Stefano Rizzato, La Stampa 21/2/2013, 21 febbraio 2013
IL NUOVO MENU DEGLI ASTRONAUTI
Ieri l’astronauta Luca Parmitano ha presentato a Roma la missione che a maggio lo porterà ad abitare la Stazione spaziale internazionale. Si è parlato anche di dieta mediterranea e del primo menu all’italiana per astronauti. Di cosa si tratta?
È un progetto collegato a «Volare», la missione dell’Agenzia spaziale europea che per sei mesi manderà Luca Parmitano in orbita a bordo della Iss, la Stazione spaziale internazionale. Proprio l’astronauta ha contribuito a scegliere i cinque piatti nostrani che lui e i suoi colleghi potranno mangiare nello Spazio: lasagne, risotto al pesto, parmigiana, caponata e tiramisù.
Come arriveranno in orbita le ricette made in Italy?
Ovviamente non in piatti o vaschette comuni, ma ciascuno in uno speciale involucro sottovuoto. A trasportarli sarà una navetta senza equipaggio, chiamata «Albert Einstein», che si aggancerà alla stazione orbitale nella seconda metà di aprile. Più o meno un mese dopo arriverà anche Luca Parmitano, che diventerà così il quinto italiano a salire a bordo dell’Iss.
Perché è una piccola rivoluzione?
Perché «fino a oggi esistevano di fatto solo due menu spaziali: quello statunitense e quello russo. D’ora in poi gli astronauti potranno scegliere anche la dieta mediterranea», come chiarisce David Avino, direttore generale di Argotec, la società di consulenza con sede a Torino che ha curato il progetto dei nuovi menu. Ma l’aspetto davvero innovativo è nella qualità della cucina cosmica all’italiana. «I cibi per astronauti richiedono un particolare trattamento, che spesso li rende decisamente meno gustosi di quelli che consumiamo a Terra - spiega Avino -. Ecco perché abbiamo voluto che i nostri piatti mantenessero il più possibile il profumo, il colore e il sapore delle loro versioni terrestri».
Com’è stato possibile?
«Sono serviti un anno e mezzo di lavoro e soprattutto l’unione di scienza e alta cucina - racconta Avino -. Il menù ideato con lo chef stellato Davide Scabin è tutto biologico e senza conservanti né aggiunta di sale. Nonostante questo, i cibi si mantengono tranquillamente per 36 mesi e soprattutto senza perdere le loro qualità».
Perché sapori e colori sono così importanti anche nello spazio?
A livello psicologico, il cibo può rappresentare un aiuto fondamentale per gli astronauti, i quali devono vivere per diversi mesi in spazi molto ristretti e in condizioni molto difficili. Mettere «in tavola» piatti gustosi e colorati può essere il miglior modo per tenere alto il morale di un equipaggio. Non a caso, il nuovo menù mediterraneo non sarà gustato tutti i giorni, bensì riservato per le occasioni speciali e per le piccole feste che di tanto in tanto si organizzano anche in orbita.
Perché è così difficile concepire pasti «normali» per lo spazio?
Innanzi tutto, lo «Space food» non deve essere ingombrante e deve rimanere fresco a lungo, in condizioni che logicamente sono molto particolari. Per questo gli alimenti vengono liofilizzati (cioè privati dell’acqua all’origine) o comunque trattati in modo da tener lontani i batteri ed evitare che - per così dire - vadano a male. Il problema è che questiprocessidiconservazionetendonoa far sparire il gusto e l’aspetto originali.
Anche l’assenza di gravità crea problemi?
Sì, per varie ragioni. In una navicella, così come nella stazione spaziale, non ci possono essere pezzi di cibo o liquidi che fluttuano nell’aria: sarebbero un pericolo per gli astronauti e più ancora per le delicate apparecchiature a bordo. Per questo ogni porzione deve essere molto compatta: alla regola non sfugge neppure il risotto che Parmitano porterà in orbita.
Ma gli astronauti sentono i sapori proprio come sulla Terra?
No, e anche questo è un problema, almeno a livello psicologico. Com’è noto, una parte importante del gusto è legata all’olfatto, che non funziona allo stesso modo in assenza di gravità. Nello Spazio i sapori si sentono meno, a prescindere da come viene trattato il cibo.
In passato, cosa mangiavano?
Dagli Anni 60, epoca delle prime missioni, sono stati fatti passi da gigante. Basti pensare che il russo Yuri Gagarin, primo uomo nello Spazio, ingurgitava carne macinata e cioccolata in tubetti simili a quelli del dentifricio. Oltre ai tubetti, nel menù dei primi astronauti c’erano cubetti di cibo liofilizzato che riprendevano consistenza in bocca, grazie alla saliva. E il sapore lasciava parecchio a desiderare.
C’è il rischio che gli astronauti restino a corto di provviste?
In ogni lancio vengono caricate quantità extra di alimenti, per far fronte a qualunque inconveniente o cambio di programma. Inoltre le missioni durano al massimo pochi mesi e sulle navicelle lo spazio per il cibo non è un problema. Ma se volessimo portare l’uomo su Marte, il viaggio sarebbe lungo circa due anni, tra andata e ritorno. Per questo da tempo si studiano serre spaziali, nelle quali gli astronauti potrebbero coltivare frutta e verdure.
[ha collaborato Marco Pivato]