Filippo Ceccarelli, la Repubblica 21/2/2013, 21 febbraio 2013
VIVERE E MORIRE SU QUEL PALCO
Il più bravo in assoluto era Giuseppe Di Vittorio, che aveva una bella faccia, una voce tonante, un sorriso dolce e soprattutto il dono (in greco antico: carisma) di innescare nella folla dispositivi di immedesimazione addirittura a livello sensoriale. «Quando parlava – ha scritto Davide Lajolo – stava con te non solo con gli occhi». Il più musicale era Pietro Nenni, occhialoni e volto rugoso. L´oratoria nenniana, ha spiegato una volta lo storico e biografo Giuseppe Tamburrano, possedeva la regolarità ritmica di un esercizio di solfeggio: «Cari compagni – tìc tòc – ve lo spiego io – tìc tòc – cos´è – tìc tòc – il socialismo!».
Anche Fanfani, cavallo di razza dello scudo crociato, se la cavava assai bene. Leonardo Sciascia l´ha descritto in un comizio ad Agrigento, nel 1954, su un palco a forma di prora: «Poi tirò fuori un foglietto, otto domande che i comunisti gli avevano rivolte, disse che democraticamente avrebbe risposto. Alla prima disse che c´era una sola risposta da dare, il titolo di un´opera di Leoncavallo: Pagliacci!». A quei tempi i clown erano quasi del tutto incompatibili con l´arte politica, che rifulgeva semmai nei momenti drammatici. Come quando Almirante, anche lui superbo oratore, figlio di attori, occhi di gelido azzurro, voce metallica, parlò ai funerali di un giovane missino, Mantakas, ammazzato nella capitale: «Romani – pausa – questo non è un comizio. Questo è un rito, un rito!».
Non che mancassero elementi di varia e anche curiosa umanità che al giorno oggi – giammai allora! – si potrebbero rubricare all´insegna della tecnica e dell´intrattenimento. Sandro Pertini, per dire, nervoso e imprevedibile, allorché sentiva un calo d´interesse cominciava a inveire irosamente contro quelli che gli stavano alle spalle: «Ecco, dimmi tu, compagno, se m´è consentito proseguire con te che mi parlotti da terga, suvvia!»; e quindi, ormai infiammato, gli consegnava il microfono: «Vai avanti tu che hai più lingua, perdio!».
A proposito di amplificazione, è giusto ricordare le vibranti predicazioni che il padre gesuita Riccardo Lombardi, non a caso detto "il microfono di Dio", teneva alla fine degli anni quaranta con un complesso sistema di collegamenti telefonici che per primo lo portarono a conseguire l´ubiquità fonica e percettiva, fino a 200 punti di ascolto durante la Crociata per Roma.
Sennonché, come avviene oggi con i fuorionda, avveniva pure che nei mille cinema Astra e teatri Verdi d´Italia i sussidi audio determinassero magnifici incidenti, il più ridicolo e illuminante dei quali – racconta Guido Quaranta in Scusatemi, ho il paté d´animo (Rizzoli, 1997) – si deve all´onorevole Soleri, liberale, che avvicinatosi al microfono sul palco e data una sbirciatina all´orologio, sussurrò a un amico: «Non ti preoccupare, lasciami solo raccontare le solite quattro balle a questi imbecilli e poi ce la filiamo subito». E tuttavia si trattava pur sempre di grandi oratori, non di comizianti, che pure non mancavano – e qui il pensiero va a un socialdemocratico della Valle di Diano che nel corso di un comizio arrivò a mostrare come trofeo le mutande della moglie del suo avversario.
Ma a ripensarci oggi sono soprattutto silenzi, echi solenni, ondate di applausi che rotolavano nell´aria recando in sè un´energia quasi mediatica che a sua volta riviveva nell´accento e nei gesti di Ingrao, nella chioma e nel dolcevita nero di Pannella, nella testa reclinata e nelle smorfie di Ugo La Malfa. E così via, fino all´ultimo indimenticabile comizio di Berlinguer a Padova (1984), che gli si impasta la voce, barcolla, ma vuole continuare perché questa è la sua vita, e poi tutto finisce.