Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  febbraio 20 Mercoledì calendario

DALLA ROMANIA AL LUSSEMBURGO LE TAPPE DELLO SCANDALO “MADE IN UE”


Non è un ciclo di produzione, è un’odissea. Comincia quando la Comigel di Metz, per conto della Findus, chiede alla controllata Tavola di Capellen (Lussemburgo) di produrre lasagne surgelate. Questa ordina la carne alla Spanghero di Castelnaudary (Francia) che, a sua volta, incarica dell’operazione una società cipriota. L’incarico viene successivamente subappaltato a un trader olandese che acquista la carne in Romania da dove, finalmente, viene spedita alla Spanghero che la gira all’impianto del Granducato (terra di poche tasse) dove il macinato e la pasta vengono cotti, surgelati, e distribuiti nei supermarket europei a un prezzo di 7-8 euro al chilo. Carne di cavallo non dichiarata. Ma compresa.

È la globalizzazione, signori. Nulla di male, in principio, se non che più crescono i passaggi e più grande diventa la possibilità che qualcosa vada storto. «Se siete solo preoccupati di quello che mangiate spesso è perché conoscete appena metà della storia», commentava ieri una fonte ambientalista. Vero, però solo in parte. Nei limiti del possibile le ispezioni europee hanno funzionato, l’azione è stata rapida e gli allarmi, laddove necessari, si sono rilevati repentini. Il mercato è sicuro. L’incognita è nella vischiosa architettura del settore alimentare, mai nella storia così distante dal consumo a chilometro zero.

Il quadro normativo Ue è discreto. Le rivelazioni dei giorni scorsi, con la carne di cavallo che compare dove non dovrebbe essere, esprimono tutte una violazione delle regole comunitarie. I dettami a dodici stelle prescrivono che se sull’etichetta di un prodotto c’è scritto «carne di manzo» dentro la confezione non può esserci altro che «carne di manzo». L’attività della macelleria equina non è per nulla vietata, anzi è apprezzata da molti e per molti versi. Solo che una volta che un cavallo finisce nel ragù non si potrebbe fare a meno di dichiararlo apertamente.

La complicazione del sistema territoriale all’ingrosso può essere un buon rifugio per chi vuole truffare. Le possibilità sono infinite, con rischio anche per i consumatori, visto che in alcune della partite di carne di manzo in cui è stato riscontrata la presenza di dna di cavallo, si sono trovate anche tracce di fenilbutazone, un antinfiammatorio usato per i quadrupedi equini che può avere effetti dannosi per la salute umana.

Il mercato della carne di cavallo è viscoso. L’Unione europea ha smesso di raccogliere dati nel 2008, quando le capitali si sono impegnate a fornirli volontariamente e lo hanno fatto a modo loro. Secondo Eurostat l’Italia è il primo importatore, con 216 mila tonnellate nel 2012. Siamo invece gli ottavi esportatori, 19 mila tonnellate, un nono del Belgio che è il numero uno ed è il principale trasformatore. Il nostro problema è l’assenza di un’anagrafe equina, a differenza di quanto accade per i bovini. Posta la regola che gli 800 mila cavalli sportivi non possono essere mangiati, i destinati al macello sono seimila.

Risulta però che anche chi ha corso finisca sua malgrado a tavola, magari senza che si sappia, il che è già una prima doppia violazione. La seconda è che vada dove non dovrebbe essere, in Italia e fuori, portandosi dietro antinfiammatori e simili. I controlli hanno aperto un vaso di pandora. Si è scoperta carne di cavallo nelle lasagne slovene, oltre che inglesi, guarda caso fatte in Lussemburgo. Cavallo nei «nostri» tortellini come negli hamburger dell’Irlanda. Difficile impedire la truffa, oltretutto la magistratura francese ha verificato che i cavalli delle lasagne Findus erano partiti dalla Romania come «cavalli». Chi li ha ribattezzati? Gli olandesi? I ciprioti? I francesi? Parigi ritiene che in sei mesi il taroccamento abbia coinvolto 750 tonnellate di carne.

L’etichetta «made in» nazionale aiuterebbe ma i grandi Paesi produttori, Germania in testa, non la vogliono. Bisogna affidarsi alla qualità dei controlli decisi in queste ore. Li fanno a livello nazionale, coordinati da Bruxelles. In caso di esitopositivo, scatta il sistema Ue di allerta alimentare (Rasff). L’Unione presenterà un rapporto entro metà aprile, è il massimo che può fare. Come diceva un funzionario buongustaio, «se la gente vuole lasagne surgelate a 4 euro il pacco, il cavallo è il minimo che può trovarci». Fa ridere, ma non è affatto una buona scusa.