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 2013  febbraio 20 Mercoledì calendario

IL “BERLUSCHINO” CHE DEVE SFIDARE IL CAVALIERE


E se alla fine l’uomo destinato a smuovere almeno un poco la foresta pietrificata della tv italiana fosse proprio questo Urbano Cairo da Masio, provincia di Alessandria, che molti chiamano - non certo per fargli un complimento «Berluschino»?

Ieri, mentre i toni della politica si alzavano, come accade in Italia ogni volta che si parla di toccare le reti televisive, e Silvio Berlusconi già si esercitava nel grido preventivo allo scippo della sua Mediaset, il mercato faceva i conti in tasca a Cairo - che i più conoscono perché è il proprietario del Toro e non per le sue attività nell’editoria e nella pubblicità - e promuoveva l’operazione con un rialzo in Borsa della sua società.

Sì, perché il primo dato è che Cairo si porterà - se tutto va come previsto a casa La7 e la sorellina digitale La7D, non solo gratis - visto che la società che controlla le due reti verrà ripulita da ogni debito - ma anche con una dote: un «prestito del venditore», così si chiama, al compratore di circa 90 milioni che dovrebbe consentirgli di far partire senza troppe angustie la sua avventura televisiva. Ma allora Telecom Italia, che vende in perdita la sua tv, che ci guadagna? Nulla, è la risposta immediata. Però, visto che da tempo La7 brucia circa cento milioni l’anno su poco più di duecento milioni di fatturato, cedere le chiavi significa non doversi più accollare in futuro le possibili perdite. Inoltre Cairo lascia a Telecom un pezzo pregiato del pacchetto potenzialmente in vendita, ossia quelle tre frequenze televisive che assieme valgono circa 450 milioni e che potranno essere valorizzate in altro modo.

Dunque, a patto di riuscire a eliminare o almeno a ridurre quei cento milioni di «rosso» ogni anno - Cairo potrebbe fare un ottimo affare con La7. L’uomo ha già dimostrato di essere un amante dell’«usato sicuro». Compra società che sono decotte o quasi e poi, senza colpi d’ala ma con grande costanza, le rimette in sesto, scegliendo manager, direttori e allenatori non esattamente di primo pelo, ma di provata capacità ed esperienza. E’ successo con il Torino, che ha preso nel 2005 per un pugno di euro dopo il fallimento e dal quale però non è ancora riuscito a tirare fuori soldi; è accaduto con l’acquisto di attività editoriali, a partire dalla Giorgio Mondadori, che ha rilevato nel 1999. Nella pubblicità, invece, si è fatto da solo o quasi. Complice un quindicennio a fianco proprio di Berlusconi - prima suo assistente quando ancora frequentava la Bocconi, poi una rapida carriera tra i venditori di spot di Publitalia e infine capo della raccolta della Mondadori in formato Cavaliere - nel ’95 ha fondato la sua concessionaria pubblicitaria (che tra l’altro raccoglie anche gli spot per La7) e cinque anni dopo ha quotato in Borsa la sua Cairo Communication.

Ma sarà Cairo l’uomo che potrà realizzare quel «terzo polo» televisivo già sognato nel 2000 da Roberto Colaninno e Lorenzo Pellicioli e però sempre restato allo stato embrionale, cristallizzato in una rete di alto profilo e di bassi in media poco sopra il 3,5% di share ascolti? La risposta dipende solo in parte dalle scelte dell’acquirente, mentre una grande influenza potrebbero averla anche le scelte del prossimo governo.

Partiamo dunque dal rischio che il «Berluschino» finisca in un modo o nell’altro per favorire l’originale. Qui l’etichetta che Cairo si è ritrovato cucita addosso rischia di ingannare: un po’ perché quel giovane manager è diventato grande da tempo, cammina con le sue gambe e anzi - rivendica spesso - «a Berlusconi faccio concorrenza»; un po’ perché di diminutivo, nella considerazione che Cairo ha di se stesso c’è davvero poco. Per capirlo basta ricordare il regalo che fece proprio a Silvio e Veronica per le loro nozze: un ritratto - il suo - opera della pittrice Lila De Nobili. E poi se il Cavaliere, in affari come in politica, opera sempre nel segno di una certa «grandeur» di stampo brianzolo, il suo ex allievo ha imparato la lezione ma l’ha sempre condita con una robustissima dose di prudenza e concretezza che non prevede - calcio a parte - operazioni in perdita. Insomma, chi lo conosce, scommette che l’editore che ha lanciato i magazine a basso costo, non esitando ad andare in edicola a 50 centesimi, tenterà di allargare il pubblico della sua rete senza fare sconti alla concorrenza, affiancando alla programmazione «alta» de La7 anche contenuti più popolari, in modo da aumentare gli introiti pubblicitari.

L’altro aspetto, che per ora è difficile definire con esattezza, è per l’appunto quella che sarà la politica di un nuovo governo in campo televisivo. Con una maggioranza di centrosinistra potrebbero arrivare in tempi rapidi sia una legge sul conflitto d’interessi, sia una revisione della legge Gasparri che ha finora sancito il duopolio Rai-Mediaset. Comprensibile che Berlusconi, che la prossima settimana potrebbe svegliarsi alla guida solo del terzo partito italiano nutra già qualche timore.