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 2013  febbraio 20 Mercoledì calendario

LETTERA AL FATTO CONFESSIONALE DI VOTO


A dare il voto, a partiti che non ritenevo giovanilmente ignobili, cominciai nel 1953. Saltato, per assenza, poche volte. I referendum, votai tutti; appassionatamente, in specie, divorzio e aborto. Ma ho vissuto da separato senza divorzio, né ho mai fatto abortire nessuno. Tuttavia niente figli, per frustare il Cattivo Demiurgo. Così da me non è nato il Messia – che sta sempre venendo – e neppure qualcosa di decente dalla mia zelotipa passione civile. Credo di essere arrivato ormai alla mia ultima occasione di voto, e non mi sembra che l’incombente 24 febbraio valga un’attesa messianica, e neppure un pallido residuo di fede civile. Riflettiamo: nessuno ha il coraggio di formulare un augurio di vittoria, ma soltanto è disposto a deporre una scheda per timore che vincerebbe qualcun altro. Ma la fregatura stavolta non ha nulla di parziale. È irreparabile . Siamo cascati in una trappola istituzionale, in una piscina stregata dove non serve saper nuotare bene. Leggete, nell’edizione Mursia benemerita, il meraviglioso racconto di Wells L’isola del dottor Moreau e avrete un’idea non superficiale di come vi trattano, di come vogliono che siate tutti quei gelidi fanatici dei vari futuri.
Non posso evitare questa umiliazione civile: farmi condurre a fatica, per mala deambulazione, al seggio, e riconsegnare una scheda annullata rabbiosamente. Chi voglia rispettare fino in fondo se stesso, senza imbrattarsi nel bastone merdoso di una legge elettorale lasciata intatta dai nostri assassini parlamentari teleguidati, non può agire che così. La fregatura resterà immutata, ma l’igiene delle mani e del senso morale saranno salvi.
Per ben votare, votare nulla.
Gli italiani non hanno più ideali civici (appelli futili), credono nel voto, nella liturgia insulsa del Seggio. Avendo accettato passivamente la Messa in volgare, gli è parso bene sacralizzare le urne. Il centenario tirato giù dal letto e condotto malfermo a votare è “santo subito”.
Di bruciantissima attualità politica e storica, proprio in quanto extrapolitica, è il rapporto d’incesto tra perdita d’identità linguistica e degenerazione democratica. E qui, se mi volto, non spunta nessuno. Ma la corruzione della lingua è molto peggio di quella dei capitali sporchi. E una lingua come l’italiana, parto di gigante della vagina latino-ellenica, che si prostituisce al modo che vediamo all’angloamericano, con una vera smania di far presto a dissolversi, affamata di annullarsi nell’oscenità ininterrotta dell’atto, non suscita l’ululato straziante di nessuno!
Per la mala bestia che anela a occupare gli emicicli, questo “non fa problema del paese”! Anzi, per i predicanti, la perversità anglofona è “via per l’Innovazione”. Ai loro orecchi di rinoceronti quel linguaggio guasto, quelle insegne di paese straniero sono solfeggi di sogno, aprono prodigi d’Infrastruttura, baci di Pil, giubilo di cementificazioni filodiffuse.