE LE AZIENDE IN CRISI: ORA, CON UN REGALINO DI BERNABE’, HA A DISPOSIZIONE 90 MILIONI DI “PRESTITO DEL VENDITORE” PER STACCARE LA7 DAL FONDO DELL’AUDITEL… - Francesco Manacorda per "la Stampa" E se alla fine l’uomo destinato a smuovere almeno un poco la foresta pietrificata della tv italiana fosse proprio questo Urbano Cairo da Masio, provincia di Alessandria, che molti chiamano - non certo per fargli un complimento «Berluschino»? Ieri, mentre i toni della politica si alzavano, come accade in Italia ogni volta che si parla di toccare le reti televisive, e Silvio Berlusconi già si esercitava nel grido preventivo allo scippo della sua Mediaset, il mercato faceva i conti in tasca a Cairo - che i più conoscono perché è il proprietario del Toro e non per le sue attività nell’editoria e nella pubblicità - e promuoveva l’operazione con un rialzo in Borsa della sua società. Sì, perché il primo dato è che Cairo si porterà - se tutto va come previsto a casa La7 e la sorellina digitale La7D, non solo gratis - visto che la società che controlla le due reti verrà ripulita da ogni debito - ma anche con una dote: un «prestito del venditore», così si chiama, al compratore di circa 90 milioni che dovrebbe consentirgli di far partire senza troppe angustie la sua avventura televisiva. Ma allora Telecom Italia, che vende in perdita la sua tv, che ci guadagna? Nulla, è la risposta immediata. Però, visto che da tempo La7 brucia circa cento milioni l’anno su poco più di duecento milioni di fatturato, cedere le chiavi significa non doversi più accollare in futuro le possibili perdite. Inoltre Cairo lascia a Telecom un pezzo pregiato del pacchetto potenzialmente in vendita, ossia quelle tre frequenze televisive che assieme valgono circa 450 milioni e che potranno essere valorizzate in altro modo. Dunque, a patto di riuscire a eliminare o almeno a ridurre quei cento milioni di «rosso» ogni anno - Cairo potrebbe fare un ottimo affare con La7. L’uomo ha già dimostrato di essere un amante dell’«usato sicuro». Compra società che sono decotte o quasi e poi, senza colpi d’ala ma con grande costanza, le rimette in sesto, scegliendo manager, direttori e allenatori non esattamente di primo pelo, ma di provata capacità ed esperienza. mil01 urbano cairomil01 urbano cairo E’ successo con il Torino, che ha preso nel 2005 per un pugno di euro dopo il fallimento e dal quale però non è ancora riuscito a tirare fuori soldi; è accaduto con l’acquisto di attività editoriali, a partire dalla Giorgio Mondadori, che ha rilevato nel 1999. Nella pubblicità, invece, si è fatto da solo o quasi. Complice un quindicennio a fianco proprio di Berlusconi - prima suo assistente quando ancora frequentava la Bocconi, poi una rapida carriera tra i venditori di spot di Publitalia e infine capo della raccolta della Mondadori in formato Cavaliere - nel ’95 ha fondato la sua concessionaria pubblicitaria (che tra l’altro raccoglie anche gli spot per La7) e cinque anni dopo ha quotato in Borsa la sua Cairo Communication. Ma sarà Cairo l’uomo che potrà realizzare quel «terzo polo» televisivo già sognato nel 2000 da Roberto Colaninno e Lorenzo Pellicioli e però sempre restato allo stato embrionale, cristallizzato in una rete di alto profilo e di bassi in media poco sopra il 3,5% di share ascolti? La risposta dipende solo in parte dalle scelte dell’acquirente, mentre una grande influenza potrebbero averla anche le scelte del prossimo governo. Partiamo dunque dal rischio che il «Berluschino» finisca in un modo o nell’altro per favorire l’originale. Qui l’etichetta che Cairo si è ritrovato cucita addosso rischia di ingannare: un po’ perché quel giovane manager è diventato grande da tempo, cammina con le sue gambe e anzi - rivendica spesso - «a Berlusconi faccio concorrenza»; un po’ perchè di diminutivo, nella considerazione che Cairo ha di se stesso c’è davvero poco. Per capirlo basta ricordare il regalo che fece proprio a Silvio e Veronica per le loro nozze: un ritratto - il suo - opera della pittrice Lila De Nobili. E poi se il Cavaliere, in affari come in politica, opera sempre nel segno di una certa «grandeur» di stampo brianzolo, il suo ex allievo ha imparato la lezione ma l’ha sempre condita con una robustissima dose di prudenza e concretezza che non prevede - calcio a parte - operazioni in perdita. SIlvio Berlusconi e Veronica LarioSIlvio Berlusconi e Veronica Lario Insomma, chi lo conosce, scommette che l’editore che ha lanciato i magazine a basso costo, non esitando ad andare in edicola a 50 centesimi, tenterà di allargare il pubblico della sua rete senza fare sconti alla concorrenza, affiancando alla programmazione «alta» de La7 anche contenuti più popolari, in modo da aumentare gli introiti pubblicitari. L’altro aspetto, che per ora è difficile definire con esattezza, è per l’appunto quella che sarà la politica di un nuovo governo in campo televisivo. Con una maggioranza di centrosinistra potrebbero arrivare in tempi rapidi sia una legge sul conflitto d’interessi, sia una revisione della legge Gasparri che ha finora sancito il duopolio Rai-Mediaset. Comprensibile che Berlusconi, che la prossima settimana potrebbe svegliarsi alla guida solo del terzo partito italiano nutra già qualche timore. Fonte: Giovanni Pons, la Repubblica 19/2/2013 Testo Frammento IL TERZO POLO IN REGALO ALL’AMICO DEL CAVALIERE– A SEI giorni dalle elezioni politiche il cda di Telecom Italia ha deciso di vendere il suo asset più sensibile, la tv de La7, all’editore Urbano Cairo. URBANO Cairo è l’editore di periodici che ha iniziato la sua carriera professionale come assistente di Silvio Berlusconi. Assegnando a lui l’esclusiva della trattativa non si è voluto dare tempo a Diego Della Valle di fare la sua proposta, preannunciata con una lettera di sabato scorso (nella quale esprimeva l’idea di coinvolgere nell’operazione anche i volti noti de La7). Si è voluto invece decidere a tutti i costi probabilmente per dare un segnale nel bel mezzo della campagna elettorale, anche se i consiglieri di Telecom si difendono dicendo di aver esclusivamente fatto gli interessi dell’azienda. Certo, se è giusto che la vita delle aziende non segua un calendario politico, è anche vero che dopo otto mesi di trattative estenuanti la vendita de La7 arriva a realizzarsi a pochi giorni dal voto più importante degli ultimi cinquant’anni. Ed è lo stesso cda Telecom che si è dato questi tempi così “politicamente sensibili”. L’offerta di Cairo è stata preferita a quella del Fondo Clessidra perché è stata sensibilmente migliorata nella sua versione definitiva. Al primo giro era stata considerata praticamente irricevibile, visto che prevedeva una dote da parte del gruppo Telecom di circa 150 milioni tra sconti, pubblicità e cassa. Venerdì sera questa cifra è scesa a circa 80-90 milioni, meno delle perdite di un anno, e soprattutto è stato valutato positivamente il fatto che i multiplex per la trasmissione in digitale rimangono di proprietà della società telefonica. Infrastrutture che secondo le stime dell’azienda possono produrre nei prossimi anni circa 45 milioni di margine operativo lordo. L’errore di Clessidra è stato proprio quello di sottovalutare questi asset. Dunque, implicitamente, la dote richiesta era sensibilmente più alta di quella di Cairo. Ora bisognerà vedere come l’editore che alla fine degli anni ’90 acquistò la Giorgio Mondadori e poi ha sviluppato una casa editrice che fattura 320 milioni e ne ha guadagnati 18 nel 2012 riuscirà a rimettere in sesto i conti de La7. «Apprendo la notizia con positività - le prime parole di Cairo - ho davanti un compito molto difficile ma esaltante. L’azienda nell’ultimo decennio ha perso 100 milioni all’anno e va risanata in tempi rapidi, senza modificare la linea editoriale, ma tagliando i costi in eccesso». Nelle prossime due settimane Cairo dovrà ancora lavorare ventre a terra per finalizzare l’acquisto da Telecom che gli chiederà un ulteriore sforzo economico. Poi arriverà il tempo dei tagli e delle nuove idee da mettere in campo. Nei giorni scorsi, quando ancora sembrava che il favorito fosse il Fondo Clessidra, Cairo aveva cominciato a piantare i paletti del suo nuovo palinsesto. Grande spazio all’attualità con la conferma dei “volti” di punta, da Mentana a Santoro, da Maurizio Crozza a Gad Lerner fino a Corrado Formigli. L’obbiettivo è mantenersi nel solco della tv libera e indipendente che si può permettere satira e analisi sferzanti. Ma poi bisognerà anche pensare ad aumentare i ricavi e così Cairo sta ipotizzando una serie di programmi di intrattenimento che possano interessare a un target femminile adulto che è quello preferito da alcuni grandi investitori pubblicitari. «La sfida è titanica - aggiunge - ma quando presi la Giorgio Mondadori mantenni tutto il personale. Vorrei fare lo stesso a La7». Basta che non si tratti di una promessa alla Berlusconi. Fonte: Antonello Caporale, il Fatto Quotidiano 7/2/2013 Testo Frammento L’EDITORE URBANO CAIRO [“Voglio fare miracoli ma con Berlusconi ho rotto 20 anni fa”] – Urbano Cairo è il più probabile acquirente de La7, e già in queste ore potrebbe divenirne proprietario. I tratti del suo carattere, sempre gioviale, sono a volte rumorosi. È ambizioso, simpatico, alla mano. Creativo il doppio: ha proposto al venditore di finanziargli in parte l’acquisto. Ha ottime amicizie sulle spalle. L’appuntamento con lui è al caffè Sant’Ambreus, dietro piazza San Babila. “MI INFASTIDISCE quando leggo che sono l’amico di B., il berluschino che tira via La7 alla democrazia per riporla nelle mani del tycoon onnivoro. Va a finire che a furia di dire certe cose ci crediate voi e qualcun altro, perciò sento il bisogno almeno di illustrarvi la mia vita. Io con Berlusconi ho chiuso nel 1995, non l’anno scorso. Sono stato il suo assistente è vero e ho riconoscenza per l’uomo. Lei mi dice: portava a spasso la signora Veronica, le faceva finanche da autista. Ma ha idea di quanti anni sono passati? E ha idea di cosa è successo dopo? Poi le ricordo che sono stato licenziato da Mondadori (da Tatò più che da Dell’Utri). Licenziato. Mi trovi un intimo di B. che abbia subìto eguale trattamento. E me ne trovi un altro che – da licenziato – si rimbocca le maniche e si mette a costruire da zero la sua impresa multimediale: vendo pubblicità su ogni mezzo di comunicazione, sono editore di un numero elevato di periodici, da quelli più pop a marchi prestigiosi, sono presidente di una squadra di calcio. Mi si accusa che così sembro proprio un piccolo B.? Non posso vietare che anche lei lo pensi, affari suoi. Però è falso. Amo la televisione e ancor di più i giornali. Anzi, a dirla tutta mi sarebbe piaciuto fondare un quotidiano. Non ho trovato il giornalista giusto, poi la crisi economica si è messa di mezzo e mi sono arreso all’evidenza. Su La7 non dico nulla di più, non ho alcun titolo e non mi piace parlare del futuribile. Quella televisione ha un palinsesto prestigioso, ma un conto economico difficile. Perciò ho chiesto un piccolo aiutino al venditore per far fronte all’acquisto. Sì, dei soldi. Tolgo a Telecom l’asset più pesante lasciando nelle sue mani il multiplex, dove si fanno i soldi. Mettersi sulle spalle quel gigante d’argilla è un’impresa che necessita ardore e sprezzo del pericolo, una sfida assoluta. A me può riuscire. Come quando comprai la Giorgio Mondadori, o divenni concessionario di due settimanali della Rizzoli. Feci l’offerta non avendo neanche un ufficio, un dipendente. Sentivo che l’impresa mi avrebbe affascinato. E riesco a organizzare i pensieri e le azioni solo camminando. Vede questo aggeggio? È un contapassi. All’autista chiedo di seguirmi, e mentre cammino la mia mente è al lavoro. Ieri ho camminato poco, ma l’altro giorno tre miglia, e il giorno prima una e mezzo, e prima ancora... Se non cammino non penso, se non penso non costruisco. Più dei soldi mi sazia l’ambizione del progetto: vedere cosa ho fatto e cosa riesco ancora a fare. Non mi voglio misurare con Berlusconi, lui è di un’altra età e ha lavorato in altre condizioni (e se proprio, un tycoon ancora più grande c’è e si chiama Murdoch). Capisco però le assonanze possibili. Ma sono fortuite. Vogliamo parlare del calcio? Ho acquistato il Torino per amore. C’è, è vero, il ricasco pubblico, l’espansione dell’immagine, ma insomma: ho messo 60 milioni di euro nel Toro. Il sentimento costa. Ah, dimenticavo: non ho mai licenziato nessuno. Come? Uso le stesse parole di Berlusconi? Non mi riguarda, sono fuori e lontano dalla sua politica, non mi ha mai visto nei convegni di Forza Italia e non mi vedrà. Non so se venderanno La7 a me, ma penso di sapere esattamente cosa fare, e come. E di poter garantire solidità finanziaria e nessuna ombra sulla linea editoriale: Mentana e Santoro per me sono inamovibili. E lo dovrebbero essere per chiunque la compri. A La7 mi conoscono, gli vendo la pubblicità. Quando sono arrivato i ricavi erano fermi a 40 milioni di euro; con me sono saliti a 160. Ah Stella, l’ex amministratore delegato che ha impugnato il contratto, per due volte lo ha sottoscritto. E mi sento di dire che con Urbano Cairo hanno ricevuto molto oltre il prevedibile e solo grazie al fatto che ho garantito e raggiunto performance straordinarie. L’ho fatto perché Urbano Cairo pensa a come far crescere la sua azienda e come dar filo da torcere alle altre, si chiamassero un domani pure Mediaset. Non mi sembra però tantissimo convinto. S’è fatto tardi, buonasera”. Fonte: Giorgio Meletti, il Fatto Quotidiano 19/2/2013 Testo Frammento IL CDA TELECOM CONSEGNA LA7 A URBANO CAIRO, L’AMICO DI B. [Trattativa in esclusiva per la cessione con l’imprenditore torinese. Non è bastata la mossa in extremis di Della Valle] – Alla fine, un po’ a sorpresa, Urbano Cairo ce l’ha fatta. Sarà lui a chiudere la trattativa con Telecom Italia per l’acquisto di La7. La decisione è stata presa ieri sera a Milano dal consiglio d’amministrazione del gruppo telefonico, dopo due ore di discussione molto tesa nella quale sono confluite le tensioni delle ultime settimane. Un comunicato emesso a tarda sera dice che il cda Telecom, presieduto da Franco Bernabè “ha approvato l’avvio di una fase di negoziazione in esclusiva con Cairo Communication per la cessione dell’intera partecipazione in La7 Srl con l’esclusione della quota di MTV Italia (51%) detenuta dalla stessa La7”. La Cairo Communication, da alcuni anni concessionaria di La7 per la raccolta pubblicitaria, definirà dunque i dettagli per acquisire al prezzo simbolico di un euro il settimo canale televisivo nazionale, che le verrà consegnato con una congrua dote finanziaria, pur di liberare Telecom Italia da una incessante fonte di perdita. Cairo ha già promesso ai volti dell’informazione di La7, a cominciare dal direttore del Tg Enrico Mentana e Michele Santoro, la conferma. SI CHIUDE COSÌ, in modo sorprendente e beffardo, una vicenda che per più di un anno è andata avanti in modo strisciante, nella totale indifferenza di partiti politici e sindacati. La Telecom consegna all’ex assistente personale di Berlusconi la tv che negli ultimi due o tre anni era diventata una spina nel fianco di Mediaset. È la stessa Telecom Italia Media a denunciare nei verbali del suo consiglio d’amministrazione che il cattivo andamento dei conti di La7 è da attribuirsi principalmente a due cause: i comportamenti asseritamente scorretti di Cairo nella raccolta della pubblicità, per i quali la stessa società è ricorsa in Tribunale chiedendo la rescissione del contratto; le denunciate manipolazioni dei dati Auditel, che hanno attribuito a La7 un sospetto crollo degli ascolti nel 2012 rispetto al 2011. Proprio il crollo che ha influito decisivamente - assieme alla volontà di Mediobanca di azzoppare La7 per far contento B. - sulla determinazione di Telecom Italia di vendere. E dunque niente da fare per Diego Della Valle: la sua manifestazione d’interesse è stata giudicata tardiva per una procedura di vendita della tv che andava avanti, formalmente, dall’aprile dello scorso anno. Niente da fare neppure per il Fondo Clessidra, guidato dall’ex manager Fininvest Claudio Sposito. La sua offerta era per rilevare tutto il 77 per cento del capitale di Telecom Italia Media, la scatola quotata che contiene, oltre a La7, anche Mtv e TI Media Broadcasting, la società che si occupa dei sistemi di trasmissione. Per Clessidra l’ostacolo più insidioso si è rivelato il necessario giudizio di congruità sul prezzo offerto per le azioni di una società quotata in Borsa, di cui è quindi noto il valore di mercato. I consiglieri d’amministrazione si sono dimostrati poco desiderosi di assumersi la precisa responsabilità di vendere sotto costo (cioè svendere) un pezzo del patrimonio aziendale. Per La7 da sola, visto che non ha mai chiuso un bilancio in utile negli ultimi vent’anni, e visto che non è quotata, si è rivelato più agevole attribuirle un valore negativo. PER BERNABÈ la soluzione Cairo è dunque un compromesso: ritratto fino a ieri sera come strenuo difensore degli interessi della società contro gli appetiti di Mediaset - assecondati dal più influente azionista di Telecom, Mediobanca, di cui a sua volta è importante azionista Silvio Berlusconi, - il presidente del gruppo telefonico se la cava mollando solo l’emittente televisiva, ma trattenendo nel perimetro societario antenne, tralicci e soprattutto le frequenze digitali (i cosiddetti mux) alle quali da sole è attribuito un valore di almeno 350 milioni. Alla vigilia del consiglio sembrava ci fosse un’intesa sul rinvio tra Bernabè e il numero uno di Mediobanca, Alberto Nagel. Ma una volta riunito il cda si è visto che i margini per prendere ulteriormente tempo si erano ristretti. Paradossalmente, quella parte del consiglio pronta a compattarsi con Bernabè contro l’ipotesi di regalare tutto il pacchetto televisivo a un acquirente in odor di amicizia con Berlusconi, si è rivelata anche quella più ostile a un ulteriore rinvio per andare a verificare l’offerta di Della Valle, che pure, stando alle voci delle ultime ore, prometteva di essere più vantaggiosa di quella di Cairo. Il fatto è che anche Della Valle voleva solo La7, come Cairo, e quindi non poteva essere un’alternativa, a prezzo congruo, all’offerta di Clessidra. In nome delle regole il Cda Telecom ha dunque respinto il regalo a Clessidra ma anche il rinvio per aspettare Della Valle. E ha vinto così Cairo, che figurava in fondo alla classifica dei bookmaker. Ma soprattutto ha vinto B. Fonte: Claudio Plazzotta, ItaliaOggi 17/7/2012 Testo Frammento CAIRO, LETTORI AFFAMATI DI NOVITÀ– Urbano Cairo sta dimostrando che nel mercato della carta stampata periodica c’è spazio, eccome. E si possono fare prodotti di successo anche nel 2012, quando molti predicano la fine imminente di settimanali o mensili e si inceppano da soli con fumose strategie web. Cairo Editore, invece, è uscito quest’anno con due settimanali di carta che più di carta non si può (Internet non lo prende neppure in considerazione), e con Settimanale Nuovo (per ora oltre 300 mila copie medie) e il femminile F (gli ultimi numeri a un euro veleggiano ben oltre le 250 mila copie) prevede, nei prossimi 12 mesi, di avere un fatturato aggiuntivo di 35 milioni di euro. Punta, inoltre, a debuttare con un nuovo periodico, che ha già in mente ma di cui non intende parlare. Insomma, ridendo e scherzando il gruppo editoriale che ha sede in corso Magenta a Milano, e che a inizio 2004 vendeva zero copie di settimanali, ora si consolida a quota 1,9 milioni ogni sette giorni (Dipiù, Dipiù Tv, Tv Mia, Diva & Donna, Settimanale Nuovo, F). Ovvero, in otto anni è diventato il polo più importante in Italia per vendite in edicola. Le grandi e storiche casa editrici tricolori, che nel frattempo hanno perso fette di mercato e milioni di copie di diffusione, usano spesso trincerarsi dietro giustificazioni del tipo «abbiamo una struttura di costi tale che non possiamo guadagnare soldi portando in edicola prodotti a un euro». Ma è proprio così? «Io non ne farei una questione di costi», risponde Cairo, «perché Cairo Editore è magari più snella in alcuni ambiti, ma in altri sostiene anche costi maggiori delle case editrici concorrenti. Per esempio, io faccio sempre ampie tirature, che hanno sempre ampie rese e quindi costi più alti. In questo modo, però, presidio meglio tutte le edicole. In genere, poi, sostengo più ampi costi di comunicazione rispetto alla concorrenza. E i miei prodotti hanno più pagine di contenuti editoriali. Inoltre, solo per Settimanale Nuovo ed F, ho assunto circa 40 giornalisti, mentre altri gruppi stanno licenziando e tagliano. Quindi vi sono voci in cui ho costi più alti. Poi, magari, ho una struttura di costi generali più snella. Ma pure noi abbiamo la distribuzione, la produzione, il marketing, l’amministrazione, il controllo di gestione, sia ben chiaro». E quindi cosa fa la differenza? «Io direi che è meglio parlare dei giornali. I nostri, forse, interpretano meglio i gusti dei lettori. Noi non li abbiniamo e non mettiamo gadget. Tutte cose che invece altri fanno, che costano molto e sviliscono un po’ il prodotto editoriale. In sintesi, direi che ci sono formule editoriali che funzionano meglio, ed altre che funzionano peggio». Secondo Cairo, quindi, è possibile fare bene il mestiere di editore di carta stampata pure in periodi di crisi dei consumi e del mercato pubblicitario: «Io vedo che i consumatori, anche in momenti di crisi, hanno sempre voglia di novità. Le cose nuove interessano, piacciono. Bisogna imparare a fare cose nuove in modo creativo, con una maniacale attenzione ai costi, ma senza togliere l’ossigeno al prodotto». Preferibile, perciò, lanciare prodotti nuovi piuttosto che comprare testate sul mercato o insistere troppo nei restyling, «anche se io non ho nulla in contrario ai restyling fatti bene. Ed è una tecnica che ho usato, sia con Airone, sia con Diva & Donna». Come detto, gli ultimi arrivati in casa Cairo editore sono stati Settimanale nuovo ed F. Il primo è stato lanciato all’inizio dell’anno e aveva un obiettivo di vendita di 200 mila copie. Al momento ha una media oltre le 300 mila copie, e pure l’ultimo numero in edicola si mantiene sopra quota 300 mila. Il femminile F, al debutto lo scorso 5 giugno, è uscito a 50 centesimi per i primi due numeri, e a un euro per gli ultimi tre. La media complessiva è vicina alle 300 mila copie, mentre gli ultimi tre, a prezzo pieno, hanno diffuso, rispettivamente, 272-252 e 250 mila copie. Ben al di sopra dell’obiettivo di 150 mila copie che Cairo si era dato all’inizio. Queste copie porteranno, come detto, circa 35 milioni di euro di fatturato aggiuntivo nei prossimi 12 mesi ai conti di Cairo, tra incassi edicola e pubblicità. E consentono già ora al gruppo editoriale di ergersi a quota 1,9 milioni di copie vendute a settimana. Nessuno, neppure i big (ex?), sa fare meglio. Fonte: Roberto De Ponti, Corriere della Sera 23/05/2012 Testo Frammento CAIRO: «VENTURA E’ UN BEL QUADRO. MI HA INSEGNATO MOLTO» — Alle sue spalle uno Schifano di due metri per sei, con i toni del verde intenso, ad avvolgere la scrivania. A destra, appoggiata a terra, un gigantografia che lo ritrae allo stadio, tra i tifosi, con una scritta bianca in campo granata: in hoc signo vinces. «Questo poster me l’hanno regalato i giocatori quest’inverno. La domenica dopo abbiamo perso a Modena. Così ho pensato di nasconderlo fino al termine del campionato: adesso posso finalmente appenderlo alla parete». Urbano Cairo è finalmente rilassato, dopo tre anni il suo Torino è finalmente tornato in A: lontani i tempi della contestazione, i tifosi sono tornati a chiamarlo papa Urbano. Unico problema: la voce che rischia di abbandonarlo da un momento all’altro. «Colpa della pioggia che abbiamo preso sul pullman scoperto domenica sera, quando abbiamo festeggiato la promozione. Però il diluvio ha reso il pomeriggio eroico: a festeggiare con il sole sono capaci tutti». Solo la pioggia? Le cronache raccontano di un Cairo scatenato, domenica sera... «Abbiamo cenato, cantato, ci siamo innaffiati con lo champagne...». In Rete girano immagini di Urbano Cairo ballerino. «Ebbene sì, ho ballato alla John Travolta, mostrando limiti fisici evidenti. Ormai, con telefonini e social network, bisogna stare attenti. Però alcuni tifosi mi hanno detto: anche se Travolta balla un po’ meglio, se festeggiassimo così pure il prossimo anno non sarebbe male». Quali sono le sue passioni? «Il calcio, la comunicazione, l’arte contemporanea». Come sceglie un quadro? «Ovviamente ci dev’essere qualcosa di estetico che ti attrae. Con Schifano è così. Poi l’artista deve avere anche un certo tipo di appeal». E un allenatore come lo sceglie? «Guardo quanto ha vinto, perché ad alcuni la vittoria fa paura, e invece è la chiusura di un’opera. Guardo il curriculum. Guardo le motivazioni». Nel caso di Giampiero Ventura? «Nel suo caso è stata importante la voglia di rivincita. Ventura non vinceva il campionato dal ’99, con il Cagliari». Tredici anni. «Mi raccontava che con la Samp aveva perso un campionato dopo averlo condotto a lungo ed essere crollato nel finale. E quando me lo raccontava mi veniva il magone e pensavo tra me e me: speriamo che Paganini non ripeta». Com’è il rapporto con Ventura? «C’è grande sintonia, un rapporto buono, diretto. Mi ha trasferito alcuni suoi concetti fondamentali che sono stati per me un momento di apprendimento». Quali? «La sua richiesta quasi maniacale di arrivare in ritiro con la squadra quasi fatta. Chiaro che fare la squadra prima è meglio che farla dopo, lo direbbe anche Catalano, ma poi dipende da quanto questa cosa viene sottolineata. Lui era così determinato su questa cosa che ho capito quanto fosse fondamentale». Altro? «Il concetto che la squadra conta più degli individui. Da giovane giocavo nella Pro Sesto: avessi avuto Ventura come allenatore avrei combinato qualcosa di più, come calciatore. Ero un po’ un veneziano e vivevo nel mito del singolo, della bella giocata. A Ventura un giorno chiedevo dei giocatori e lui mi rispose: non dobbiamo parlare di singoli, dobbiamo parlare della squadra». Ok, allora parliamo di singoli: Angelo Ogbonna resta al Toro o no? «Ogbonna ha raggiunto la sua maturazione. È stato convocato in azzurro. Ovvio che vorrei che resti». Ha confessato di essere rimasto solo perché Ventura gli aveva detto di restare. «Credo che anche stavolta Ventura gli dirà la stessa cosa. Così come credo che anche Angelo sarebbe contento di rimanere al Toro. Ha rinnovato fino al 2016, gli ho offerto un contratto migliorativo perché era giusto e anche per l’atteggiamento che ha tenuto nei precedenti mercati, senza mai creare problemi. Si è sempre deciso insieme, lo faremo anche questa volta. Chiaro che spero di riuscire a fare cose gratificanti per noi e quindi anche per lui». Si offende quando la definiscono un piccolo Berlusconi? «Ci ho lavorato insieme, imparando molto, negli anni eroici della tv commerciale, dopodiché ho fatto la mia strada. Lavoriamo entrambi nel settore della comunicazione, abbiamo in comune la passione per il calcio. E comunque, dopo 4 anni alla Mondadori, mi hanno cacciato. Alla fine è stato meglio così, perché mi sono messo in proprio. Piccolo Berlusconi quindi non direi, anche perché sono un po’ più alto di lui... ». Il momento peggiore in 7 anni di presidenza? «La retrocessione è stata un momento pesante, pesante... Ma c’era la voglia di ripartire. Poi è chiaro che la contestazione ti pesa, ma ho resistito tre anni. Ho fatto una cosa da Toro: non ho mollato mai». Voleva vendere la squadra. «L’avevo detto, ma speravo che nessuno si facesse avanti». Se lo ricorda mister X? «Altroché! Ha tenuto banco sui giornali per due mesi. È stato molto destabilizzante. Certo non siamo retrocessi per colpa di mister X, ma di sicuro non ha aiutato». Quanto pesa la storia al Torino? «Questa è una società che è rinata da un fallimento, ma la storia deve contare. C’è, ed è una storia importante. Il nostro impegno sarà quello di creare un gruppo di giocatori che facciano da padroni di casa con i nuovi arrivati spiegando loro che cosa significa indossare la maglia granata». Obiettivi per il prossimo anno in serie A? «Fare un campionato da Toro». Roberto De Ponti Fonte: Claudio Plazzotta, ItaliaOggi 13/7/2011 Testo Frammento CAIRO, ALTRO CHE UN BERLUSCHINO - È l’uomo che raccoglie la pubblicità di La7, ovvero la tv più cool del momento, quella che ha corteggiato Michele Santoro, che avrà Fabio Fazio per qualche puntata in maggio, che ospiterà Roberto Saviano da gennaio, che con Enrico Mentana ha uno dei tg più seguiti e con Maurizio Crozza uno dei comici più irriverenti. Una rete, politicamente, attribuibile all’area di centro-sinistra. Urbano Cairo è anche l’uomo che qualche mese fa, con la sua Cairo Communication, ha flirtato per rilevare l’Unità, quotidiano di area Pd in crisi di identità e da rilanciare. Insomma, l’imprenditore e attuale presidente del Torino Fc sembra aver intrapreso un percorso inverso rispetto a tanti suoi colleghi: in molti, infatti, hanno militato nella sinistra, anche estrema, per poi attaccare l’eskimo al chiodo e diventare collaboratori di Silvio Berlusconi. Cairo, invece, ha iniziato proprio come assistente del Cavaliere, ha lavorato in Publitalia e Mondadori pubblicità, per poi mettersi in proprio e ritrovarsi a fare business con l’editoria definita progressista. I tre anni di assistente di Berlusconi gli hanno insegnato molto. Non tanto perché il presidente gli facesse coscientemente da maestro, ma perché Cairo sapeva ascoltare, assimilare, osservando il capo, i suoi incontri con i clienti, le sue strategie commerciali, la capacità di valorizzare gli uomini. Berlusconi, intuendone l’ambizione e i talenti, mandò Cairo a farsi le ossa in Publitalia, e, dopo poco tempo, lo chiamò in Mondadori pubblicità come amministratore delegato. Marcello Dell’Utri, ai vertici di Publitalia, non ne voleva sapere, ma Berlusconi, quella volta, si impose. I risultati furono piuttosto buoni, il fatturato cresceva, ma Dell’Utri era sempre lì, a remare contro. E venne il giorno, nel 1995, in cui Franco Tatò, amministratore delegato di Fininvest, chiamò Cairo nel suo ufficio e, secondo quanto ricostruito da ItaliaOggi, gli disse: «Bravo Urbano, apprezziamo il tuo lavoro. E abbiamo pensato a te per sviluppare il business di Pagine Utili». Cairo, a quanto sembra, deglutì, contò fino a dieci e rispose: «Grazie mille Franco, sono molto onorato che tu abbia pensato a me per Pagine Utili. Ma, visto il mio buon lavoro in Mondadori Pubblicità, mi aspettavo qualcosa di diverso. Potrei accettare l’offerta in Pagine Utili, ma solo se mi venisse girato anche il 50% della società». Tatò strabuzzò gli occhi, congedò Cairo, che poi venne chiamato direttamente da Berlusconi. Il Cavaliere ascoltò il punto di vista di Urbano, e quindi lo salutò amichevolmente. Ma nei giorni successivi il manager comprese che erano iniziati i suoi ultimi giorni in Mondadori. Di lì a poco arrivò un ordine di servizio che gli toglieva ogni delega operativa sulla concessionaria, e nel dicembre del 1995, venne messo alla porta, con tanto di lettera di licenziamento. Al suo posto fu nominato Giuseppe Pilera, un fedelissimo di Dell’Utri. Questo retroscena non è molto conosciuto in letteratura, tanto che Cairo è spesso stato presentato come «berluschino», come imprenditore della comunicazione che, anche con l’avventura nel Torino Fc, tentava di ripercorrere i successi del suo maestro. Maestro, tuttavia, con cui i rapporti sono certo rimasti cordiali, ma molto diradati dopo quel burrascoso dicembre 1995. Tornando alla più stretta attualità, il lavoro di Cairo come concessionaria di La7, almeno per il momento, va apprezzato soprattutto per la capacità di far corrispondere agli incrementi di audience gli incrementi di fatturato. Una proporzionalità non semplice da ottenere, e che fu alla base dei fallimenti di Italia Uno sotto Rusconi e di Rete 4 con la prima Mondadori. Quei canali, infatti, avevano crescite significative degli ascolti, ma il fatturato pubblicitario non saliva in contemporanea. Creando, così, i presupposti per il fallimento e la cessione delle due reti a Fininvest. Cairo, invece, è riuscito a far salire la raccolta di La7 anche in tempi bui, quando le audience restavano al palo. E ora che, dopo l’arrivo di Mentana, le share sembrano decollare, l’avanzata prosegue. Nei primi sei mesi del 2011, per esempio, gli ascolti di La7 sono cresciuti del 29%, ma il fatturato pubblicitario, a cura di Cairo Communication, è andato oltre, e marcia a +32%, con un +37% nel solo mese di giugno. Il tutto, peraltro, in un mercato della pubblicità televisiva che, complessivamente, perde i colpi in Italia, con un -1,8% nei primi quattro mesi dell’anno (dati Nielsen), dove Publitalia è in frenata del 2,5% nel primo semestre, e in cui pure Sky pubblicità ha le sue belle gatte da pelare. Cairo Communication, insomma, corre. Urbano Cairo un po’ meno: i due menischi operati in gioventù, quando era ala destra della Pro Sesto, glielo sconsigliano caldamente. Fonte: Il Catalogo dei viventi 2009 Testo Frammento CAIRO Urbano Milano 21 maggio 1957. Editore. Padrone del Torino. «Silvio Berlusconi ha detto che se rinascesse vorrebbe essere Kakà. E lei?». «Io vorrei essere Berlusconi» (da una puntata di Sky calcio show) • «Milanese di origini alessandrine. Mio nonno e mio zio facevano gli agricoltori». Laureato alla Bocconi, lavorò per Berlusconi in Publitalia e alla Mondadori: «Edilnord. 8880. Un centralone. “Mi passa il dott. Berlusconi?”. Mi passano la segretaria. “Signora buongiorno, sono uno studente della Bocconi, vorrei parlare col dott. Berlusconi”. “Se vuol dire a me io riferisco senz’altro”. “No, guardi, vorrei parlare con lui, richiamerò”. Metto giù e ci ripenso. Due ore dopo richiamo. Di nuovo la segretaria. “Signora, sono sempre io. Ho due idee eccezionali che vorrei spiegare al dottor Berlusconi. Se lei non mi permette di parlare con lui, lei rischia davvero di fargli un danno”. Mi fissò un appuntamento con Marcello Dell’Utri. E poi con Berlusconi». In proprio dal 1995, oggi dirige un gruppo che opera nella raccolta della pubblicità e nell’editoria. La Cairo Communication, società capogruppo quotata in Borsa, controlla Cairo Editore (periodici e libri), Editoriale Giorgio Mondadori, Cairo Pubblicità, Cairo Directory, Cairo Web, Cairo Sport. Ha aggiunto alle testate storiche della Giorgio Mondadori (Airone, Bell’Italia ecc.) nuovi magazine popolari che sono andati all’attacco delle corazzate del settore: DiPiù e DiPiù Tv, dirette da Sandro Mayer (strappato alla Rusconi dove dirigeva Gente), e Diva e donna, diretto da Silvana Giacobini, che alla Mondadori dirigeva Chi • Da tangentopoli (falso in bilancio) uscì con un patteggiamento («Ritenevo fosse la cosa più giusta pur non avendo fatto nulla») • «Quando è nata Cairo pubblicità non avevo neanche l’ufficio: c’ero solo io, il telefonino e un’idea: mettere in piedi una concessionaria diversa. Più focalizzata: poche cose ma fatte bene. E multimediale, per offrire un pacchetto completo» • L’acquisto del Torino avvenne alla fine del campionato 2004-2005. La squadra aveva conquistato la serie A, ma una fidejussione del proprietario Francesco Cimminelli risultò fasulla. Ergo: fallimento e titolo sportivo a disposizione di chi lo voleva. Rintuzzato il tentativo di un imprenditore laziale, Luca Giovannone, forse prestanome di Claudio Lotito, Cairo - sostenuto pienamente dal sindaco, dalla Stampa e dai tifosi - riuscì a rifondare la società • Da giovane giocava a calcio: «Ero un “veneziano”, un’ala destra dribblomane. Mi ispiravo a Claudio Sala, il Poeta del Toro dello scudetto 1976» • Sposato in terze nozze (dopo Tove Hornelius e Anna Cataldi) con Mali Pelandini, madre di tre dei suoi quattro figli • «Il primo voto l’ho dato alla Dc, nel ’75, quando c’era Benigno Zaccagnini. Poi ho cambiato. Non ho mai votato per il Msi o per la Lega. Forza Italia? L’ho votata nel ’94» (nel 2005). [abk] esto Frammento CAIRO Urbano Milano 21 maggio 1957. Editore. Padrone del Torino (dal 2005). Laureato alla Bocconi, ha lavorato per Silvio Berlusconi in Publitalia e alla Mondadori. Nel 95 si è messo in proprio e oggi dirige un gruppo che opera nella raccolta della pubblicità e nell’editoria. La Cairo Communication, società capogruppo quotata in Borsa, controlla Cairo Editore (periodici e libri), Editoriale Giorgio Mondadori, Cairo Pubblicità, Cairo Directory, Cairo Web, Cairo Sport. Ha aggiunto alle testate storiche della Giorgio Mondadori (Airone, Bell’Italia ecc.) nuovi magazine popolari che sono andati all’attacco delle corazzate del settore: DiPiù e DiPiù Tv, dirette da Sandro Mayer (strappato alla Rusconi dove dirigeva Gente), e Diva e donna, diretto da Silvana Giacobini, che alla Mondadori dirigeva Chi. Le testate di Mayer, lanciate a mezzo euro, vendono mediamente 800 mila copie, con qualche problema per il leader del settore Sorrisi e canzoni. Buon risultato anche per Diva e donna • «Nella ricca Milano, inizio anni Ottanta, mi chiesero di scrivere un’inchiesta sugli yuppie nostrani. Non ricordo chi, tra altri nomi, mi segnalò un bocconiano di bella speranza che faceva da assistente-segretario all’imprenditore più innovativo del momento, Silvio Berlusconi. In città si diceva che Urbano Cairo era tra i pochissimi a condividere la vita quotidiana del suo capo, nella palazzina di via Rovani, dove allora abitava anche la futura moglie e first lady, Veronica Lario. Un rapporto di fiducia totale che Cairo non ha mai tradito. Entusiasta mi raccontò come era arrivato a Berlusconi sfiancandolo di telefonate e la fortuna di lavorare accanto a un simile personaggio. Anche sotto la doccia mi confessò (anni dopo però l’ha negato) ripensava agli insegnamenti del suo maestro. Una spugna. Travolta da cotanta ammirazione ammetto che giudicai il giovane Cairo un aspirante clone, un tantino ridicolo. Poi, entrò nell’agguerritissimo team di Marcello Dell’Utri, Publitalia. Giocò bene per alcune stagioni fino a entrare in conflitto con il suo coach. Tangentopoli, brutta stagione per il nostro mediano. Da quei giorni un’incredibile rimonta: concessionaria di pubblicità, editoria, quotazione in Borsa. Successo&soldi. Morale: avevo sottovalutato Cairo» (Chiara Beria d’Argentine) • Da Tangentopoli (falso in bilancio) è uscito con un patteggiamento • «Quando è nata Cairo pubblicità non avevo neanche l’ufficio: c’ero solo io, il telefonino e un’idea: mettere in piedi una concessionaria diversa. Più focalizzata: poche cose ma fatte bene. E multimediale, per offire un pacchetto completo» • L’acquisto del Torino è avvenuto alla fine del campionato 2004-2005. La squadra aveva conquistato la serie A, ma una fidejussione del proprietario Cimminelli risultò fasulla. Ergo: fallimento e titolo sportivo a disposizione di chi lo voleva. Rintuzzato il tentativo di un imprenditore laziale, Luca Giovannone, probabile prestanome di Claudio Lotito, Cairo - sostenuto pienamente dal sindaco, dalla Stampa e dai tifosi - riuscì a rifondare la società • «Sono da sempre un tifoso del Toro. Mi è costato molto più di quello che mi avevano prospettato in un primo tempo» (24 milioni di euro invece di 7)» • Il 2006, secondo un’analisi di Vittorio Malagutti dell’Espresso, non è stato per Cairo un anno felice: ha rinunciato alla costruzione di un prodotto concorrenziale con le Pagine gialle (sei milioni di perdita, 200 persone mandate a casa e una causa in corso con la Seat che accusa due dirigenti passati a Cairo di aver trafugato documenti), ha anche rinunciato - di fatto - alla pubblicazione del quotidiano popolare tante volte annunciato e indotto quindi Gianni Vallardi, che era stato assunto apposta, a trasmigrare in Mondadori, ha perso quota in Borsa (dai 54 euro per azione di inizio 2006 ai 37 euro di fine agosto) • Da giovane giocava a calcio: «Scuola Pro Sesto e un titolo lombardo under 21 nella Milano Gomme. Ero un “veneziano”, un’ala destra dribblomane. Mi ispiravo a Claudio Sala, il Poeta del Toro dello scudetto 76, e mi piaceva Rivera del Milan» • Sposato in seconde nozze con Mali Pelandini, quattro figli (il primo dal primo matrimonio). Fonte: Frammenti Testo Frammento FRAMMENTO DEI FRAMMENTI CHE RISPONDONO ALLA VOCE ”CAIRO, Urbano” 2010 • Per Urbano Cairo è un momento da lacrime e sangue. Dopo aver ripianato lo scorso anno le perdite con un finanziamento soci, il presidente ha di nuovo messo mano al portafogli per chiudere l’esercizio. La serie B è un incubo a tutti i livelli (sportivo, economico e d’immagine): in serie A le perdite furono «solo» di 3,89 milioni (nel 2007) e 3,84 milioni (nel 2006). Fonte: Gianluca Oddenino, La Stampa, 28/4/2010 • Ora che Urbano Cairo, patron granata, ha svelato i suoi umori, resta da capire se il passaggio di consegne potrà verificarsi e, se sì, in quali tempi e, soprattutto, a quali condizioni. Il Toro in vendita è la fotografia di una società penalizzata da più fattori, sportivi e non. [...] Il rumore dell’uscita di Cairo è forte ma, al momento, senza conseguenze. Voci e indiscrezioni si intrecciano, però alla porta dell’editore milanese non ha bussato nessuno. Non ancora almeno. [...]. «L’aspetto patrimoniale è determinante per poter fare una valutazione del reale valore di un club di calcio. Se è vero - continua il professor Frau - che Cairo non è in possesso della sede sociale, del centro di allenamento, di quello del settore giovanile senza contare l’assenza di uno stadio di proprietà, sul mercato il club granata si presenta non proprio in maniera appetibile...» [...] Cairo ha parlato chiaro e, leggendo fra le righe, sembra aver fissato anche in 30 milioni (i soldi da lui investiti nel club) la cifra intorno alla quale poter aprire una potenziale trattativa. Alla squadra [il compito] di riportare il Toro sotto i riflettori perché, oggi, il rumore delle parole di Cairo ha l’effetto di sgonfiarsi non appena incontra il mercato. Fonte: G.Buc., La Stampa 27/2/2010, pagina 43 • Vedi sch. 200106 sIntervista a Cairo sulla vendita del Toro Fonte: Massimo Gramellini, La Stampa 26/2/2010, pagina 43 • IL CALCIO, LA VERA GRANA DI CAIRO (riassunto) - Gli esercizi del Torino Calcio dal 2005 al 2008 si sono chiusi con una perdita complessiva di 13 milioni di euro e per il 2009 la perdita dovrebbe essere peggiore, causa la retrocessione in Serie B, con un passivo di 15 milioni. «Di qui a giugno devo tirar fuori una dozzina di milioni di euro per i costi di gestione, a fronte di incassi molti bassi» si è lamentato il presidente Urbano Cairo, che anche per 2010 prevede un forte rosso in bilancio. Il Torino nel 2008 ha avuto ricavi per 59,2 milioni di euro. Di questi 7,6 milioni derivano dagli incassi di abbonamenti e biglietti da stadio, oltre 10 dagli sponsor e 28,6 dai diritti radiotelevisivi. Sul fronte costi, solo i salari e i premi ai giocatori della prima squadra superano i trenta milioni di euro. Da quando Cairo ha assunto la presidenza del Torino, nel 2005, l’indebitamento della società è passato da 8,9 a 52 milioni nel 2008. Il gruppo Cairo Communication, da cui il presidente granata prende i fondi per i suoi investimenti calcistici, fattura 255 milioni di euro, con 12 milioni di utili (dati 2008). Fonte: da Claudio Plazzotta, ItaliaOggi 08/01/2010 • «Una società che riparte da zero - disse Cairo agli albori del suo arrivo -, ha bisogno di investimenti importanti. Non me la sento di chiedere ai tifosi di rimetterci dei soldi ogni anno. All’inizio preferisco che mi sostengano con gli abbonamenti allo stadio. Poi ne riparleremo con piacere». Fonte: Gianluca Oddenino, La Stampa 23/12/2010 2009 • «Prendere il Toro a zero lire. Quella squadra, non fosse fallita, aveva giocatori di livello: Quagliarella, Acquafresca, Balzaretti, i primi nomi che mi vengono in mente. Ecco, oggi saremmo l’Udinese. E invece...». (L’errore di Urbano Cairo secondo il critico tv Aldo Grasso, tifoso granata) Fonte: Stefano Lanzo, ”Tuttosport” 20/7/2009; • «E poi Urbano Cairo. Sembra Napoleone. Sta sempre sul Waterloo. Una sfortuna nera con i presidenti. E’ mancato solo Al Capone. Cairo almeno ci ha salvato dalla bancarotta» Piero Chiambretti parlando del suo Bologna Fonte: Giancarlo Dotto, La Stampa 08/06/2009 • Diva e donna dell’editore Urbano Cairo perde un altro 6% Fonte: Marco Capisani, Italia Oggi 20/5/2009 • Scaramanzie. Il numero uno granata in fatto di scaramanzia è Urbano Cairo. Il presidente ha modificato il rituale della visita alla squadra del giovedì, che durava da tre stagioni, da quando ha capito che l’incontro con Camolese al mercoledì era meglio. In più ora è costretto a fermarsi anche a dormire il sabato sera a Leinì ripetendo le stesse chiacchierate con il ds Foschi. Dolci obblighi per un patron che custodisce nell’armadio il gessato portafortuna (con annessa cravatta). Fonte: ?? ?, La Stampa 9/5/2009 • Vedi Sch. 170569, 170321 su Mr. X Raffaele Ciuccariello che vuole acquuistare il Toro di Cairo 2008 • Chiudono la graduatoria dei primi sette il polo editoriale di Urbano Cairo e quello di Andrea Riffeser Monti. Cairo ha conti molto sbilanciati sul fronte pubblicitario: in particolare, il fatturato che gli deriva dalla tv (ovvero quasi esclusivamente la raccolta di La7) è di circa 91 milioni su 191 milioni di ricavi. Fondamentale, quindi, il rinnovo della concessione per la raccolta di La7, in scadenza il prossimo dicembre, al quale in queste ore si sta lavorando con i vertici di Telecom Italia Media. Indiscrezioni darebbero Cairo interessato, eventualmente, anche a qualche testata Rcs, nel caso in cui l’a.d. di via Rizzoli, Antonello Perricone, decidesse di alleggerire il gruppo di qualche settimanale o mensile con i conti in rosso. Fonte: Claudio Plazzotta, ItaliaOggi 18/11/2008 • Il presidente del Torino, Urbano Cairo, qualche grattacapo in più ce l’ha. Il titolo della sua Cairo Communication ha perso il «solito» 50 per cento nell’ultimo anno, ma in questo caso si sono ristretti anche gli utili, scesi a 4,6 milioni dai 7,2 dello scorso anno. Il caso più clamoroso è però quello di Roma. Fonte: Gianluca Paolucci, La Stampa 8/10/2008, pagina 8 • «Siamo degli imprenditori ma non riusciamo a chiudere i bilanci in attivo. In alcuni casi ci rimetti pure e allora capisco chi si domanda se ha un senso continuare. Dobbiamo fronteggiare l’aggravio dei costi. Negli ultimi anni abbiamo pagato di tasca nostra per mettere a posto gli stadi e oltre a questo c’è il problema degli stipendi dei giocatori. Io li rispetto ma sono una categoria troppo tutelata. Se non hanno spazio in una squadra rifiutano le offerte e devi pagarli ugualmente, se fanno bene ti vengono subito a chiedere un ritocco d’ingaggio. Però nessuno ti rende un euro se accade il contrario». (Urbano Cairo, patron del Torino) Fonte: Laura Bandinelli, "La Stampa" 5/9/2008; • Il braccio destro di Bernabè ha detto che il palinsesto andrà modificato in senso nazional-popolare e che i contratti per la raccolta pubblicitaria con Urbano Cairo saranno ridiscussi: ”Se ha soldi da buttare nel Torino calcio, allora guadagna troppo” Fonte: Vittorio Malagutti, ”L’espresso” 19/6/2008 • «Io volevo comprare Bianchi per fare un regalo alla curva, perché i tifosi me l’hanno chiesto a gran voce. Siamo terz’ultimi, la classifica è ingiusta ma ho capito che qualcosa andava fatto. [...] Voglio dire che vive sulla rendita dello scorso ottimo campionato. Prendere un giocatore a gennaio è sempre un rischio». (Il mancato arrivo al Torino dell’ex bomber della Reggina secondo il presidente Urbano Cairo) Fonte: "La Stampa" 24/1/2008; 2007 • Matrimonio: Matrimonio della parlamentare padana Carolina Lussana da Bergamo con il deputato Udc Giuseppe Galati. Tra gli invitati il presidente del Torino Urbano Cairo. Fonte: Marco Cremonesi, Corriere della Sera 24/9/2007 • «Dopo quella promozione centrata al primo colpo viaggiavamo tutti 3 metri sopra terra, ci sembrava di aver capito tutto del calcio. Invece no, questa non è una scienza esatta». (La stagione del Torino secondo Urbano Cairo) Fonte: Roberto Condio, ”La Stampa” 7/6/2007; • Vedi Sch. N. 132733 Lettera a Gramellini Fonte: Urbano Cairo La Stampa 7/3/2007 2006 • «Sono convinto che nel calcio esistano le bandiere come Del Piero, e quelle sono intoccabili, tutti gli altri sono cedibili» (Urbano Cairo). Fonte: Lorenzo Astori, ”La Gazzetta dello Sport” 6/8/2006; • PADOVANO Michele. [...] era entrato come direttore sportivo nel Torino rilevato dall’imprenditore ciociaro Luca Giovannone, che ha dovuto cederlo all’editore Urbano Cairo per la sollevazione dei tifosi [...]» Fonte: Edoardo Girola, ”Corriere della Sera” 11/5/2006 • «Bisogna creare giocatori, investire nel vivaio e scovare talenti. In Africa, per esempio. Il football di oggi è tecnica più forza e i calciatori africani assommano queste caratteristiche» (Urbano Cairo). Fonte: Sebastiano Vernazza, ”La Gazzetta dello Sport” 8/3/2006; • Giusto un anno fa a un pranzo a Milano il petroliere Gian Marco Moratti, figlio maggiore del presidente della grande Inter, Angelo e suo braccio destro in quella felice avventura, paternamente consigliava il più giovane imprenditore, Urbano Cairo, già a quell’epoca tentato da alcune offerte, di tenersi lontano dal «complesso» mondo del calcio. Passione, visibilità. Cairo, come del resto il minore dei maschi Moratti, Massimo, non ha dato retta al vicepresidente di Confindustria. Ripensavo a quella conversazione guardando in televisione le immagini di Urbano Cairo che saluta la folla di tifosi del Toro dal balcone del municipio di Torino. Auguri a lui e a una squadra che merita (lo dico da juventina) un futuro grande tanto quanto il suo passato. Il Torino acquista un presidente che non molla mai l’osso. Per un caso, vent’anni fa, ho conosciuto il futuro editore e patron granata. Andò così: nella ricca Milano, inizio anni Ottanta, mi chiesero di scrivere un’inchiesta sugli yuppie nostrani. Non ricordo chi, tra altri nomi, mi segnalò un bocconiano di bella speranza che faceva da assistente-segretario all’imprenditore più innovativo del momento, Silvio Berlusconi. In città si diceva che Urbano Cairo era tra i pochissimi a condividere la vita quotidiana del suo capo, nella palazzina di via Rovani, dove allora abitava anche la futura moglie e first lady, Veronica Lario. Un rapporto di fiducia totale che Cairo non ha mai tradito. Entusiasta mi raccontò come era arrivato a Berlusconi sfiancandolo di telefonate e la fortuna di lavorare accanto a un simile personaggio. Anche sotto la doccia mi confessò (anni dopo però l’ha negato) ripensava agli insegnamenti del suo maestro. Una spugna. Travolta da cotanta ammirazione ammetto che giudicai il giovane Cairo un aspirante clone, un tantino ridicolo. Poi, entrò nell’agguerritissimo team di Marcello Dell’Utri, Publitalia. Giocò bene per alcune stagioni fino a entrare in conflitto con il suo coach. Tangentopoli, brutta stagione per il nostro mediano. Da quei giorni un’incredibile rimonta: concessionaria di pubblicità, editoria, quotazione in Borsa. Successo&soldi. Morale: avevo sottovalutato Cairo. Sulle orme di Berlusconi adesso è sceso in campo. Di calcio, per ora. Chissà mai cosa gli avrà consigliato il suo campione del cuore, Berlusconi. Doccia. Chiara Beria d’Argentine Fonte: La Stampa 08/09/2005, pag.25 Chiara Beria d’Argentine • Urbano Cairo, alessandrino, figlio di tifosi granata, già assistente di Berlusconi, ora editore in proprio. Cairo che compra il Toro è come Briatore che traduce l’ Iliade, la Estrada che recita Shakespeare, Jovanotti che canta la Traviata: un uomo nuovo che scala una leggenda secolare al passo svelto e lieve dei nostri tempi [...] se entro la mezzanotte di martedì non verserà almeno 5 milioni di euro, il Toro andrà a Cairo; altrimenti non potrà più sfuggirgli. Fonte: Corriere della Sera 28/08/2005, pag.6 Aldo Cazzullo • «Quelli del Toro devono smetterla di buttarsi giù. Negli ultimi trent’anni abbiamo vinto appena uno scudetto in meno dell’Inter...» (Urbano Cairo). Fonte: Massimo Gramellini, ”La Stampa” 19/8/2005; • L’editore Urbano Cairo, in procinto di acquistare il nuovo Torino, dice che punterà sulla «razza torinese»: « speciale, grazie agli incroci avvenuti negli ultimi decenni con gli immigrati dal Sud. Una razza nuova, forte. Quanta gente c’è a Torino e dintorni? Due milioni? Togliamo gli anziani, gli adulti, le ragazze e chi non è portato per il calcio. Restano almeno ventimila giovani su cui lavorare ogni anno. Vuole che uno ogni diecimila non diventi un giocatore da Toro?». Fonte: Massimo Gramellini, ”La Stampa” 19/8/2005; • «Quando ho sfondato nel mercato dei settimanali popolari con Dipiù, sui giornali mi dedicarono un trafiletto. Mentre è bastato che decidessi di comprare il Torino ed ecco un’intervista di 300 righe» (Urbano Cairo). Fonte: Massimo Gramellini, ”La Stampa” 19/8/2005; dagospia 20/2 IL DUPLEX BERNABÈ-CAIRO PER FAR FUORI SPOSITO Che la vendita de "La7" diventasse un caso politico l’aveva capito perfino quel sito disgraziato di Dagospia, e ieri puntualmente è arrivata la conferma. Un giorno si capiranno tutte le ragioni che hanno indotto Franchino Bernabè a dare un colpo di acceleratore sulla vendita della controllata di TelecomItalia. Tra queste dovrebbe emergere la pressione fortissima che su Franchino è stata esercitata dagli spagnoli di Telefonica che nel consiglio di amministrazione di lunedì sera a Milano gli hanno chiesto imperiosamente di liberarsi della zavorra televisiva. Da quanto si è appreso il manager di Vipiteno è stato messo alle corde dagli uomini di Cesar Alierta, gli stessi che ieri si sono riuniti con gli altri soci di Telco per decidere la svalutazione delle loro partecipazioni in Telco, la scatola che controlla l’azienda di Bernabè. Finora questi formidabili soggetti, tra cui bisogna annoverare Mediobanca, Intesa, Generali, hanno perso 2,3 miliardi di euro ai quali bisogna aggiungere 818 milioni volati via nel primo semestre. È chiaro che anche il più ricco magnate si sarebbe incazzato di fronte alla prospettiva di perdere ulteriori quattrini per tenere in piedi il baracchino de "La7" ed ecco allora spuntare dal cilindro consunto di Bernabè l’offerta di Urbano Cairo, che ha letteralmente spiazzato quella del detestato Claudio Sposito, l’uomo che dal 2003 guida il fondo Clessidra. Se gli spagnoli si sono incazzati per il tempo e i soldi persi dentro Telco e "La7", Sposito è andato letteralmente fuori dai gangheri e con una serie di telefonate a Bernabè ha cercato di rilanciare la sua offerta rispetto a quella dell’editore patron della squadra di calcio torinese. Il gol però lo ha fatto quest’ultimo ed è un gol mirabile dal punto di vista finanziario, una fucilata alla Totti che come nel caso dell’ultima partita del Pupone, è stata favorita dai varchi generosi aperti da Franchino Bernabè. In pratica "La7" è stata ceduta al valore simbolico di un euro, ma ciò che più conta è la dote che Cairo ha ricevuto da Franchino per mettere il cappello sull’emittente. Con la cancellazione dei 260 milioni di debiti finanziari di TelecomItalia Media, la holding che ha in pancia "La7", Franchino, che si tiene una rete (MTV) che perde quest’anno 15 milioni, consegna nelle mani di Cairo un tesoretto cash di 90 milioni. Come non bastasse Telecom sembra che si sia impegnata a prendersi in carico parecchie decine di persone che lavorano a "La7" (si parla di un centinaio) e a garantire a Cairo un vistoso pacchetto di pubblicità aziendale. A questo punto si capisce l’euforia dell’editore piemontese che assicura di concludere l’operazione entro giugno e non prende nessun impegno sui manager che attualmente gestiscono la televisione. Questo freddezza è rivolta anche nei confronti di Enrichetto Mentana che Cairo definisce "un gran bravo giornalista" e al quale dovrebbe rivolgere l’invito a non parlare ogni sera nel suo telegiornale con l’aria del padrone che ha sistemato le cose in nome dell’indipendenza e del pluralismo. dagospia 20/2 Esplode la polemica sulla vendita del canale la cui forza è il numero sul telecomando. "Pd-Pdl, è già lite su La7. Bersani: vigili il Garante. Berlusconi: siete mafiosi. E Cairo rassicura: "Terrò le professionalità migliori". "Il presidente del Toro rischia l’autogol. Il suo impero può andare in rosso fisso" (Repubblica, p. 10). "La7, scontro Berlusconi-Bersani. Il leader Pd: ‘Occorre una rilettura dell’Antitrust’. L’ex premier: suona come un ‘avvertimento mafioso’" (Stampa, p. 6). Il Corriere di Mediobanca e Intesa, azioniste di Telecom, prova a smorzare i toni: "La7 in vendita è un caso politico. La trattativa si chiude dopo il voto, il confronto tra i soci sul’acquirente" (p. 5). Ma se davvero il Biscione non c’entra con Cairo, perché Berluska lo difende? dago 19/2 Giu’ anche Telecom (-0,40%) e la controllata TiMedia (-9%), che ieri hanno deciso di trattare in esclusiva con Urbano Cairo per la vendita di La7. Decisione che ha premiato Cairo Communication (+12,4%). Sul mercato dei cambi, l’euro resta stabile a 1,3366 dollari Da "Repubblica.it" 19/2 La decisione del consiglio di amministrazione di Telecom di concedere l’esclusiva a Urbano Cairo per concludere la vendita de La7 tiene banco da Piazza Affari al dibattito politico. Se sul primo versante il mercato reagisce con freddezza alla decisione, sostanzialmente bocciandola, sul secondo sale la temperatura e si registra un botta e risposta piccato tra Pier Luigi Bersani e Silvio Berlusconi. la7la7 LA VENDITA ACCELERATA. Da più parte si è in passato sottolineato come fosse una scelta complicata in un momento difficile, proprio perché arrivava a ridosso delle elezioni e riguardava un’azienda importante come Telecom e una televisione ormai centrale nel panorama italiano. La decisione di procedere con la vendita giocando in anticipo rispetto alle elezioni - e quindi alla formazione del nuovo governo - è stata giudicata quantomeno controversa. LA POSIZIONE DEL LEADER PD. Secondo Pier Luigi Bersani, interrogato sulla vicenda nel corso di un forum del Corriere, "siamo in una settimana cruciale e io tendo a ragionare come se fossi già al governo. Devo preoccuparmi che le decisioni vengano prese senza conflitti di interesse, senza costruire in modo diretto o indiretto posizioni dominanti, e in una prospettiva di lavoro. C’è un tavolo delle regole e c’è un tavolo industriale", ha proseguito Bersani. "Non so se Cairo è collegato a Mediaset. Ci sono delle autorità che si occupano di queste cose - ha aggiunto il segretario Pd - ma chi governa è amico di tutti e parente di nessuno". BERLUSCONI ALL’ATTACCO. Immediata la replica del numero uno del Pdl: "Non ho rapporto con Urbano Cairo, che per alcuni anni è stato mio assistente poi è diventato un imprenditore in proprio ed è diverso tempo che non lo sento", ha spiegato cercando di smorzare la sua vicinanza al probabile acquirente de La7. L’ex presidente del Consiglio, da navigato imprenditore dei media, ha spiegato che "in questo momento non ci sono affari in editoria perchè con la crisi c’è stato il calo della pubblicità intorno al 20%: non c’è azienda in Italia che produca utili", ha detto annunciando per il 2012 il primo bilancio in perdita di Mediaset. Il Cavaliere ha lanciato poi un affondo a Bersani, dicendo che "su La7 ha mandato un messaggio, fra virgolette, mafioso dicendo ’aspettate a vendere perché se andrò al governo La7 varrà di più". Berlusconi ha reiterato il concetto dicendo che "c’è il vecchio vizio della sinistra di essere minacciosa con gli avversari". CONTROREPLICA. Spostatosi a Busto Arsizio (Varese) per un incontro del partito, Bersani ha di nuovo replicato: "Non si può dire niente che subito si offende. Le regole gli fanno venire l’orticaria". I leader Pd ha ricordato di "non avere neanche nominato Berlusconi e La7. Ho parlato di regole che riguardano eventuali conflitti di interesse e posizioni dominanti e che quindi il governo e le Authority devono avere gli strumenti per vedere che ogni operazione sia a posto su questi due criteri". LA REAZIONE DI BORSA. Mentre lo scontro passa dal campo industriale e a quello politico, in ambito finanziario le azioni di Telecom Italia Media, la società controllata dalla compagnia di Tlc cui fanno capo La7 ed Mtv, oltre che tre multiplex, dopo un lunedì in forte rialzo (concluso con un rally di oltre il 10%) soffrono a Piazza Affari. A deludere gli investitori è stata la decisione del cda della controllante, arrivata nella serata di ieri. LA DECISIONE DI TELECOM. Sul tavolo del board, riunito per la verità solamente un paio d’ore, è finito come d’attese il dossier della vendita della controllata. La decisione è stata di affidare un’esclusiva alla Cairo Communication dell’editore e concessionario pubblicitario Urbano Cairo - l’uomo specializzato nei periodici che ha avviato la sua carriera come assistente di Berlusconi. Sono così state scartate sia la proposta di Clessidra - che era sì più alta economicamente ma comprendeva anche il passaggio dei proprietà dei multiplex, la vera componente redditizia del pacchetto in vendita esclusa dalla proposta di Cairo - sia la mossa in extremis di Diego Della Valle, che chiedeva tempo per perfezionare un’offerta in cordata con altri imprenditori italiani. Diego della valleDiego della valle FESTEGGIA CAIRO. Tra l’altro proprio in seno al cda della controllata sarebbero state espresse delle perplessità sulla decisione, ma ha finito per imporsi la volontà della controllante. Di tutti i titoli coinvolti, a gioire maggiormente è Cairo Communication, che secondo quanto dichiarato da Cairo stesso in un colloquio con il sito del quotidiano MF punta a chiudere l’operazione "entro il primo semestre dell’anno, se non prima". Piatta invece in Borsa Telecom. Quanto a Della Valle, la sua reazione di ieri è stata improntata al fair play, termine calcistico adeguato visto che sia lui che Cairo sono impegnati attivamente in Serie A, rispettivamente a Firenze e sulla sponda granata di Torino. "Prendiamo atto della decisione, volevamo tentare di costruire un nuovo modello di società che coinvolgesse professionisti che lavorano a La7 per sviluppare un polo coerente con i principi di salvaguardia dell’indipendenza dell’informazione", ha detto l’imprenditore marchigiano, auspicando "che questo avvenga comunque, il Paese ne ha sicuramente bisogno". La consolazione arriva oggi dalla sua Tod’s, ben intonata a Piazza Affari e tra i migliori del Ftse Mib. Probabilmente al mercato piace un Della Valle concentrato sulle scarpe di alta qualità, e comunque gli analisti di Nomura - pur indipendentemente dalle vicende La7 - hanno portato il giudizio su Tod’s a "neutral" dal precedente "reduce", con prezzo obiettivo innalzato da 94 a 112 euro. 1 - LA SCARPATA ALLO SCARPARO Che cuore d’oro, lo scarparo di Casette d’Ete. Anche se si era svegliato un po’ tardi, voleva inserirsi nella vendita di La7 per fare Telesogno con Santoro e Mentana al posto di Costanzo. E lui, editore illuminato e liberale, si sarebbe accontentato di una bella moviolona domenicale per analizzare i rigori non dati alla sua Fiorentina. Insomma un piccolo Berlusca disinteressato. Ma si è mosso prima l’altro piccolo Banana, Urbano Cairo, anche lui proprietario di una squadra di calcio (il Torino) ed ex amato segretario del Cavaliere. Anche se lui oggi racconta che ne fu licenziato nel ’95. Ma non è il calcio il punto. Alla fine, sta vincendo Cairo, che ha l’esclusiva per le trattative. E il suo elemento di forza, come dagoscritto mille volte, oggi non viene evidenziato: Cairo ha già in tasca da tempo l’esclusiva della pubblicità fino al 2019. Insomma, se regalo scandaloso c’è, non è quello di oggi. Ma quel contratto di lunghezza spropositata firmato da Cairo con il Canaro Stella. Poi uno dice: vince Cairo. E certo, chi è che ha in mano le bombole d’ossigeno per la chic-tv? E ora vai con il piombo quotidiano. "La spunta l’allievo di Berlusconi. Segnale a poche ore dalle elezioni. L’editore: hanno perso 100 milioni l’anno, posso salvarli" (Repubblica, p. 11). Protesta il Fatto Santoriano: "Telecom regala La7 a Cairo. Ora Berlusconi ha quattro tv" (p. 1) Mitraglia Mentana si fa intervistare dal Corriere e mette le mani avanti: nessun problema a lavorare per Cairo, tecnicamente editore puro, ma "la vera sfida è l’indipendenza da Mediaset" (p. 28). Mentre Cairo, presidente del Torino, sceglie la Stampa: "Niente tv berlusconiana. Tengo tutti i giornalisti. Da Mentana a Santoro" (p. 26). Gran cautela sul Giornale di Berlusconi, che registra la faccenda in modo neutro: "La7, Cairo vince la gara, Telecom tiene le reti. Della Valle: "Prendo atto" (p. 22). I sospetti degli altri giornali convincono poco, ma certo che se uno si legge il pezzo del Giornale, così pacato e minimalista, qualche dubbio su un colpaccio di area Biscione viene. Aspettiamo di vedere il calciomercato tra Milan e Torino. Giovanni Pons per "la Repubblica" 14/2 Il gruppo Ti Media sta per finire sotto il controllo del Fondo Clessidra, fondato dall’ex amministratore delegato di Fininvest Claudio Sposito. La vendita da parte di Telecom Italia doveva già avvenire giovedì scorso, quando il cda aveva esaminato le offerte vincolanti giunte al termine di un processo partito nel giungo 2012. E, a quanto si apprende ora, la maggioranza dei consiglieri si era già espressa a favore della proposta di Clessidra preferendola a quella di Cairo Communication. Ma alla fine, al momento della votazione, è arrivato il colpo di scena inaspettato. Il presidente Franco Bernabè ha chiesto ai consiglieri di amministrazione espressione di Intesa Sanpaolo e Mediobanca una dichiarazione scritta del loro conflitto di interessi ai termini della legge Vietti del 2003. Intesa è ufficialmente, insieme alla Merrill Lynch, l’advisor finanziario di Clessidra, il potenziale compratore. E Mediobanca invece ha assistito la stessa Telecom in tutta la procedura di vendita, sempre nel ruolo di advisor. Nel momento in cui dovevano votare nella veste di azionisti Telecom, sia Intesa che Mediobanca potevano dunque essere in conflitto, ma dovevano dichiararlo e il cda avallare la votazione con una motivazione scritta. Di fronte alla richiesta di Bernabè, Gaetano Miccichè, Elio Catania, Renato Pagliaro e Tarak Ben Ammar hanno preferito prendere tempo. Probabilmente per consultare i loro legali. Fatto sta che il giorno dopo, venerdì, a Bernabè è stato chiesto di riconvocare il cda che ora è in programma per lunedì 18. Se il problema dei conflitti di interesse verrà superato, l’aggiudicazione a Clessidra sarà scontata, a meno che non arrivi all’ultimo momento un’altra offerta vincolante dalla cordata che Diego Della Valle sta cercando di mettere insieme. La scelta di vendere Ti media e La7 a Clessidra ha una doppia motivazione, economica e politica. Dal punto di vista finanziario permette a Telecom di abbassare il debito consolidato di 80-100 milioni, di evitare perdite future ed aumenti di capitale. Il beneficio complessivo per Telecom sarebbe un miglioramento del rapporto debito/ebitda di circa 220 milioni. Risultato che non fa certo male in un momento in cui il gruppo telefonico ha i riflettori delle agenzie di rating puntati addosso per un declassamento del credito (già arrivato da parte di Moody’s). Nello stesso tempo, sul piano politico, la scelta toglie dalle spalle delle banche una grana politica favorendo comunque il centro destra di Berlusconi che è più vicino ai nuovi acquirenti. In mano a Sposito sarà ben difficile che il polo tv possa adottare una politica commerciale aggressiva tale da intaccare il target pubblicitario difeso a spada tratta da Mediaset e da Berlusconi. Bernabè ha tentato fino all’ultimo di evitare questo esito, invocando il valore della libertà per La7 e mettendo anche a repentaglio i suoi rapporti con gli azionisti, ultimamente molto tesi. La priorità data agli investimenti industriali di Telecom a scapito dei dividendi ormai ridotti ai minimi termini, il calo subìto dal titolo e i dubbi sullo scorporo della rete stanno convincendo gli azionisti che un cambio del management sia necessario. Mediobanca, Intesa e Generali necessitano di una gestione più finanziaria e si stanno preparando, nel dopo elezioni, a buttare nella mischia un tandem formato da Lorenzo Pellicioli e Paolo Bertoluzzo (oggi ad di Vodafone Italia). Una coppia in grado di fare l’accordo con la Cdp sulla rete scaricando l’onere degli investimenti industriali in parte sul colosso statale. Il titolo Telecom verrebbe rivitalizzato con operazioni di finanza straordinaria che hanno sempre contraddistinto la gestione di Pellicioli, dalla Seat a Lottomatica a GTech, con fortune alterne. 2- SULLA CESSIONE DI LA7 E’ GUERRA TRA I POTERI FORTI Marcello Zacché per "il Giornale" 8/2 Sostiene Antonio Ingroia che Telecom debba «aspettare l’esito elettorale prima di decidere sulla vendita di La7, perché noi in Parlamento presenteremo un provvedimento sul conflitto di interessi». Dice Gad Lerner che «Telecom non ha nulla da guadagnare dalla vendita di La7». Gad LernerGad Lerner Proclama Urbano Cairo che «se venderanno La7 a me, Mentana e Santoro saranno inamovibili ». Twitta Enrico Mentana che sia Cairo, sia l’altro pretendente a La7, Claudio Sposito, «han voluto vedermi per dire "per voi nulla cambia"». Ce n’è abbastanza per capire bene che la vendita del settimo tasto del nostro telecomando, a 15 giorni dalle elezioni, diventa un caso nazionale. Questo è solo un mini campionario delle prese di posizione registrate ieri sulla cessione di La7, proprio nel giorno in cui i consiglieri di Telecom (che controlla la tivù tramite TiMedia) sono stati riuniti fino a tarda sera, per poi rinviare la decisione sulla vendita a un prossimo cda. Mentre uscivano, impietosi, i numeri preliminari del bilancio 2012 di Ti-Media, con il margine operativo lordo negativo per 45 milioni, in picchiata del 72% contro i positivi 27 del 2011 a causa del calo del 6,7% dei ricavi e del 3,5% della pubblicità; e con l’aumento del debito di ben 121 milioni, a quota 260. ANTONIO INGROIA CON IL SIMBOLO DELLA SUA LISTAANTONIO INGROIA CON IL SIMBOLO DELLA SUA LISTA Il tutto per un audience che nel 2012 è addirittura calata: 3,47% la media annua contro 3,85% del 2011. Anche se il primo mese 2013, con il 4,11%, fa ben sperare (è però l’effetto Berlusconi-Santoro, che con una sola sera al 33% ha alzato la media di un anno intero). La durata della riunione, oltre 7 ore, ha fatto pensare a una decisione strasofferta. E puntualmente, come il Giornale ha più volte ribadito in queste settimane, la cessione è stata di nuovo rinviata. Per tanti motivi: basta pensare ai personaggi di cui sopra per rendersi con-to di quanti interessi e pezzi da novanta dell’informazione (schierata) televisiva siano coinvolti dal passaggio di proprietà del canale tivù di Telecom. URBANO CAIROURBANO CAIRO Ed è proprio uno di loro, Lerner,che nell’intervista di ieri al Fatto sintetizza la situazione. Come è noto a spingere per la vendita sono i grandi soci di Telecom (Generali, Mediobanca, Intesa), mentre il presidente del gruppo, Franco Bernabé, frena. E Lerner spiega il perché: «C’è una guerra di potere intorno a Bernabé che in generale scontenta il nocciolo degli azionisti e in particolare è accusato di aver gestito la tv come strumento personale di navigazione nell’establishment». santoro-mentanasantoro-mentana Ed è esattamente così. Quello che Lerner non dice è che è egli stesso rappresenta una delle armi di questa operazione. Tanto quanto Mentana. Non a caso ai due non garba affatto la cessione di La7, né più né meno che a Bernabé. Dice ancora Lerner sui soci di Telecom: «Sono confusi, i loro interessi sono di portata più ampia, la rete tlc e Tim Brasil. La7 è una briciola. Mi piacerebbe vedere il presidente di Mediobanca, Renato Pagliaro, premere per la vendita della sua quota nel Corriere della Sera, che perde più di La7». berlusconi, santoroberlusconi, santoro Mentana, invece, riferendosi ai possibili compratori, cinguetta che «nessuno dei due avrebbe interesse a rovinare quel che rende». Anche se a vedere i conti 2012 non si direb-be. Si vedrà. Di certo Bernabé è stato molto abile a portare l’operazione fino alla vigilia delle elezioni, rendendola più difficile che mai. E ventilando, come avrebbe fatto ieri in cda, anche l’ipotesi che dopo le elezioni arrivino nuovi acquirenti. Avendo dalla sua anche l’ar-gomentazione forte di offerte finora insoddisfacenti. O addirittura negative come quella di Cairo, che chiede una dote di 100 milioni. «Un piccolo aiutino- sono parole sue - per met-tersi sulle spalle quel gigante d’argilla». Andrea Montanari per MF-Milano Finanza 8/2 Diciamola tutta: il vero obiettivo degli acquirenti di La7, tv che seppure di prestigio grazie ai suoi anchorman perde oltre 100 milioni a causa degli elevati cachet (200 milioni il costo del palinsesto nel 2012) è proprio il numero 7. Quel tasto nella prima decina del telecomando, subito a ridosso dei canali Rai e Mediaset, fa gola a tanti, forse tutti i broadcaster. la7la7 Non per nulla in tempi non sospetti si erano mossi dapprima Carlo De Benedetti con il gruppo L’Espresso che ha una tv digitale che fatica a decollare e poi il colosso Usa News Corp, leader della pay tv in Italia con Sky. Al tycoon Rupert Murdoch interessava scalare le gerarchie nel digitale terrestre gratuito e portare il suo unico canale, Cielo (0,74% di share), dal 26 ai primi posti. Carlo De BenedettiCarlo De Benedetti Stesso discorso per l’altro big d’Oltreoceano, Discovery Channel (share complessivo 2,92% per i suoi canali sparsi nell’etere), che era pronto a metter sul piatto 100 milioni per conquistare La7. Poi però gli americani di Discovery, che prima di tutto guardano i numeri e la redditività delle aziende, hanno scoperto che in Italia vi era un altro player del mercato con i conti a posto e soprattutto profittevole che con emittenti di nicchia era riuscito in pochi anni a conquistarsi il suo spazio fino a superare il 2% di share totale. LOGO DISCOVERY CHANNELLOGO DISCOVERY CHANNEL Così, invece, che proseguire nella lunga ed estenuante e financo più costosa asta per La7, Discovery nel silenzio più assoluto si è aggiudicata per soli 40 milioni la romana Switchover Media, che al 30 giugno scorso fatturava 23,16 milioni con un utile di 4,23 milioni. Adesso il gruppo made in Usa è diventato in men che non si dica il terzo operatore del mercato italiano con uno share complessivo del 5,03% superando di slancio la stessa emittente di TiMedia (3,67%) e la consolidata Sky Italia (4,87%). Urbano Cairo - Copyright PizziUrbano Cairo - Copyright Pizzi A questo punto ci si interroga anche sul reale interesse di un fondo di private equity quale Clessidra che fa dell’irr (il ritorno dell’investimento) il suo mantra e che ha altri grattacapi da risolvere (le partecipazioni in Giochi Preziosi, Moby-Cin, Metalcam e nelle bisarche dei Fratelli Elia). O sul ruolo che potrebbe avere un operatore di nicchia e tutto da scoprire come il Centro Europa 7 di Francesco Di Stefano, che non ha i capitali né la struttura per fare il deal. L’unico che pare avere un vero interesse è Urbano Cairo. Del resto la sua concessionaria raccoglie la pubblicità di La7 dal 2002 e con un contratto blindato fino al 2019 che è fondamentale per i conti della Cairo Communications. - TI MEDIA: MENTANA, SIA CAIRO SIA SPOSITO MI HANNO DETTO ’PER VOI NULLA CAMBIA’ . (Adnkronos) - "Forse oggi Telecom vende La7. Recentemente sia Cairo sia Sposito han voluto vedermi per dire ’Per voi nulla cambia’. E’ anche interesse loro..". E’ quanto ha postato su twitter il direttore del Tg di La7, Enrico Mentana, a proposito della possibile cessione di Ti Media, uno degli argomenti in agenda del consiglio di amministrazione di Telecom Italia di oggi. 4 - L’EDITORE URBANO CAIRO: "VOGLIO FARE MIRACOLI MA CON BERLUSCONI HO ROTTO 20 ANNI FA" Antonello Caporale per il "Fatto quotidiano" 7/2 Urbano Cairo è il più probabile acquirente de La7, e già in queste ore potrebbe divenirne proprietario. I tratti del suo carattere, sempre gioviale, sono a volte rumorosi. È ambizioso, simpatico, alla mano. Creativo il doppio: ha proposto al venditore di finanziargli in parte l’acquisto. Ha ottime amicizie sulle spalle. L’appuntamento con lui è al caffè Sant’Ambreus, dietro piazza San Babila. Urbano Cairo - Copyright PizziUrbano Cairo - Copyright Pizzi "Mi infastidisce quando leggo che sono l’amico di B., il berluschino che tira via La7 alla democrazia per riporla nelle mani del tycoon onnivoro. Va a finire che a furia di dire certe cose ci crediate voi e qualcun altro, perciò sento il bisogno almeno di illustrarvi la mia vita. Io con Berlusconi ho chiuso nel 1995, non l’anno scorso. Sono stato il suo assistente è vero e ho riconoscenza per l’uomo. Lei mi dice: portava a spasso la signora Veronica, le faceva finanche da autista. Ma ha idea di quanti anni sono passati? Giovanni StellaGiovanni Stella E ha idea di cosa è successo dopo? Poi le ricordo che sono stato licenziato da Mondadori (da Tatò più che da Dell’Utri). Licenziato. Mi trovi un intimo di B. che abbia subìto eguale trattamento. E me ne trovi un altro che - da licenziato - si rimbocca le maniche e si mette a costruire da zero la sua impresa multimediale: vendo pubblicità su ogni mezzo di comunicazione, sono editore di un numero elevato di periodici, da quelli più pop a marchi prestigiosi, sono presidente di una squadra di calcio. Mi si accusa che così sembro proprio un piccolo B.? Non posso vietare che anche lei lo pensi, affari suoi. RENATO PAGLIARO E ALBERTO NAGEL DAL CORRIERE jpegRENATO PAGLIARO E ALBERTO NAGEL DAL CORRIERE jpeg Però è falso. Amo la televisione e ancor di più i giornali. Anzi, a dirla tutta mi sarebbe piaciuto fondare un quotidiano. Non ho trovato il giornalista giusto, poi la crisi economica si è messa di mezzo e mi sono arreso all’evidenza. Su La7 non dico nulla di più, non ho alcun titolo e non mi piace parlare del futuribile. Quella televisione ha un palinsesto prestigioso, ma un conto economico difficile. ALBERTO NAGEL E RENATO PAGLIAROALBERTO NAGEL E RENATO PAGLIARO Perciò ho chiesto un piccolo aiutino al venditore per far fronte all’acquisto. Sì, dei soldi. Tolgo a Telecom l’asset più pesante lasciando nelle sue mani il multiplex, dove si fanno i soldi. Mettersi sulle spalle quel gigante d’argilla è un’impresa che necessita ardore e sprezzo del pericolo, una sfida assoluta. A me può riuscire. Come quando comprai la Giorgio Mondadori, o divenni concessionario di due settimanali della Rizzoli. Feci l’offerta non avendo neanche un ufficio, un dipendente. Sentivo che l’impresa mi avrebbe affascinato. E riesco a organizzare i pensieri e le azioni solo camminando. Vede questo aggeggio? È un contapassi. All’autista chiedo di seguirmi, e mentre cammino la mia mente è al lavoro. Ieri ho camminato poco, ma l’altro giorno tre miglia, e il giorno prima una e mezzo, e prima ancora... Se non cammino non penso, se non penso non costruisco. Più dei soldi mi sazia l’ambizione del progetto: vedere cosa ho fatto e cosa riesco ancora a fare. FRANCO TATOFRANCO TATO Non mi voglio misurare con Berlusconi, lui è di un’altra età e ha lavorato in altre condizioni (e se proprio, un tycoon ancora più grande c’è e si chiama Murdoch). Capisco però le assonanze possibili. Ma sono fortuite. Vogliamo parlare del calcio? Ho acquistato il Torino per amore. C’è, è vero, il ricasco pubblico, l’espansione dell’immagine, ma insomma: ho messo 60 milioni di euro nel Toro. Il sentimento costa. Ah, dimenticavo: non ho mai licenziato nessuno. Come? Uso le stesse parole di Berlusconi? Non mi riguarda, sono fuori e lontano dalla sua politica, non mi ha mai visto nei convegni di Forza Italia e non mi vedrà. Non so se venderanno La7 a me, ma penso di sapere esattamente cosa fare, e come. E di poter garantire solidità finanziaria e nessuna ombra sulla linea editoriale: Mentana e Santoro per me sono inamovibili. E lo dovrebbero essere per chiunque la compri. A La7 mi conoscono, gli vendo la pubblicità. Quando sono arrivato i ricavi erano fermi a 40 milioni di euro; con me sono saliti a 160. Ah Stella, l’ex amministratore delegato che ha impugnato il contratto, per due volte lo ha sottoscritto. E mi sento di dire che con Urbano Cairo hanno ricevuto molto oltre il prevedibile e solo grazie al fatto che ho garantito e raggiunto performance straordinarie. L’ho fatto perché Urbano Cairo pensa a come far crescere la sua azienda e come dar filo da torcere alle altre, si chiamassero un domani pure Mediaset. Non mi sembra però tantissimo convinto. S’è fatto tardi, buonasera". rano tratto dall’articolo di Nicola Porro per "il Giornale" 29/10/2012 [...] Il duro Gianni Stella ha in¬contrato la settimana scorsa i diri¬genti dell’emittente televisiva La7. Chi l’ha ascoltato è sobbalza¬to sulla poltrona. Non certo per i modi spicci del manager, a cui lentamente tutti si sono abituati. Ma per due rivelazioni. La prima è la sfiducia manifestata dal ma¬nager sulla possibilità che la ven¬dita de La7 si perfezioni entro la fine dell’anno. StellaStella E la seconda è l’esi¬stenza di un contenzioso legale con il gruppo Cairo. E che sareb¬be incardinato al Tribunale di Mi¬lano. In realtà, come ha rivelato ieri Claudio Plazzotta su Italia Oggi , i due advisor della vendita (Mediobanca e Citi) starebbero ufficializzando la cosa ai poten¬ziali compratori. Uno dei nodi da sciogliere sono infatti gli oneri del contratto con la concessiona¬ria pubblicitaria, ritenuti dal gruppo Ti Media eccessivamen¬te penalizzanti. Solo uno dei po¬tenziali acquirenti, Cairo stesso, è da ritenersi piuttosto indifferen¬te alla rivelazione delle banche. Massimo Gramellini per "La Stampa" 10/11/11 L’allenatore Sacchi, adulatore furbissimo, iniziava le conferenze del sabato con una formula magica: «Permettetemi anzitutto di ringraziare il Dottore, che è una persona meravigliosa. Senza di lui, noi non saremmo qui». Alla decima volta un collega alzò la mano: «Senta, Sacchi, premesso che il Dottore è una persona meravigliosa, ci dice la formazione?». Io scrivevo tutto. Anche la didascalia sotto la celebre foto che lo ritraeva con Confalonieri, Dell’Utri e Galliani: in maglietta bianca e in fila per uno: «Il Gruppo, compatto, suda agli ordini del Dottore». Non poteva durare. Il direttore del «Giorno» Lino Rizzi, indicato (come si diceva allora) dalla Dc, mi mandò a chiamare. «B ha detto che se non la smetti di prenderlo in giro, ci toglie la pubblicità di Canale 5». E tu cosa vuoi che faccia, direttore? «Il tuo dovere. Con prudenza. Ma non smettere di raccontare quello che vedi». Il primo miracolo di B: farmi rivalutare i democristiani. Già allora esisteva un doppio B: quello solare delle apparizioni in pubblico e il personaggio misterioso che aveva potuto disporre, a meno di trent’anni, di prestiti miliardari. Ma nei lunghi pomeriggi di Milanello la storia extrasportiva che tutti ci raccontavamo a mezza bocca riguardava il famoso patto di Segrate. Quando B e la Mondadori, non ancora sua, avevano firmato di venerdì pomeriggio un accordo solenne per spartirsi la pubblicità televisiva a partire dal lunedì successivo. silvio berlusconi veronica lario nozze matrimoniosilvio berlusconi veronica lario nozze matrimonioBerlusconiBerlusconi Dopo le foto e i sorrisoni di rito, B rientrò nei suoi uffici e, così narra la leggenda, si rivolse al segretario Urbano Cairo e agli altri collaboratori come in un film: «Sincronizzate gli orologi: abbiamo solo 48 ore prima che entri in vigore l’accordo. Rastrellate tutta la pubblicità che c’è in giro!». Il lunedì la Mondadori si trovò senza più neanche uno spot e di lì a qualche giorno dovette vendere Retequattro. A chi? A B. Questo aneddoto forse un po’ romanzato (magari, conoscendolo. proprio da lui) è il test che utilizzo da anni per capire gli orientamenti politici dei miei interlocutori. Se rispondono «vergogna, che disprezzo per le regole!», sono berluscallergici. Se dicono «intanto però lui nel weekend ha lavorato!», sono berluscloni.