Ettore Livini; Fabio Tonacci, la Repubblica 20/2/2013, 20 febbraio 2013
QUELLE FALLE NEI CONTROLLI CHE SPACCIANO PER BOVINI I CAVALLI DELLA ROMANIA
Come fa un pezzo di carne di cavallo macellato in Romania a diventare manzo in Francia, passando tra intermediari olandesi e ciprioti, per finire in lasagne congelate prodotte in Lussemburgo per conto della svedese Findus? Quella della carne bovina è, tra le filiere alimentari, la più controllata e la più tracciata in Europa. Di ogni partita circolante si conosce tutto: dove è nato l’animale, dove è stato allevato e macellato, gli eventuali trattamenti sanitari che ha subito. Eppure i fatti recenti raccontano che il sistema ha delle debolezze. Non vere e proprie falle, ma passaggi intermedi nei quali la prevenzione dalle frodi è assicurata da forme di autocontrollo delle aziende. E qui, chi vuol fare il furbo ha margini di manovra.
Al macello ci sono i veterinari che controllano (ante mortem e post mortem) la salubrità delle carni dell’animale: se è idoneo al consumo umano viene apposta la bollatura, il primo anello della tracciabilità. In Italia a sovrintendere tutta questa operazione ci sono i veterinari delle Asl. Alcuni paesi invece si affidano a personale ausiliario non laureato in medicina. La Francia utilizza un decimo dei veterinari impiegati nei controlli in Italia. Eppure Oltralpe si produce molta più carne. «Tutti gli animali — spiega Francois Tomei, direttore di Assocarni — sono tracciabili, ma solo per i bovini esiste il passaporto, introdotto dopo il caso mucca pazza, ed è obbligatoria l’indicazione della provenienza sull’etichetta. Il sistema si basa anche sulla fiducia in chi maneggia bolle e documenti».
A questo punto la carne è pronta
per il mercato europeo, ogni partita con il suo certificato che ne attesta la tipologia e l’esatta provenienza. «È così per tutti gli alimenti — assicura Paola Testori, direttore generale Salute e consumatori della Commissione europea — la tracciabilità totale esiste dal 2000». Vuol dire che in ogni punto della filiera, tra intermediari e distributori, si può risalire a chi ha prodotto gli ingredienti di ciò che finisce in tavola. Ma chi deve farli questi controlli? In prima battuta, sono gli stessi produttori. Certo, ogni stato decide quante indagini a campione fare nelle aziende e negli stabilimenti, e ci sono sempre i controlli alle dogane. Inevitabilmente, però, le maglie si allargano.
«Nel caso delle lasagne — spiega ancora Paola Testori — le indagini sembrano dimostrare che è
stata l’azienda agroalimentare Spanghero in Francia, registrata nell’albo del ministero della Salute francese, ad aver certificato una cosa per un’altra. Parliamo comunque di una ventina di tonnellate di carne di cavallo, che sul totale delle 110 mila consumate in
Europa ogni anno è poca cosa. Il sistema è sano e vigilato». Ma le frodi esistono. Ogni settimana la Commissione riceve in media dalle varie autorità nazionali 50 rapid alert, segnalazioni di ritiro dal mercato di merci alimentari perché contenenti tossine o perché con etichetta contraffatta. «Anche il distributore svolge una serie di audit sulle attività del fornitore », precisa Giovanni Cobolli Gigli, presidente di Federdistribuzione.
C’è poi la normativa europea, in evoluzione e perfettibile. Dal 2013 sarà obbligatoria l’indicazione dell’origine sull’etichetta anche per le carni suine, ovine e per il pollame, ma non per la carne di cavallo. È obbligatoria per frutta e verdura, ma non per la salsa di pomodoro, così ci ritroviamo
a mangiare vegetali cinesi senza saperlo. E lo stesso accade per le carni quando sono ingredienti di prodotti complessi. Ma il punto dolente rimangono i controlli. «Ci sono paesi come la Germania — sostiene Dario Dongo, avvocato e cofondatore del portale
Il fatto alimentare
— in cui ci sono state in un anno tre crisi di sicurezza: il bacillus cereus nelle mozzarelle, le diossine nei mangimi e l’Escherichia coli nei germogli. Ci vorrebbe un regime di sorveglianza speciale per gli Stati che hanno rivelato gravi falle nei propri sistemi di controllo».