Roberto Giardina, ItaliaOggi 19/2/2013, 19 febbraio 2013
UNA TELENOVELA SUI GIORNALISTI
Torniamo di moda noi, i giornalisti, cioè die Journalisten. L’Ard, il primo canale tv pubblico tedesco, ha iniziato una nuova serie settimanale, Zwischen den Zeilen, tra le righe, ogni giovedì alle 18,50, tanto per fare un dispetto ai colleghi veri, quelli di Heute, il telegiornale del secondo canale Zdf, che va in onda alle 19. Chi vincerà, i reporter reali o quelli del serial?
Non è che il mestiere di giornalista sia molto ambito in Germania. Nei sondaggi d’opinione su cosa vogliono diventare i giovani, ci posizioniamo a metà classifica, ben distanti dai soliti medici e dagli avvocati, meglio dei notai. Il camice bianco è quasi una divisa e ha più fascino di un taccuino o di un registratore. Nessuno ricorda il nome dell’eccezionale reporter della Süddeutsche Zeitung che scoprì i conti neri del Cancelliere dell’unità, Helmut Kohl. Nessuno ha dimenticato il giornalista dello Stern che volle pubblicare i falsi diari di Hitler. O sarà colpa di Karl Kraus: i giornalisti non hanno alcun pensiero, però lo stampano, è un suo mai dimenticato aforisma. A parte il fatto che gli stipendi non sono eccezionali, un cronista guadagna quanto una buona segretaria, e non esiste neanche un ordine dei giornalisti come in Italia. C’è un albo, e i giornalisti fanno parte dello stesso sindacato insieme con i tipografi. Però qui si può vivere come free lance, cioè un libero collaboratore. Entro due settimane le collaborazioni ti vengono pagate, e non qualche centesimo a riga. La Bild arriva a premiare con 1.000 euro una notizia di poche righe, ma che valga la prima pagina.
Gli eroi della tv lavorano al fittizio Merkur, giornale locale di Aquisgrana, e come sempre rispettano i cliché della categoria: c’è il collega che si scola vodka nei bicchieri dell’acqua, o forse è gin, c’è la biondina stupida e c’è la cronista interprete che insulta il caporedattore troppo vigliacco rispetto alle autorità. E c’è quello disposto a farsi corrompere, ma per avere i servizi di una Putzfrau, una donna delle pulizie, che gli stiri le camicie. Naturalmente, tra un amorazzo e una battuta, passano il tempo a risolvere i casi prima della polizia. «Non combattono con la pistola», ironizza la Frankfurter Allgemeine, «ma con la tastiera, e quasi sempre slealmente».
Per fortuna loro, sembra che lavorino poco. In genere, nella storia del cinema, appena un giornalista si mette alla macchina da scrivere (poi computer) muore, viene ammazzato, si ammazza, o rimane vittima di un incidente. Ritengo che non sia colpa di una maledizione professionale. Semplicemente la scrittura non è cinematografica, e i registi e gli sceneggiatori temono la noia del pubblico. Ultimo arrivato il collega Müller, in Gold, l’unico film tedesco in concorso alla Berlinale, il festival del cinema berlinese. Fa parte di un gruppo di prussiani che parte alla ricerca dell’oro, nel Klondike del 1898. Lui è l’unico che non vuole trovare pepite ma mandare un reportage al suo giornale. Prende appunti sul taccuino, nero come quello di Chatwin, scatta foto con una reflex primordiale, e quindi muore. Ottimo professionista, però: mentre gli tagliano una gamba senza anestesia, prega l’eroina che lo ha mandato in bianco di spedire appunti e foto alla sua redazione. Ottima coscienza professionale. Lei obbedisce, probabilmente i colleghi getteranno tutto nel cestino. Però il pubblico ride durante la drammatica sequenza, all’oscuro dei nostri problemi di categoria, dal Klondike di Jack London a Fleet Street e Via Solferino. Muore William Holden, inviato in Corea, ne L’amore è una cosa meravigliosa. Si mette a picchiare sui tasti solo nell’ultima inquadratura, una farfalla gli si posa su una spalla, arriva una bomba, the end. Muore Kirk Douglas ne L’asso nella manica, punito da una vedova a colpi di forbice per non rispettare il codice professionale, presumo. Non muoiono Robert Redford e Dustin Hoffman, gli eroi del film sul Watergate, ma era un fatto vero, e si doveva rispettare la verità, e non muoiono nemmeno Jack Lemmon e Walter Matthau in Prima pagina. L’eccezione che conferma la regola. I colleghi di Aquisgrana forse serviranno all’audience, ma non solleveranno il prestigio della categoria.