Francesco Merlo, la Repubblica 21/2/2013, 21 febbraio 2013
LE DIMISSIONI DI GIANNINO NELL´ABISSO DELLA PATACCA
È l´aggiornamento del mattoide italiano, che è il fratello bastardo del genio, l´attrezzato ciarlatano che divulga e sapientemente spiega l´economia, ma per farsi bello racconta se stesso con due lauree che non ha mai preso, revisione "alta" della calza che Berlusconi, sempre per farsi bello, metteva sulla telecamera.
E però, vedere ora precipitare Oscar Giannino nell´abisso della patacca sta accendendo la voluttà degli italiani più di qualsiasi delitto o censura o clientela familistica vengano via via scoperti. E non solo perché quello di Giannino è un caso straordinario di dileggio che distrae, con il girotondo dei soliti selvaggi frizzi e lazzi, dalla monotonia barocca e tonitruante della campagna elettorale, ma soprattutto perché la patacca, cioè la laurea falsa, è una scuola di magnificenza nazionale, una tradizione, un´antropologia celebratissima, a differenza del delitto, cioè la ruberia vera, che solo in Italia non è grandezza e non è castigo ma è la miserabile banalità quotidiana.
Oscar Giannino, che noi giornalisti anziani abbiamo conosciuto al tempo in cui era l´abilissimo capo ufficio stampa del Partito repubblicano di Giorgio La Malfa e teneva magnificamente testa ai cavalli di razza bizzosi Bruno Visentini e Giovanni Spadolini, cambiò abiti e fisionomia per difendersi da una brutta malattia. Perse i capelli, si "imbastonò", mise le ghette alle scarpe, cominciò a imitare l´uomo in frac che dà l´adieu al mondo. Ma non è stato mai il magliaro classico, che è un allegro poveraccio che vive di espedienti, il Totò che vende la fontana di Trevi al turista americano tutto business.
Giannino ha lavorato al Foglio con Giuliano Ferrara, al Riformista dove è stato vicedirettore di Antonio Polito, a Libero dove ha diretto il supplemento economico quotidiano Libero Mercato, poi al Sole 24 ore e a Radio24, quindi è diventato lo spin doctor di Emma Marcegaglia e il consulente apprezzato di enti, banche e istituzioni. Dovunque gli si riconosceva un valore che evidentemente non gli bastava mai. Ogni tanto spariva per alcuni mesi, raccontava storie di pathos e di fantasia, a volte aggiustava la propria biografia come in Italia fanno molti giornalisti, quelli che danno la parola ai morti per esempio, raccontatori postumi di intimità che nessuno può più provare con Agnelli, con Montanelli, con l´ex sindaco di New York, con John Lennon o, appunto, con i Nobel dell´economia. A differenza di questi soliti cialtroni italiani, Giannino è però un affascinante esempio di falso autentico. E difatti diventava sempre più autorevole quando spiegava la caduta tendenziale del saggio di profitto anche perché da sapiente magliaro aggiungeva che gliel´avevano insegnata a Chicago dove fingeva di avere conseguito un master: arriva sempre il momento in cui la patacca italiana assume le sue necessarie dimensioni internazionali.
E molti italiani sono rimasti rapiti da Giannino, piccola riserva di qualità. Il suo genio truffaldino infatti trovava incastro fertile nell´ottusità nazionale fatta di Chicago boys, di forward exchange rate, di master e visiting professor, di long hedging e cross hedge, di covered warrant.... Giannino inventava pure aneddoti mitici per smitizzare il mito di se stesso: aveva preso il master è vero, ma il master non era nulla e citava a conferma il Nobel Bob Barro che «mi disse che con il master puoi smettere di rubare nelle carrozze ferroviarie e rubare un´intera ferrovia». Come nella mitica supercazzola di Tognazzi, Giannino lasciava cadere una parola "importante": master, Chicago... E le lauree, le lezioni dei Nobel, persino un concorso vinto in magistratura e l´assistenza ai malati terminali di cui parlò con Lilli Gruber..., tutto gli è servito a certificare un universo parallelo di economista, di professore di diritto, di maestro di americanità e di filantropia come vuole la tradizione dei veri scienziati anglosassoni. E intanto si addobbava con le mostrine dell´esercito britannico: «È un regalo del colonnello...», il giorno di San Patrizio indossava quelle irlandesi, non senza dimenticare che suo padre fu un eroe della Repubblica sociale; e al suo matrimonio, serviva agli ospiti riso scotto e verdure lesse. La moglie, in sintonia con l´eccentricità, racconta a Vanity Fair che tra loro si chiamano Topolì e Topolù e inconsapevolmente lo descrive come una specie di gabibbo dannunziano, genio eccentrico e truffa dentro un dramma di identità, il mattoide italiano appunto che somiglia al crank di Einstein, quell´Immanuel Velikovsky del quale il grande scienziato amava leggere le spiegazioni "scientifiche" delle piaghe d´Egitto, della trasformazione dell´acqua del Nilo in sangue e di tutte le altre enormità della Bibbia.
Pizzicando da maestro tutte le corde del luogo comune colto Giannino era diventato il simbolo dei "veri liberal" contro i "falsi liberal" delle tasse e del conflitto di interessi. Con lui, insomma, i liberali alle vongole si erano trasformati in liberali al curry visto che aveva radunato attorno a sé i più accreditati professori solitamente algidi che credevano con soggezione e ammirazione nella sua capacità di sciogliere i dilemmi della crisi. Ebbene, stendiamo un pietoso velo sulla roboante lista di questi grandi liberali che rimasero sedotti dalle sue parole e non certo dalle sue lauree. E voglio dire che tra truffati e truffatori c´è sempre una grande sintonia, gli imbroglioni hanno il loro target, furbizia e stupidità si ingravidano a vicenda.
Oggi Giannino è inseguito dall´esecrazione di quegli stessi intellettuali che lo avevano glorificato e sventolato come una bandiera, a cominciare dal professore Zingales che lo ha denunziato a soli cinque giorni dal voto consegnandolo alla macchina del fango dei giornali di Berlusconi che, con la loro proverbiale e famosa innocenza, lo stanno trattando come il diavolo perché è a Berlusconi che forse Giannino poteva rosicchiare qualche punto in percentuale. E si distinguono proprio quei colleghi che lo ebbero come direttore a Libero Mercato.
Mi auguro che Giannino ne rida, all´inizio magari a denti stretti. Qui infatti la critica politica cede il passo alla letteratura, all´antropologia del falsario visionario, al rapido esploratore dell´incognito che si è permesso qualche escursione nei territori del vuoto. Speriamo che alla fine la risata diventi fragorosa e che Giannino brindi a tutti noi esclamando come il Giannetto della Cena delle beffe: «Chi non beve con me, peste lo colga».